Le gambe lunghe, affusolate. Le spalle possenti, ma sensuali. Lo sguardo deciso che fissa l’acqua ancora immobile davanti a sé e sembra dirle: «Sono qui, ora vengo a prenderti». Sui blocchi di partenza, Federica Pellegrini pare una dea richiamata sulla Terra per onorare la sua vocazione: i 200 metri stile libero (ma è fortissima anche nei 400).
L’ultimo successo
A maggio 2016 si è laureata per la quarta volta campionessa europea di specialità, un successo che si aggiunge all’oro olimpico di Pechino (nel 2008) e ai 2 titoli mondiali. Tutti ricordano quello storico, a Roma nel 2009, con un tempo record di 1 minuto, 52 secondi e 98 centesimi che ancora resiste agli attacchi delle avversarie. Con un palmares così, solo lei poteva essere la portabandiera italiana alla Cerimonia d’inaugurazione dei Giochi Olimpici di Rio. Che sarà il 5 agosto, il giorno del suo 28esimo compleanno, segno (speriamo) che anche gli astri stanno facendo la loro parte.
Sai qual è la sua gara preferita?
Perché pochi giorni dopo, Federica scenderà in acqua per nuotare la sua distanza nell’unico modo in cui è capace: in progressione, come dicono gli esperti. Ma che cosa siano davvero quelle 4 vasche, solo lei lo può raccontare. «I miei 200 sono i miei 200 modi di essere. Qualcuno diceva: “Dividi la gara in 3 parti: corri la prima con la testa, la seconda con la personalità e la terza con il cuore”. Per me è esattamente così». Tecnica e strategia non sono niente, se alla fine non ci mette lo zampino lui, il cuore, l’unico motore capace di vincere sulla fatica e di tenerti a galla quando la tua vita va in apnea. Lei stessa lo ha confermato più volte: «L’amore per questo sport è quello che mi ha fatto andare avanti nei momenti difficili».
I momenti difficili
Ce ne sono stati diversi nella carriera di questa ragazza, da quell’argento dei Giochi di Atene del 2004 (prima medaglia italiana nel nuoto femminile dai tempi di Novella Calligaris) in cui non credeva nemmeno lei. Allora era solo Federica da Spinea, una sedicenne dal viso paffuto arrivata fin lì perché voleva andare più forte delle sue compagne di corso. Non sapeva ancora che «una volta salita in vetta, diventi “quella da battere”. E la pressione sale a livelli incredibili».
Il crollo del 2009
Lo ha scoperto presto. Si è allenata per 6 giorni alla settimana, anche in inverno, quando «entri in vasca la mattina che è ancora buio e quando finisci l’allenamento del pomeriggio, è buio di nuovo. E freddo». Si è riposata solo la domenica, «e il lunedì già lo sentivo che ero più lenta». E allora, guai a saltare due allenamenti di fila. Eppure non è bastato. È crollata nel 2009, dopo la scomparsa improvvisa di Alberto Castagnetti, l’allenatore che le sapeva tenere testa come solo un secondo padre sa fare. Nelle stagioni successive le crisi d’ansia le hanno succhiato il fiato, manco fosse un’esordiente impanicata alla prima gara. Ha chiuso in malo modo con un paio di coach e ha fallito i Giochi di Londra (appena quinta), quattro anni fa.
Il ritorno a casa
Ma aveva solo bisogno di ritrovarsi, Federica. Di ritornare nel centro tecnico di Verona, a pochi chilometri da Spinea, dove è cresciuta, perché «per me è come se ci fosse un elastico che alla fine mi riporta sempre dove sono nata». E dove ancora vivono mamma Cinzia, papà Roberto e l’adorato fratello minore Alessandro, che da piccolo si infilava nel suo letto per vincere la paura del buio e adesso piange quando la guarda gareggiare.
Matrimonio dopo Rio?
A dimostrazione che alla fine Federica Pellegrini è una ragazza qualunque. Che al di là dell’inno di Mameli, sogna quello che sognano tutte. «Ho sempre avuto un forte istinto materno e spero di ricreare una bella famiglia come quella dalla quale provengo» ha confessato. Dovrà solo ringraziare Matteo Giunta, il tecnico che l’ha riportata al successo. Sfilarsi il costume, inerpicarsi sui suoi adorati tacchi e dire di sì all’adorato Fillo (alias Filippo Magnini, il miglior stileliberista italiano di sempre), dopo anni di vasche cheek to cheek e baci al sapore di cloro. Lo farà, forse, quando sarà calato il sipario sull’Olimpiade brasiliana. E come tutte le dee che ci sono sembrate reali per troppo poco tempo, ci mancherà.