Quando Lady Gaga, era il 2018, è arrivata davanti al Palazzo del Cinema al fianco di Bradley Cooper piumata di rosa Valentino, tutti hanno pensato che il titolo del suo film dicesse il vero: A star is born, è nata una stella. Stefani Germanotta era già una diva, risponderete voi. Certo, che discorsi: ma il certificato di stella (anche) del grande schermo è giunto con la Mostra di Venezia che, in fatto di creazione di star, non ha eguali al mondo. E l’edizione numero 78, dal 1° all’11 settembre, sta per accogliere i divi della Generazione Z che hanno invaso, e cambiato forse per sempre, il cinema. New stars are born, per parafrasare il film di Lady Gaga, e saranno protagoniste di un Festival decisamente diverso dai precedenti.

Getty Images
1 di 8
– Zendaya, 24 anni

Getty Images
2 di 8
– Ludovico Tersigni, 21 anni

Getty Images
3 di 8
– Jodie Comer, 28 anni

Getty Images
4 di 8
– Benedetta Porcaroli, 23 anni

Getty Images
5 di 8
– Timothée Chalamet, 25 anni

Getty Images
6 di 8
– Anya Taylor-Joy, 25 anni

Ansa
8 di 8
– Pietro Castellitto, 28 anni

I divi della Gen Z raccontano la fluidità del nostro tempo

«Timothée Chalamet è la movie star della sua età. La risposta della Generazione Z a Leonardo DiCaprio, o Robert Pattinson, o James Dean. Possiede intensità, vulnerabilità, androginia. Sembra appartenere a tutti i generi e le declinazioni sessuali, e questo suo incredibile appeal oggi si misura non con i poster nelle camerette, ma attraverso i post sui social network: grazie ai suoi fan, su Instagram è diventato una sorta di installazione artistica». Così scriveva il Guardian un anno fa a proposito del 25enne newyorkese, il più atteso al Festival con Dune, il kolossal sci-fi firmato Denis Villeneuve tratto dal romanzo di Frank Herbert e già film di David Lynch del 1984. Qui l’attore di Chiamami col tuo nome evidenzia ancora di più la natura da antieroe tormentato del suo Paul Atreides: un ragazzo che, in una galassia lontana, deve imporre la propria identità libera e sfumata.

No, la fragilità non è più un tabù, nemmeno per gli uomini: nell’acclamata serie Normal people era il tratto principale del personaggio di Paul Mescal, irlandese, 25 anni anche lui, che ora interpreta The lost daughter, esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal, tratto dal romanzo La figlia oscura di Elena Ferrante. Questa è una generazione – nella vita reale e, come in uno specchio, sullo schermo – che non si vergogna di mostrare le proprie debolezze; e che non vuole essere ingabbiata in nessun modo.


Attrici come Zendaya e Anya Taylor-Joy fanno a pezzi i vecchi modelli, anche estetici


Se Timothée Chalamet rappresenta, nel look e nell’espressione artistica, la fluidità del nuovo maschile, Kristen Stewart abbraccia quella di un femminile sempre più libero dai compartimenti tradizionali. E al Lido sembra trovare una sorta di doppio nella Lady D che incarna in Spencer di Pablo Larraín. Se Kristen Stewart, 31enne icona della Gen Z, è al centro del gossip dai tempi di Twilight (e, adesso, per la scelta di vivere liberamente la propria sessualità anche omo), la Diana di questa biografia è ritratta nel momento in cui vuole fuggire dai riflettori (e lasciare Carlo). Sarà un caso che le storie vere e quelle più o meno immaginarie si corrispondano così tanto?

Abbattono i canoni tradizionali

«Non penso di essere abbastanza bella per recitare in un film. Sembra spocchioso ammetterlo, e il mio ragazzo mi ha avvertita che potrei sembrare una stronza se lo dico: ma sono convinta di avere un aspetto molto strano». Parola di Anya Taylor-Joy, 25 anni, la rivelazione dell’ultima stagione grazie a La regina degli scacchi, tra i titoli più visti su Netflix nell’era pandemica. Al di là delle affermazioni opinabili (Anya, protagonista di Last night in Soho, è bellissima), il punto è chiaro: la Generazione Z del cinema fa a pezzi tutti i modelli precedenti, anche da un punto di vista strettamente estetico.

Vale anche per la 28enne Jodie Comer, già cattivissima protagonista della serie Killing Eve e ora accolta nel cinema dei “grandi” con The last duel di Ridley Scott, drammone medievale con echi MeToo in cui recita al fianco della ricompattata coppia di best friends Matt Damon e Ben Affleck. E, soprattutto, l’equazione vale per Zendaya, 24enne coprotagonista di Dune, portatrice di quella bellezza fuori dai confini fino a pochi anni fa prestabiliti dell’industria che l’ha resa un’icona generazionale: ha saputo passare credibilmente dal mondo fatato del Disney Channel, che l’ha lanciata da ragazzina, alle atmosfere torbide della serie-scandalo Euphoria. Lei stessa fa di questo tema una battaglia culturale: «Voglio espandere il canone della bellezza delle donne, soprattutto black, e la loro rappresentazione a Hollywood» ha dichiarato al magazine americano Garage. Il cinema ha un nuovo manifesto.

Parlano la lingua della contemporaneità

Due degli idoli teen più amati d’Italia vengono da un tipo di serialità che ha deciso di usare la stessa lingua degli adolescenti. Benedetta Porcaroli, 23 anni, è diventata una diva grazie a Baby, Ludovico Tersigni, 26 (che prenderà il posto di Alessandro Cattelan sul palco di X Factor) con SKAM Italia prima e Summertime poi: ora sono insieme nel film “adulto” La scuola cattolica di Stefano Mordini, tratto dal bestseller Premio Strega di Edoardo Albinati. Ma contemporaneità vuol dire anche contaminazione: tra grande e piccolo schermo, appunto. Tanti dei giovani nomi, anche italiani, a Venezia 78 alternano cinema e tv: dal 28enne Eduardo Scarpetta (passato dalla serie cult L’amica geniale a Qui rido io di Mario Martone, storia della famiglia di teatranti napoletani di cui è erede) al 29enne Pietro Castellitto (consacrato dal successo del Totti-biopic Speravo de morì prima, al Lido porta l’attesissimo fantasy storico Freaks out di Gabriele Mainetti), alla 21enne Alma Noce (nel cast di Gli anni più belli di Muccino e a Venezia in La ragazza ha volato di Wilma Labate).

E poi ci sono le scommesse assolute, quelle che forse solo i grandi autori si possono permettere. Quella di quest’anno si chiama Filippo Scotti, 21 anni: quasi uno Chalamet nostrano, almeno a giudicare dalle prime foto, scelto da Paolo Sorrentino per l’atteso film che ripercorre la sua adolescenza. «Da ragazzi, il futuro ci sembra buio. Barcollanti tra gioie e dolori, ci sentiamo inadeguati. E invece il futuro è là dietro. Bisogna aspettare e cercare. Poi arriva. E sa essere bellissimo. Di questo parla È stata la mano di Dio» dice il regista. La chiave è proprio quella: il futuro là dietro. O, forse, già qui.