«Sono felice quando incontro persone senza preconcetti. Libere di esplorare la vita, aperte agli altri». Del resto, lui è così. Filippo Scotti, 25enne napoletano lanciato da Paolo Sorrentino in È stata la mano di Dio e vincitore del premio Marcello Mastroianni per gli attori emergenti alla Mostra del Cinema di Venezia, torna sul grande schermo da protagonista dell’horror gotico di Pupi Avati L’orto americano, dal 6 marzo al cinema dopo essere stato presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia.

La trama del film “L’orto americano”

«Un film strano nel senso più bello del termine. Pupi è un affabulatore, ti cattura da quando entri nel suo studio abitato da storie» dice Filippo Scotti. Nella vicenda, ambientata nel Dopoguerra, è un giovane scrittore senza nome che dialoga coi defunti e vive sul filo tra realtà e follia. Nel tempo di uno sguardo, si innamora di una soldatessa americana e, dopo averne scoperto casualmente la scomparsa, ne seguirà le tracce dagli Stati Uniti a Ferrara. «Un personaggio che mi è cascato addosso, per vari motivi, solo 10 giorni prima delle riprese» racconta Filippo che, pur essendo giovanissimo, ha iniziato a recitare da ragazzino. «In realtà a 10 anni volevo fare il ballerino, dopo aver visto il film Billy Elliot di Stephen Daldry, e ho partecipato alle selezioni per il San Carlo di Napoli. Allora ballavo per casa, ma la danza classica richiede ben altro impegno».

Filippo Scotti: «Non mi piacciono le etichette»

È ritenuta un’arte più femminile che maschile: non temeva di essere considerato strano?

«Me ne resi conto vedendo che ero l’unico bambino accanto a 30 candidate. Anche se i miei genitori mi hanno insegnato a non farmi condizionare da pregiudizi e stereotipi, a quell’età ti pesano. Il tempo ha appiattito tutto questo sul piano personale. Oggi penso che perfino le spiegazioni sull’inclusione possano involontariamente creare divisioni».

Perché?

«Se spieghi a un ragazzino che ci sono varie forme d’amore, etero o omosessuale, finisci per sottolineare involontariamente le differenze, mentre la cosa più naturale sarebbe evitare ogni definizione che possa diventare un’etichetta. Imparare a vivere e osservare ogni esperienza senza incasellarla».

Filippo Scotti: «Pupi Avati mi ha sempre sostenuto»

Lei sembra abbracciare le esperienze, anche nella carriera, a cominciare dalle sfide che le sono state proposte prima da Sorrentino e poi da Avati. Non ha mai paura?

«Sì, ma per gli artisti è molto importante aprirsi proprio alle emozioni più forti. Adattarsi, inventarsi. In realtà lo è per tutti, pure per chi lavora in ufficio e vuole trovare un modo creativo per vivere bene. Siamo privilegiati, viviamo in un contesto in cui non ci cadono le bombe in testa: è giusto migliorarsi».

Filippo Scotti in una scena del film di Pupi Avati "L'orto americano" (ph. Elen Rizzoni).
Filippo Scotti in una scena del film di Pupi Avati “L’orto americano” (ph. Elen Rizzoni)

Una parte dell’Orto americano è recitata in inglese. Difficile?

«Per fortuna l’ho studiato, ma ho dovuto imparare il copione in pochissimo tempo. Mi ha aiutato molto Rita Tushingham, l’attrice inglese che interpreta la madre della ragazza scomparsa. Rita ha 81 anni e, appena parla, cambia l’atmosfera intorno a sé: una magia. Una di quelle persone libere e aperte, che ti mettono a tuo agio. Anche Pupi Avati è stato un sostegno quando mi sentivo all’arrembaggio. Paterno. La sera mi chiamava per chiedermi se andasse tutto bene. E quando siamo andati a Davenport, negli Usa, ha sconfitto il jet lag prima di me che ho 60 anni di meno».

La prima esperienza a teatro

Quando ha capito che recitare era la sua strada?

«È difficile dirlo, perché sono cresciuto con questa passione e i miei, che sono insegnanti, pensavano che teatro, libri o film non fossero mai una perdita di tempo. Soltanto verso i 17 anni l’ho visto come un lavoro, ma solo perché il regista Gabriele Russo, prendendomi a teatro per Tito Andronico, disse che avrei dovuto impegnarmi 7 o 8 ore al giorno. Pensai a tutto quello che dovevo studiare per la scuola, ma poi mi dissi: “Quando mi ricapita?”».

Ha tolto tempo ad amici e divertimenti?

«Potrei dirlo per “spararmi la posa”… Quando ho potuto uscire la sera non mi sono mai tirato indietro. Ora vivo a Roma, ho amici attori e amici che fanno tutt’altro».

Filippo Scotti e i ricordi di “È stata la mano di Dio”

Conosce Celeste Dalla Porta, lanciata da Sorrentino in Parthenope giovanissima, come è successo a lei?

«Sì, e abbiamo parlato di quest’esperienza bellissima, ma anche del peso di essere scelti come alter ego da un grande regista. Non ricordo chi ha detto che i giovani, nel momento del successo, devono “scorgere il fallimento” per sentirsi protetti. Girando È stata la mano di Dio pensavo a quando sarebbe finito. Perché un momento così straordinario, onirico, cambia la vita quotidiana e può portarti su una strada solitaria. Ci sono amici che si allontanano e tu ne soffri perché non ti senti cambiato. Per fortuna ce ne sono altri coi quali parli di tutto, come prima, e neanche ti chiedono del lavoro. Semplicemente stanno con te e ti vogliono bene. Quel clic di complicità è ciò che ti cambia la giornata».