Quando ho chiesto a Francesca Michielin che titolo darebbe a questa fase della sua vita, mi ha risposto: Inaspettatamente. Oppure Nonostante tutto, me stessa.
Francesca Michielin al Festival di Sanremo 2025
La incontro a pochi giorni dal Festival di Sanremo e sono molto curiosa di sapere come si vestirà. Ha calcato quel palco 3 volte in 10 anni – come solista, in duetto con Fedez, in veste di direttrice d’orchestra per Emma – e tutte ci ha riservato belle sorprese in fatto di look. Su quello di quest’anno non si sbottona, anche se fa intendere che ci sarà un cambio di passo rispetto allo stile bon ton a cui ci ha abituati. Se io dovessi dare un titolo a questo capitolo, sulla base di quanto mi ha raccontato nella nostra chiacchierata, sceglierei: Kintsugi, “l’arte di riparare con l’oro”. Che si sia rotta, a un certo punto della sua vita, non lo nasconde, anzi lo dichiara senza riserve nella canzone autobiografica che porta a Sanremo 2025, Fango in Paradiso.
Incontro con Francesca Michielin per Sanremo 2025
Se fosse Taylor Swift la definirebbero una “revenge song”, canzone della vendetta. Ma a lei di vendicarsi non interessa. Vuole solo stare bene. E ha capito che c’è un solo modo per riuscirci: accogliere il brutto e il bello che la vita ci dà. Senza cercare sempre il massimo e la perfezione. Perché «nell’imperfezione» mi dice «c’è bellezza e umanità». Prenderne atto e abbracciarla è stata una lenta conquista. Il filo d’oro che ha ricucito i pezzi. La molla che ha ridato senso a tutto.
A Sanremo 2025 Francesca Michielin sul palco dell’Ariston per la terza volta in gara
L’11 febbraio sarà la tua quarta volta a Sanremo. Paura?
«In realtà è la terza in gara. Con Emma avevo un ruolo di responsabilità, ma non cantavo. Ora, me la gioco».
Ma ormai sei una veterana, nel 2016 hai anche rappresentato l’Italia all’Eurovision.
«Per questo è peggio. La prima volta non sei nessuno, non hai niente da perdere. È dopo che salgono le aspettative…».
Perché mette tanta ansia il palco dell’Ariston?
«Perché è un palco pregno di storia. Tutta l’Italia lo guarda da sempre, unisce le generazioni. Lo guardavano i miei nonni, lo guardavo io da bambina. Ricordo, in prima elementare, la finale tra Giorgia ed Elisa. Sono rimasta in piedi fino a tardi per sapere chi vinceva. Come si fa a non emozionarsi?».
La tua volta più bella?
«Tutte, in modi diversi. Ma forse quella in cui mi sono più divertita è stata l’edizione con Emma. Abbiamo vissuto insieme per 15 giorni, condividendo gioie, dolori, vino, cibo, arrabbiature e anche il duetto sulle note di Britney Spears!».
Il Festival di Sanremo 2025, Francesca Michielin e il nuovo look
Sanremo non è più solo il Festival della canzone ma anche una vetrina di nuovi look. Tu come ci stupirai?
«Quest’anno farò qualcosa che non ci si aspetta da me, eppure è super coerente. Mi aiuterà a esprimere la mia femminilità. La prima volta a Sanremo avevo 20 anni, oggi ne ho 10 di più, ho una consapevolezza diversa ed è importante riuscire a raccontarla anche attraverso l’immagine. Non vedo l’ora, di più non dico».
Francesca Michielin a Sanremo 2025 con una canzone d’amore autobiografica
“La tua canzone parla di un amore che finisce. Quanto c’è di autobiografico?
«Tutto, cento per cento! Delle volte attingi un po’ a quello che ti succede, ma poi fai fiction letteraria, inventi. Questa volta invece ho scritto il testo praticamente tutto io, con l’aiuto di Alessandro Raina e Davide Simonetta. È totalmente autobiografico».
È una “revenge song”?
«No, è più una specie di diario. Riconosco di essere una “sottona” (ride, ndr). Non mi vergogno, lo accetto».
Hai sofferto tanto per amore?
«Tantissimo. Però mi considero fortunata, perché la prima storia in assoluto che ho avuto è stata tremenda, sotto tutti i punti di vista. Quando vivi una relazione così tossica, poi, si è come vaccinati. Non mi è mai più capitato di farmi trattare in quel modo. È come se avessi alzato le antenne, non lo permetto più».
E ora, sei innamorata?
«Sì, e sono abbastanza serena. Dico “abbastanza” perché ho una natura inquieta. Però sono felice di quello che sto costruendo, forse perché ho anche maggiore consapevolezza di cosa significa stare in un rapporto sano. Ma il mio primo amore resta la musica, ed è importante che chi sta con me lo sappia e lo rispetti».
L’educazione affettiva e sessuale è una responsabilità sociale
A proposito di relazioni tossiche, si è molto parlato negli ultimi mesi di educazione all’affettività nelle scuole. Cosa ne pensi?
«Penso che sia utilissima. Sia l’educazione sessuale che affettiva. Bisogna insegnare che cos’è il consenso e come riconoscere le proprie emozioni. Ma bisogna farlo presto, già dalle elementari, e bene. Io ricordo una lezione in cui ci spiegarono come siamo fatti e come ci riproduciamo, ma non ci dissero niente di ciò che davvero ci interessava. Per esempio, come è fatta la clitoride, una cosa che le ragazze devono scoprire da sole, crescendo. Cosa ci interessa sapere l’anatomia del corpo se nessuno ci dice come funziona? Per questo poi i più giovani vanno sui siti porno. Imparano da autodidatti, facendosi un’idea sbagliata della sessualità».
Dovrebbero spiegare qualcosa i genitori?
«Ma magari i ragazzi si vergognano di parlarne con loro. Ed è sbagliato addossare tutto sulle famiglie o sugli insegnanti. La responsabilità è di tutti. Se i dati sui femminicidi sono tanto allarmanti è perché nessuno insegna qual è la differenza tra gelosia e possesso, come si costruisce una relazione sana. Questo lavoro dovrebbe essere obbligatorio nelle scuole».
Purtroppo pensiamo spesso che il problema non ci riguardi.
«Invece riguarda tutti. Gli episodi di violenza non sono casi isolati, non sono frutto di raptus. Può commetterli chiunque. Perciò bisognerebbe lavorare sull’educazione».
Ognuno di noi può fare qualcosa contro la violenza
A partire dagli uomini?
«Oggi per fortuna sono più sensibili al tema, ma la famosa frase “Non tutti gli uomini sono così” è pericolosa perché ci fa pensare che solo i “mostri” ci possono fare del male. Eppure tutte le donne hanno subito almeno un episodio di molestia o abuso nella propria vita. Segno che è un problema endemico e che tutti dobbiamo impegnarci per estirparlo. A volte basta poco, per esempio facendo notare a un amico la battuta infelice scambiata nelle cosiddette “chat del calcetto”. Non lasciamole passare come se niente fosse».
Senti la responsabilità di usare la tua voce per cambiare le cose?
«So che il mio lavoro mi dà una visibilità che posso usare per veicolare messaggi importanti. Ma cerco di farlo creando spazi di dibattito che esulino da me. Non voglio usare le varie istanze sociali per affermare il mio ego. Preferisco condividere nelle mie storie un profilo che mi sembra interessante o invitare nel mio podcast persone che si confrontano su certi temi».
Il podcast Maschiacci: perché le parole sono importanti
Il tuo podcast si chiama Maschiacci. Di cosa parla?
«Di temi che mi stanno a cuore, partendo dalla lingua. Sono una grande fan delle parole, fin da piccola, perché aiutano a capire la realtà e a pensare meglio. Non a caso ho fatto il classico. Sono convinta che se smettiamo di usare certi vocaboli o espressioni, anche il mondo può cambiare».
Quali ti danno più fastidio?
«Non sopporto modi di dire come “cazzuto” o “con le palle”, perché sottintendono che il coraggio e la determinazione siano attributi maschili. E poi non capisco la declinazione al maschile di certi mestieri anche se è lei a farli. Quando ho diretto Emma, ci ho tenu- to a farmi chiamare “direttrice d’orchestra”. Eppure tante preferiscono “direttore”, perché si sentono più autorevoli. Ma perché l’autorevolezza deve essere maschile?».
Il femminismo è una pratica non un’etichetta
Ti reputi femminista?
«Penso, come diceva Michela Murgia, che il femminismo sia una pratica non un’etichetta. So di avere ancora tanti bias da decostruire, ci voglio lavorare. Il femminismo non deve essere un sistema giudicante, ma un percorso che incoraggia a migliorarsi».
Si dice che oggi gli uomini siano fragili e spaventati…
«Mah, io mi sento spaventata come donna. Non so se loro possano esserlo quanto me».
Cosa ti spaventa?
«Percepisco tanta aggressività, non solo nella vita reale. Mi fa paura andare in giro da sola la sera, ma anche subire la violenza che c’è sui social. È come se le regole di civiltà che mettiamo in atto nella vita di tutti i giorni lì non valessero».
Cresciuta nella natura con il desiderio di scrivere
Dietro quel viso angelico, sei una ragazza tosta. Che infanzia hai avuto?
«Sono cresciuta nella campagna bassanese. E questo ha stimolato la mia fantasia. Non a caso adoro la letteratura fantasy, le streghe, David Lynch… In questo mondo pieno di animali e piante la mia immaginazione è fiorita, insieme alla voglia di scrivere. Fin da piccola ho composto racconti e poesie, vincendo anche dei premi».
La passione per la musica dal coro della chiesa a X Factor
E la musica com’è arrivata?
«Mia mamma dirigeva il coro della chiesa e, visto che non poteva sempre mollarmi dai nonni, mi portava con sé. Ho iniziato a cantare, poi a suonare, e mi sono appassionata. Quando, al liceo, si è trattato di scegliere tra la ginnastica artistica e la musica, ho scelto la musica, perché tutto non potevo fare».
Quando ti ho vista a 16 anni a X Factor, ho pensato fossi una secchiona.
Sono stata ragazza studiosa, ma non una secchiona. Mi è sempre piaciuto imparare le cose, leggere, capire. Lo devo ai miei genitori. Loro non hanno studiato, perciò hanno trasmesso a me e a mio fratello l’importanza del sapere».
Una vita tra Bassano del Grappa e Milano
Sei tornata a vivere a Bassano del Grappa, come mai?
«È successo dopo il Covid, quando tutti ci siamo interrogati sul senso della vita. Durante il lockdown sono tornata dai miei e mi sono chiesta quale fosse il mio posto. Ora vivo tra Milano e Bassano. In nessuna delle due mi sento a casa, però mi servono entrambe. La città mi dà euforia, la campagna mi rilassa. Sto creando uno spazio creativo dove faccio le ceramiche, dipingo, scrivo, vado nell’orto».
Un modo per contrastare il burnout che ha costretto a fermarsi alcuni tuoi colleghi?
«Anche. Considera che io ho iniziato a 16 anni, faccio questo mestiere da metà della mia vita, ci sta che sia un po’ esaurita. A Bassano ritrovo la lentezza. Penso sia sano ricordarsi che non siamo solo il nostro lavoro. Ogni tanto ho bisogno di essere Francesca che fa la ceramica, che passeggia nei campi con il cane, che va dai nonni a prendere le uova. Altrimenti impazzisco».
L’impegno per l’ambiente di Francesca Michielin
La natura è il tuo elemento. Due anni fa hai condotto Effetto Terra. Da allora è successo di tutto: alluvioni, incendi. Come vedi il futuro del Pianeta?
«Se continuiamo a vivere così, può essere solo una catastrofe. Finalmente lo abbiamo capito, ma finché non cambiamo abitudini, è una strada senza ritorno».
Cosa possiamo fare in concreto?
«Per esempio, mangiare meno carne. Io ho dovuto adottare una dieta vegetale dopo l’asportazione di un rene e vi assicuro che si può ridurre drasticamente o eliminare, senza problemi per la salute».
Come concili il tuo amore per la moda con la tua fede ecologista?
«Compro meno e non prendo più fast fashion. Per fortuna oggi diversi brand hanno maggiore coscienza green. E, quando posso, prediligo capi vintage».
2025: compie 10 anni L’amore esiste
Parliamo di anniversari. È appena uscita una nuova versione di L’amore esiste, hit del 2015 che ancora passa in radio e sulle piattaforme. Quanto sei cambiata in questi 10 anni?
«Ricordo che girammo il video il giorno del mio 20° compleanno. Brunori Sas, che ancora non conoscevo, mi organizzò la festa. Era un video a bassissimo budget: riguardandolo, ritrovo la stessa voglia di sperimentare che ho oggi. Questi 10 anni sono volati, e sono cambiata in tante cose, ma la mia attitudine è la stessa».
Francesca Michielin a Sanremo 2025: «Voglio abbracciare la mia imperfezione»
Il 25 febbraio, compirai 30 anni. Bilanci e prossimi traguardi?
«Sono sopravvissuta, non era scontato. Ho passato due anni pesantissimi, in cui mi sono chiesta tante volte se sarei tornata a brillare forte e splendente com’ero a 20 anni. Quando fai questo lavoro da tanto ti chiedi se le persone non si siano stancate di te, cosa puoi dargli di nuovo. Invece è come se fosse scattato qualcosa con questo 2025».
Cosa?
«Prima volevo sempre essere la migliore versione di me. Impeccabile. Un cyborg, praticamente. Adesso invece mi sento più spezzata di prima, ma più forte. So che mi manca qualcosa, ma mi piaccio di più. Ho passato la vita a dimostrare agli altri che ero brava, che valevo, ho studiato anche al Conservatorio con questo senso di rivalsa. Ora basta, non voglio più dimostrare niente, vado bene così, anche col mio disagio. Voglio abbracciare la mia imperfezione e seminarla in giro».
Cosa vorresti dire alla Francesca degli esordi e a quella che verrà?
«La stessa cosa: sciallati un po’»
Foto Marco Craig. Styling Cristina Nava.