Per Francesca Michielin, 26 anni, questo è un momento «di gratificazione e gratitudine in cui sto raccogliendo quello che ho seminato per anni» ci dice dalla sua casa di Milano. Lo è perché, fino a settembre, sarà in tour con Live – Fuori Dagli Spazi. Lo è perché il video di Chiamami per nome, portato a Sanremo con Fedez, ha superato i 33 milioni di views; perché Cinema, cantato con Samuel, è in vetta alla classifica; perché il suo podcast Maschiacci – Per cosa lottano le donne oggi? lanciato a febbraio ha raccolto consensi e ascolto; perché presto condurrà su Sky Nature un programma legato a temi ambientali. E lo è, in particolare, perché tutto questo è il frutto di una carriera decennale, iniziata nel 2011 con la vittoria a XFactor.
Francesca Michielin è la protagonista del servizio di moda che trovi su Donna Moderna questa settimana (numero 32 del 22 luglio 2021):
Intervista a Francesca Michielin
Festeggi alla grande i 10 anni di carriera. A 16 anni, vincendo XFactor, dove immaginavi di arrivare?
«Sognavo di fare questo lavoro, ma volevo fare la bassista e vivere di musica in giro per il mondo. Quando un fonico del mio coro gospel mi ha iscritto a XFactor l’ho presa come un’esperienza, senza particolari aspettative. Poi quando ho vinto, ho provato la classica sindrome dell’impostore, l’insicurezza di chi pensa di non meritarsi il successo che ha. Per non farmi travolgere da quel successo ho lavorato con lentezza, facendo un passo alla volta. E ho detto tantissimi no».
La sindrome dell’impostore come l’hai superata?
«Cercando di accettare la mia sensibilità e la mia fragilità e di farne la mia forza, usando queste insicurezze come uno stimolo per studiare, migliorarmi e così sentirmi più serena».
Quando la stampa o i social parlano dei tuoi abiti invece che delle tue canzoni, cosa pensi?
«La musica pop è comunicazione, un linguaggio universale che arriva alla gente in mille modi diversi, persino con gli abiti. Penso ai Queen, che hanno dettato legge anche nell’ambito del costume, ai Beatles. Parlare con il look non esclude di farlo anche con la musica e viceversa. Io mi vesto per esprimere parti di me, e questo mi fa stare bene e mi dà una femminilità nuova, autentica. Però è vero che dovunque, incluso nella musica, vige un doppio standard: se sei donna, è più frequente che si parli di una scollatura sexy o delle tue gambe, se sei uomo ci si concentra sulle tue canzoni».
Nell’ambiente musicale le donne lottano insieme o una contro l’altra?
«Quello della lotta tra donne non è un fatto di natura ma un costrutto sociale, figlio di un patriarcato interiorizzato. L’altro giorno ero in fila a vaccinarmi e una signora ha sbottato «Guarda come si veste quella, con quel fisico non può mettersi quelle cose!» guardando una ragazza sovrappeso. Ma perché? Magari quella ragazza ha sofferto per il suo peso, perché non corrispondeva ai canoni, e ora si accetta».
Le donne hanno l’imperativo di essere carine, di piacere agli altri: tu piaci di più a te stessa o agli altri?
«Ho imparato a coltivare un narcisismo benigno, che implica il prendersi cura di sé. Se una sta bene con se stessa, diventa anche attraente per gli altri. Ma soprattutto conta il motivo per cui si fanno le cose: se seguo una dieta per la mia salute, è un bene. Se è perché sui social rischio le critiche, no. Se mi va di ballare mezza nuda lo faccio. Se devo farlo per piacere a qualcuno, lo evito».
Hai iniziato a 16 anni. Cosa ti sei persa?
«Non ho mai fatto le gite di classe e passavo il sabato sera sulle versioni di latino perché nelle mie giornate tutto non ci stava. Poi, a 20 anni, dopo Sanremo e l’Eurovisione, ho avuto una sorta di ribellione per l’adolescenza perduta. Sentivo un’aggressività fortissima verso una vita piena di doveri lavorativi, ho rotto dei rapporti. Ma con uno psicologo ho imparato a incanalare la rabbia nella musica, invece che essere un agnellino sul palco e una iena dietro le quinte (ride, ndr). E faccio sport almeno 3 volte la settimana».
«Per non farmi travolgere dal successo ho lavorato con lentezza, facendo un passo alla volta. E ho detto tantissimi no»
Come vorresti ispirare con la tua carriera le ragazze che ti seguono?
«Vorrei che si accettassero per come sono, ma è un obiettivo quasi inarrivabile. Con il podcast ho voluto creare uno spazio in cui scambiarsi opinioni sul ruolo e sugli standard che la società impone alle donne, e sottolineare anche gli automatismi del linguaggio che ci squalificano. Per esempio, se diciamo che “Gianluca è una pettegola”, senza accorgercene insinuiamo che spettegolare sia una cosa da donne. Sicure che sia così?».
A volte le donne fanno di tutto purché la coppia funzioni. A loro cosa diresti?
«Ho avuto una relazione tossica con un narcisista patologico e ora riconosco il tipo e lo evito. In coppia cerco il dialogo. Quando le amiche mi chiedono consigli su dinamiche simili mi viene spontaneo spingerle a mandare a quel paese il partner. Non si vive per accontentare altri. Quanto a me, sto molto bene sola, forse mi sono “diseducata” alla vita di coppia. Quando sto con qualcuno, dopo pochi minuti esco a passeggiare da sola (ride, ndr)».
Servizio di Paolo Lapicca – foto di Chiara Giannoni
testi moda di Antonella Marmieri – intervista di Elisa Venco
Make up Daniela Zeqo using MAC-cosmetics.
Hairstyle Fabio Cicerale@freelancer agency.
Ha collaborato Fabio Pravato