Sosteneva Eduardo De Filippo che i morti in scena dovrebbero destare più preoccupazione di quelli veri, che meritano d’essere rappresentati solo quando il loro numero arriva a colpire l’immaginazione di un autore. Lo stesso vale per la mascolinità tossica: ne è convinto Francesco Piccolo, scrittore, sceneggiatore e autore televisivo, che, dopo romanzi dirompenti e schietti come La separazione del maschio e L’animale che mi porto dentro, chiama in causa il teorema eduardiano per tornare a scavare negli anfratti foschi e inconfessabili della virilità, a denudare l’uomo – e se stesso – alla ricerca di quei grumi di patriarcato che, con pratiche rozze e brutali o strategie più sottili, si accaniscono sul femminile nei secoli dei secoli.
Il nuovo libro di Francesco Piccolo
Il terreno dell’indagine di Francesco Piccoloè questa volta la letteratura: «Se il maschile è inteso come potente, arrogante, violento, sopraffattore, egoista e famelico» scrive nell’introduzione al saggio il cui titolo Son qui: m’ammazzi. I personaggi maschili nella letteratura italiana (Einaudi) richiama, emblematicamente, una frase del Manzoni, «allora ve ne sarà traccia anche nelle opere che abbiamo amato». La sua disamina scandaglia 13 capolavori e altrettanti personaggi che hanno abitato il nostro immaginario e contribuito a dare forma al mito della mascolinità.
Alle origini della mascolinità tossica
Dal vendicativo scolaro dell’ottava giornata del Decameron di Boccaccio al pavido e arrogante Zeno di Svevo. Dall’Innominato del Manzoni al principe di Salina di Tomasi di Lampedusa, passando per ’Ntoni di Verga, il bell’Antonio di Brancati, Milton di Fenoglio e altri sublimi responsabili di sopraffazioni, vendette, ricatti, punizioni e violenze nei confronti delle eroine femminili che, nella loro efferatezza, sono sempre stati lì, sotto i nostri occhi. «Avevo bisogno di tracciare il punto d’origine di un’educazione sentimentale, letteraria e personale, che forse ci aiuta a capire cosa siano i maschi» dice Francesco Piccolo.
Da dove è partito?
«Ho cercato le tracce lì dove sapevo di trovarle. Poi mi sono reso conto che ve n’erano in ogni libro abbia mai amato. Come ho scritto, se mi mettessero in mano un romanzo qualsiasi da leggere con lo stesso sguardo, continuerei a trovarne. Sono germi culturali, ci ricordano che la letteratura, oltre a insegnarci la bellezza, ha alimentato con quella tipologia di maschile il nostro orizzonte intimo e sociale».
Parla di un processo d’identificazione.
«Passare in rassegna quei personaggi è come guardarsi allo specchio. Immagino che anche molte donne possano ritrovarsi in certe dinamiche. Un conto è avere a che fare con un maschio brutale, ma ritrovarlo in Boccaccio o Manzoni fa ancora più spavento. Quanto a me, mettermi a nudo, confrontarmi con gli aspetti più complessi della realtà in cerca di ciò che mi riguarda, fa parte del mestiere di scrittore. E mi interessa come maschio».
Gli uomini non si possono guarire in poco tempo
I germi del maschile tossico non si annidano solo nella letteratura, sono parte integrante dei discorsi e delle immagini che anche oggi condividiamo.
«Sono dappertutto, ma non la vedo come una cosa negativa. Mi preoccupo della violenza maschile che permea la realtà, ma la sua rappresentazione nei film, nelle serie tv, nei fumetti, in qualsiasi forma d’arte, è il primo passo per prenderne atto e conoscerla. Da Boccaccio a ora, il maschio non è poi così cambiato: i 20enni di oggi sono migliori di me, ma non quanto dovrebbero. In questi anni, la spinta a parlare della violenza maschile è molto più forte e questo ci fa credere di poter guarire gli uomini in poco tempo, ma non è così: una cultura che si è alimentata nel corso dei millenni non può estinguersi in una settimana».
Passando in rassegna le malefatte dei personaggi, lei smaschera, in filigrana, le intenzioni degli autori. Questo cambia l’affetto e la stima con cui li abbiamo considerati fin qui?
«Non nutro un atteggiamento di condanna verso i libri né verso gli autori. Questa indagine mi coinvolge, a guidarmi sono piuttosto l’indulgenza, la ricerca di comprensione. Non posso permettermi di indignarmi di fronte a condotte che probabilmente, in una quota percentuale, ho condiviso anch’io, in quanto maschio. Parliamo poi di grandi romanzi della nostra letteratura, i cui personaggi sono comunque esemplari, mai completamente negativi. A me interessa scavare nella fragilità, nella vigliaccheria, che spesso negli uomini diventano armi più pericolose della forza bruta».
La resa delle donne
Uno dei capitoli più intensi è quello sul Gattopardo.
«Il principe di Salina affascina perché rappresenta la disgregazione del potere e della forza maschile, a cui don Fabrizio si ribella fino all’ultimo: indugiare con lo sguardo, poco prima della morte, sui seni di Angelica è il tentativo disperato, in sintonia con l’uomo contemporaneo, di conservare quella forza patriarcale».
I Promessi Sposi, il romanzo più letto dagli italiani, dà il titolo al saggio proponendo una riflessione sconcertante.
«Quella frase “Son qui: m’ammazzi”, pronunciata da Lucia di fronte all’Innominato, è il simbolo di una resa totale della condizione femminile, della disperazione che porta, per sfinimento, a scendere a patti con l’istinto stesso di sopravvivenza: uccidimi pure, se vuoi, perché non ce la faccio più a essere incessantemente rapita e desiderata. È davvero un pensiero sconcertante».
Quali criteri ha considerato nella scansione dei capitoli?
«Sicuramente quello cronologico, che mi aiuta a raccontare una sorta di sconfitta dell’evoluzione: la somiglianza tra lo scolaro del Decameron e Federì, il protagonista di Via Gemito di Domenico Starnone, è molto più grande della distanza che ci aspetteremmo di trovarci».
Francesco Piccolo: per combattere la cultura patriarcale bisogna raccontarla
Via Gemito e altre opere recenti mostrano però uno scarto: la consapevolezza di stare a metà – invischiati, in parte complici – tra la violenza dei padri e il tentativo disperato di prenderne le distanze.
«Quella consapevolezza arriva nel ’900, diciamo dagli anni ’60 in poi. Allora, il sentimento di ribellione ai padri e alla cultura borghese diventa un atto anche politico. Quanto all’ambito maschile, resta un tentativo riuscito più nelle intenzioni che nei fatti. Don Fabrizio vuole conservare la sua forza patriarcale e non ci riesce; i personaggi moderni vorrebbero liberarsene, ma stanno ancora lì. Credo che il racconto della letteratura contemporanea sarà sempre più consapevole di ciò, spero più sincero».
Francesco Piccolo, questo lavoro di scavo condizionerà i suoi prossimi racconti?
«Ho già scritto due romanzi sul maschio, mi chiedo spesso anch’io se tutto questo ragionare mi abbia migliorato. Una risposta onesta non ce l’ho. Ma non mi stanco: uno dei mezzi per combattere la cultura patriarcale è proprio quello di raccontarla, il più onestamente possibile».