Sul primo fronte il docufilm di Infascelli lascia scoperto il racconto dei 2 anni successivi al ritiro, quando l’avventura da dirigente del team non andò a finire bene. Francesco adesso ha messo su una società di procuratori: il primo giovane talento a entrare nella sua scuderia, in un afflato da libro Cuore, è quel Mattia Almaviva che nel 2017 giocava nei pulcini giallorossi e ricevette dal capitano la fascia indossata nel match d’addio.
Pelé, Muhammad Alì, John McEnroe, Michael Jordan. Sono stati i più grandi nella loro disciplina, icone di una popolarità che travalica i confini sportivi e generazionali. Eppure a nessuno di loro è capitato di diventare, a pochissima distanza dal ritiro e ancora prima di compiere 45 anni, protagonisti in contemporanea di un film e di una serie ispirati alla loro vita. Lo sono stati, certo, ma c’è voluto di più tempo. Francesco Totti, «simbolo di Roma e della romanità» come lo definiva lo speaker dell’Olimpico Carlo Zampa, quel tempo lo invece ha bruciato in un amen.
Sarà in sala dal 19 ottobre Mi chiamo Francesco Totti, il docufilm diretto da Alex Infascelli. Tratta dall’autobiografia Un capitano, scritta con Paolo Condò e bestseller Rizzoli dello scorso anno, la pellicola è un viaggio a ritroso nella memoria del Pupone iniziato la notte del suo ritiro dal calcio. Una data che tutti, e non solo i tifosi giallorossi, ricordano bene: 30 maggio 2017, quasi 70.000 persone sugli spalti e un numero imprecisato davanti alla tv o ai maxischermi allestiti in tutta Roma, a seguire in lacrime la fine di una storia d’amore lunga 25 anni, 619 partite e 250 gol.
Il film ne mostra parecchi, ma indugia soprattutto sulla vita di Totti fuori dal campo, su quel racconto intimo e profondo che finisce per rivelare l’uomo oltre il pallone. Perché è probabilmente questa la chiave del suo successo universale, ciò che Maurizio Costanzo definì «tottismo»: una grande chiesa che lega Tor Pignattara e i Parioli, ma riesce a far presa in tutti gli italiani, juventini e laziali compresi; un culto che unisce Venditti e Verdone, papi e presidenti, uomini e donne, calciofili e atei. E che si può banalizzare nella capacità di accompagnare il suo talento unico con un carattere in cui tutti possono identificarsi.
I 2 grandi amori di Francesco Totti
Sornione, umile, generoso, infantile, ingenuo e impunito al tempo stesso. Che sia in tenuta da gioco o in borghese Francesco Totti riesce sempre a sfoggiare leggerezza, autoironia, un certo distacco da sé, come se fosse diventato leader suo malgrado, uno di quei sovrani bambini sulla cui testa è stata messa la corona da una forza invisibile. “L’ottavo re di Roma”, appunto, per ricorrere a un’altra metafora abusata. Che il popolo riconosce come «uno di noi» proprio grazie a quello spontaneismo un po’ coatto che ne esalta le opere geniali e gli perdona quelle più malandrine.
Francesco Totti ci riesce, e tra libri di barzellette, un doppiaggio dei Simpson, un’ospitata a Sanremo e uno spot tv ne fa uno dei fili conduttori della sua esistenza. Gli altri sono, ovviamente, i 2 grandi amori: la Roma e la famiglia.
Francesco Totti sognava di diventare benzinaio e si è ritrovato a essere il carburante dei sogni di un popolo. In campo e fuori
Il matrimonio con Ilary Blasi
Il matrimonio con Ilary Blasi è la sublimazione del “tottismo”. Patinato e paritario, in diretta tv ma con la porchetta in tavola, rallegrato da 3 figli ovviamente belli e da un primogenito calciatore promesso, ma anche caratterizzato da un uso sapiente di social e rotocalchi per apparire il perno di una famiglia come tante.
Proprio il privato sarà, a quanto si dice, uno dei temi più sviscerati dall’opera seconda dedicata al Pupone. Si intitolerà Speravo de morì prima, serie in 6 episodi che Sky manderà in onda in primavera. Dal set trapelano pochi dettagli: uno scatto di Pietro Castellitto con la 10 giallorossa sulle spalle, una villa dell’Olgiata – la stessa che fece da sfondo a un paio di film del Monnezza, ecco romanità e mass market che si reincontrano – dove si aggirano Greta Scarano in biondo platino (Ilary) e Monica Guerritore (mamma Fiorella).
Intanto Totti, quello vero, bazzica il set e aspetta la chiamata che potrebbe riportarlo di nuovo in giallorosso, per una seconda volta da dirigente, dopo il cambio di proprietà societaria. Sarebbe la chiusura del cerchio ideale per quel ragazzo di via Vetulonia che sognava di diventare benzinaio e si è ritrovato a essere lui stesso carburante dei sogni di un popolo.