«Sono passati 14 anni da quando Amanda Knox è stata rilasciata da una prigione italiana, ma raramente in tutto questo tempo si è sentita veramente libera». Inizia così su Rolling Stone – edizione Usa – un’intervista alla Knox stessa dove racconta di aver “trovato la (vera) liberazione nella sua decisione di contattare e alla fine fare amicizia con Giuliano Mignini”, magistrato di Perugia, oggi in pensione, che svolse le indagini relative all’omicidio di Meredith Kercher. L’intervista coincide con il nuovo libro di cui Knox è autrice, «Free: My Search For Meaning», uscito il 25 marzo.

L’amicizia tra Amanda Knox e il magistrato di Perugia

«L’improbabile amicizia di Knox con Mignini» è ciò che inizialmente l’ha portata a scrivere «Free», segnala Rolling Stone. «Uso la scrittura per elaborare i miei pensieri, i miei sentimenti e le mie esperienze. È semplicemente ciò che faccio – ha raccontato Knox -. Ma mettere insieme questo libro è arrivato davvero subito dopo essere andata in Italia a trovare il mio procuratore. Sono uscita da quell’esperienza con la sensazione di aver fatto, per la prima volta, qualcosa per definire me stessa che non fosse solo una reazione a ciò che le altre persone dicevano di me. Era la storia dell’autodefinizione».

Amanda Knox: «La mia seconda prigione»

In base al suo racconto, la Knox ha avuto enormi difficoltà a riprendere in mano la sua vita. Nel 2013 ha pubblicato la sua prima autobiografia, «Waiting To Be Heard», che raccontava nei dettagli il suo calvario. Ma come racconta ora, aveva gravi debiti legali e ha lottato per trovare un lavoro, completare la sua istruzione universitaria. Non importava che fosse stata assolta o che avesse scritto un libro bestseller. Semplicemente il fatto che fosse stata condannata «ha trasformato il mio nome in una specie di prigione».

Il rapporto con Monica Lewinsky

Nell’intervista ha affermato inoltre di aver trovato un’amica intima e un’alleata in Monica Lewinsky. Attivista, scrittrice e personaggio pubblico statunitense, nota principalmente per il suo coinvolgimento nello scandalo politico che ha visto protagonista l’ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, alla fine degli anni ’90. «Monica non è solo un’amica che ti prepara una tazza di tè e che è lì per te per parlare quando hai un momento – ha spiegato Amanda Knox -. Ha aperto la strada alla comprensione tra noi che siamo stati emarginati e resi malvagi e il resto del mondo. Si è davvero messa in gioco per rendere un’esperienza come la nostra comprensibile ad altre persone. In modo che io e persone come me non ci sentiamo come se dovessimo costantemente spiegare noi stessi».

I paparazzi e le minacce di morte

In un’altra intervista rilasciata a People, la 37enne ha spiegato che dopo aver trascorso quattro anni in prigione in Italia, l’unica cosa che desiderava era di tornare ad una vita normale. E nell’anonimato a Seattle. Ciò non fu possibile, «non solo a causa dei paparazzi sempre alle calcagna o alle costanti minacce di morte, ma anche perché ero la ragazza accusata di omicidio, nel bene e nel male quella sarebbe stata per sempre la mia legacy». Ha aggiunto che, nonostante sia stata dichiarata innocente, non ha mai avuto la possibilità di tornare a vivere la sua vita. L‘incubo paparazzi ha segnato anche il suo matrimonio con Chris Robinson, senza dimenticare le minacce di morte. «C’era sempre un significato sottinteso del tipo, ‘Guarda, Amanda vive la sua vita mentre Meredith è morta’. Ora mi dicono ‘Spero che tua figlia muoia così sai cosa ha provato la madre di Meredith’».