«Pelle d’asino? Mica era transessuale come me. O forse sì, che ne sappiamo?» dice Josephine Yole Signorelli, 29 enne siciliana. «Ma è una fiaba universale, in cui ti rispecchi comunque: quella ragazzina che al chiuso della sua cameretta tira fuori dal baule gli abiti più belli potrei essere io». Anche Josephine Yole – consacrata con il titolo di Influencer dell’anno ai Diversity Media Awards 2020, i premi dell’inclusività – ha una storia che arriva a tutti: il senso d’inadeguatezza per un corpo che non è quello che vorrebbe, i 7 interventi per ottenerlo, la gioia di comprarsi un bikini.
Josephine l’ha raccontata in una trilogia autobiografica (Feltrinelli Comics) firmata con il nome d’arte Fumettibrutti. Un caso editoriale capace di catturare un’intera generazione: tantissime «stelle», come chiama lei i follower su Instagram (oltre 147.000), che indipendentemente dall’orientamento sessuale si ritrovano nelle sue vignette zeppe di eros e allergiche ai perbenismi. «Io contro natura? Chi lo dice pensa che io sia contro i suoi dogmi, altro che la natura! È solo una questione di moralismo» precisa lei, affilata come la matita che impugna.
L’esordio con “Romanzo Esplicito”
Romanzo Esplicito, graphic novel con cui ha esordito nel 2018 come Fumettibrutti, ha svelato il suo talento nel raccontare con un tratto scarno e disincantato la fine di un amore. Ma non ha detto niente di P., il bambino dai lunghi capelli biondi che saltava sul tappeto elastico dell’asilo con indosso una gonna da flamenco. «È vero» ricorda Josephine con un sorriso. «La domenica andavo in chiesa e insieme ai miei 3 fratelli disegnavamo storie fantastiche di principesse. Così stavamo buoni e mia madre poteva seguire la messa».
Era la Catania degli anni ʼ90: pane, favole e nessuno spazio per certi discorsi, tantomeno nella sua famiglia che pure aveva intuito. «Come mi consideravo? Non avevo le parole per definire chi ero. Non sapevo che esistessero persone non binarie, che non si riconoscevano in un genere preciso. Ma io ero proprio quello: non un maschio e non ancora una femmina, ma un essere umano che affrontava un percorso».
Il coming out con “P. la mia adolescenza trans”
A quel bimbetto Josephine ha sempre voluto bene. Tanto da svelarne l’esistenza l’anno scorso in P. la mia adolescenza trans. Un coming out inaspettato e impellente. «A lungo ho pensato di poterne fare a meno, ma a un certo punto ne ho sentito il bisogno» spiega. «I miei fumetti sono autobiografici. Omettere quel tassello sarebbe stato poco onesto nei confronti del pubblico, ma anche brutto verso P., che mi ha insegnato tantissimo». P. è per Josephine quello che si definisce “dead name”, il nome di battesimo che corrisponde al sesso biologico. Dead perché è morto: quando una persona dichiara la transizione di genere, l’etichetta (e la sensibilità) vuole che nessuno lo usi più. «È così» dice lei. «Ma trovo che ci sia un’attenzione morbosa nei confronti di tutto questo. Non rinnego P. e, soprattutto, non sono mai morta: sono solo cresciuta».
“Anestesia”, l’ultimo capitolo della trilogia
In Anestesia, l’ultimo capitolo della trilogia, uscito da poco, Josephine ripercorre l’intervento finale della sua transizione di genere. «Quando ho iniziato a lavorarci ho appeso al muro un nastro di carta adesiva con su scritto: “Ti prego, veglia sulle mie intenzioni”» confida. «Non so chi stessi pregando, ma so per certo che mentre disegno mi affido unicamente ai miei istinti. Le tavole più belle nascono quando penso solo a liberarmi delle sofferenze che mi porto dentro».
In questo libro ci sono tutte: l’intervento nella clinica sbagliata, la necrosi che costringe i medici a tagliare via pezzi della sua intimità, le lacrime in solitudine, la fuga a Bologna, dove vive oggi, per ricominciare tutto da capo. «Ma ci sono stati anche momenti belli: mi considero fortunata e rifarei tutto» dice. «Se mi sono sentita emarginata? Non direi. Offesa sì, spesso. A un certo punto lavoravo in un night club, per restituire i soldi di una borsa di studio universitaria persa per un problema di documenti. In quel periodo ho nascosto il mio essere transgender, altrimenti mi avrebbero lasciata a casa. Ecco: dover rinnegare me stessa è stata una forma di violenza».
Il presente è un universo con regole ancora da scrivere. «Con i miei fumetti cerco di spiegare che non si può inquadrare una persona per stereotipi: una non è una troia solo perché le piace fare sesso» dice. «Bisogna decostruire i ruoli, abbandonando schemi che semplificano la società, ma non riflettono le sfumature della natura umana. Penso anche al cliché maschile del “niente baci e abbracci, altrimenti cresci femminuccia”: se per avere un uomo occorre questa castrazione dei sentimenti, c’è qualcosa che non va».
Non è sola, Josephine. Fa parte di una comunità sempre più numerosa, in cui c’è anche Elliot Page, l’attore che ha appena detto addio a Ellen, l’identità femminile con cui era diventata famosa. «Sono contenta per il suo coming out, che oltre a normalizzare la dimensione transessuale, mi solleva da una fatica: supportarci a vicenda è quello di cui oggi tutti noi abbiamo bisogno. Ma sogno un mondo in cui non dovremo più ribadire certi concetti: ci sono così tante cose da scoprire dell’essere umano».