Gianluca Picarello, in arte Ghemon, ha 36 anni, è di Avellino e da più di dieci calca le scene della musica, muovendosi, passo dopo passo, in un territorio tra rap e indie che non ha definizione. Amante del R&B porta a Sanremo 2019 il brano “Rose Viola”, brano elegante e raffinato che parla di amore. Il suo nome si ispira al samurai del cartoon Lupin III.
In passato ha sofferto di depressione e ha avuto il coraggio di parlarne nel suo primo libro, “Io sono. Diario anticonformista di tutte le volte che ho cambiato pelle”, edito da HarperCollins. Non è la sua prima volta a Sanremo, l’anno scorso infatti era stato invitato nella serata dei duetti da Diodato e Roy Pace. Quest’anno ricambia il favore e porta Diodato con sé, venerdì 8. Insieme ai Calibro 35, gruppo funk jazz.
Raccontaci “Rose Viola”.
È un brano che si muove lunga la linea della tradizione d’amore della canzone italiana. Parla di quello spazio grigio, in cui si sta a metà. Non per forza chiaro. Parla di una relazione a metà, sospesa, in cui non si capisce bene se devi allontanarti o tenere stretto a te chi ami. Ho scelto di cantare dal punto di vista di una donna.
Perché viola?
Volente o nolente in questo brano c’è un po’ di malinconia. Il viola è un colore elegante. E me la comunica.
Per Baglioni il tema di questo festival è l’armonia. Cos’è per te?
Una cosa da studiare tutti i giorni, per me. Musicalmente parlando, prima di tutto. Da quando ho tirato fuori la mia anima da cantante, l’armonia è una parte del mio studio quotidiano.
Prendi lezioni di canto?
Ne ho appena finita una proprio ora. Sono un secchione, vado ogni tanto per mantenimento e so che c’è margine di miglioramento.
A chi hai regalato rose l’ultima volta?
Alla mia fidanzata, un giorno, a sorpresa. Noi giochiamo molto su questa cosa del non avere un motivo particolare per regalarci cose. Lei mi chiede sempre “perché? Cosa devo sapere che mi stai nascondendo?”. Ridiamo. Per me è un gesto carino. E pare apprezzato.
Come mai hai deciso di andare a Sanremo?
Ho voluto esplorare una nuova prospettiva rispetto alla mia scrittura, ho provato a calarmi in una sensibilità diversa. L’idea di Sanremo l’avevo da molto tempo. Ho trovato che questo fosse il brano adatto.
Cosa vuol dire per te salire sul palco dell’Ariston?
Un’opportunità, per la quale ho anche lavorato molto. Uno sta nei circuiti più piccoli per anni, anche perché si prepara in tutte le situazioni, anche le più disastrose psicologicamente e emotivamente, a occasioni grandi come quella di Sanremo. Lì sei nella migliore condizione possibile per fare il tuo lavoro, è un bellissimo palco, un bellissimo momento. È una tappa importante di una corsa molto lunga. Tantissime persone vedranno quello che faccio.
Quale canzone faresti ascoltare, delle tue, a chi non ti conosce?
Temporale. È uno dei miei pezzi più fortunati. Il primo disco d’oro della mia carriera e che mi rappresenta sia come vestito musicale che a livello emotivo, anche per chi non ha confidenza con quello che faccio.
Come ti definisci, nella musica?
Tra rap, trap e indie io sono giusto a metà. Non so come definirmi ma so che le mie radici sono di musica hip hop, certo, ma anche soul e R&B. In Italia sono generi poco esplorati, per colpa della lingua. Mi piacerebbe, piano piano, non dico fare “genere a me” che è presuntuoso, ma fare breccia su un genere che negli altri paesi è ben lanciato.
Hai postato sui tuoi social che, mentre in tanti dicono “che stress Sanremo”, per te è bellissimo partecipare. Che cosa ti aspetti?
A casa mia, a Natale, eravamo 18, sono corazzato per le situazioni in cui c’è un sacco di gente che fa casino. Temo qualcosa, ci sarà molta emozione. Anche tensione. Ma sono concentrato per giocare le mie carte al massimo. Prendo Sanremo come un grandissimo regalo. E poi nella mia carriera ho visto palchi grandi e piccoli, dal centro sociale alla piazza. In vari stadi della mia vita. Prendere contatto con un’altra realtà è bellissimo.
Riuscirai a tenere a bada il tuo perfezionismo?
Quella settimana è la realizzazione di tutti gli sforzi fatti prima. Stare attento a qualsiasi dettaglio è è quello che fa la differenza, quando hai tutti gli occhi puntati addosso. Sto cercando di non lasciare nulla al caso. Così vado tranquillo.
Look sul palco?
Cercherò di essere elegante. Ma con le sneakers ai piedi. Le colleziono, lì non mancheranno.
Libro sul comodino?
In inglese. “Creative quest”. Di Questlove, il batterista dei Roots. È un libro sulla creatività, sulle sue fonti, su come si sblocca. Ci lavoro da sempre.
Ci sarà un album dopo il Festival?
Ci sto lavorando. Ma non uscirà subito. Sarà il mio sesto album… Sono molto attento ai dettagli, appunto, e sento che devo lavorare ancora un po’ per fare uscire disco di livello. Una ribalta come quello di Sanremo vorrei che portasse a dire al pubblico che mi sono meritato quel posto.