Un, deux, trois… e poi il fischio che faceva iniziare lo spettacolo più amato da noi bambini. Era la fine degli anni ’80 e Giochi senza frontiere ci metteva di fronte al mondo che avremmo voluto abitare da grandi: un continente senza confini, con popoli che si sfidavano solo per divertimento e il logo dell’Eurovisione ad affratellarci tutti. Oggi Jeux sans frontières, così in originale, è tornato il giovedì in prima serata su Canale 5 con un titolo che meglio si adatta al millennio in corso: Eurogames. E ci mostra quello che siamo diventati.

Com’è cambiata l’Unione

La prima edizione, ideata da 3 francesi con un occhio al futuro, andò in onda nel 1965. «Giochi senza frontiere è stato il primo programma pensato in chiave europea: il servizio pubblico del Vecchio Continente non ha mai più prodotto niente del genere» osserva Aldo Grasso, critico tv del Corriere della Sera. «La base era il format italiano Campanile sera, a sua volta mutuato dalla trasmissione radiofonica Campanile d’oro. Era il tempo in cui l’Italia si apriva agli altri Paesi: il primo esito dei Giochi furono i gemellaggi dei nostri Comuni con tante cittadine straniere».

Lo spirito era insieme ambizioso e profetico. «In quel “parlamento” ludico c’era un’anticipazione del futuro assetto dell’Ue» spiega la sociologa Anna Bisogni, docente di Storia dei linguaggi della radio e della televisione all’università Roma Tre. «Come i quiz alla Lascia o raddoppia? avevano unificato il nostro Paese, così Jeux sans frontières ha creato un ambiente condiviso a livello continentale. La nostra europeizzazione è avvenuta prima attraverso la tv». Oggi, tra Brexit e sovranismi, le cose sono diverse. Ed Eurogames risponde allargando il campo a nuovi team: dei 6 partecipanti, 4 sono storici (Italia, Spagna, Germania e Grecia), gli altri 2 al debutto (Russia e Polonia).

Com’è cambiato lo show

Il mitico Denis, l’arbitro belga munito di fischietto che dava il via al gioco, è oggi sostituito dal “signore degli anelli” Jury Chechi, a capo della nuova compagine di giudici. Ma il passato non si può mettere nell’armadio: restano il leggendario Fil rouge, il Pallodromo che fa rotolare i concorrenti dentro sfere giganti e il Muro dei campioni da scalare a mani nude. «Sarà però difficile ricreare personaggi di culto come Guido Pancaldi, rimasto per 20 anni l’arbitro italiano più famoso» ricorda Grasso. Oggi si punta sui singoli concorrenti. Ogni squadra è divisa in 5 gruppi che rappresentano 5 diverse città, per sfidarsi con gare ispirate a usi e costumi di ciascun Paese. Saranno 300 le persone coinvolte in totale, ma il vincitore solo uno. Anche questo è un segno del tempo che si è trasformato: uniti in una stessa grande rete (tu chiamala, se vuoi, network), ma con un’identità individuale da difendere.

Come siamo cambiati noi

Il nuovo Eurogames segue l’ondata di remake tv che ha già sfornato Portobello con Antonella Clerici e Vuoi scommettere? con Michelle Hunziker (ispirato a Scommettiamo che…?). «La differenza è che oggi siamo molto meno ingenui» commenta il critico del Corriere. «Dagli anni ’60 agli anni ’80, vedere un popolo straniero in tv faceva un grande effetto: ora viviamo nel mondo RyanAir, siamo iperconnessi». Lo scarto è anche sociologico. «Il pubblico di un tempo viveva nella dimensione del possibile, del riscatto economico e sociale, del sogno» nota Anna Bisogni. «Il montepremi era in Ecu: una moneta unica ante-litteram, quando per tutti l’euro era una chimera». Ci resta la nostalgia. «Questo show rappresenta l’infanzia della nostra generazione» nota la conduttrice Ilary Blasi. «Tornare ai programmi di ieri, appuntamenti fissi da vedere in famiglia, può sembrare un’idea antica, ma io la trovo bellissima». Un, deux, trois… un fischio. E, anche se tutto è cambiato, la nostra infanzia ricomincia.