Una favola molto romantica, una saga familiare, romanzi che scavano nelle relazioni familiari difficili. I libri di questa stagione affrontano i temi che coinvolgono di più le donne. “Il nido” è diventato subito un best sellers negli Usa. “La gemella sbagliata” è un thriller psicologico che scava nell’ambiguo rapporto tra sorelle identiche e piacerà a chi si è lasciata catturare da “La ragazza del treno”. La “Locanda dell’Ultima solitudine” è una storia d’amore fiabesca. “La figlia femmina” segna l’esordio una giovane scrittrice che si misura con un tema difficilissimo, la pedofilia, con grande sensibiltà. “Non cercare l’uomo capra” getta uno sguardo originale e ironico sulle nuove coppie miste. Ma, come recita una felice battuta del libro, quale coppia non lo è?
“La locanda dell’Ultima solitudine”, Alessandro Barbaglia (Mondadori)
Una locanda di legno in riva al mare, con un tavolo e due sedie, e una prenotazione fatta 10 anni prima, dà il titolo al sorprendente romanzo di Alessandro Barbaglia: “La Locanda dell’Ultima solitudine” (Mondadori). Il protagonista è Libero: vive nel centro della Città Grande, in una casa blu e vuota, ferma nell’attesa che un sogno la riempia. Il sogno arriva, 10 anni più tardi, dalla vicina collina di Bisogno. Viola vive qui con la madre Margherita, che di mattina accorda i fiori, perché i pensieri belli nascono da fiori ben accordati. E di pomeriggio affitta stanze per urlarci dentro, perché la gente urlando spazza via il dolore. Alla Locanda dell’Ultima Solitudine si fermano 2 tipi di persone: chi scappa da qual- cosa e chi insegue un posto lontano. Eccolo, il sogno di cui parla Barbaglia in questa sua favola contemporanea: quando il tempo si ferma, e passato, presente e futuro si ritrovano nello stesso momento. Non è che un sussurro, ma sufficiente per convincere due sconosciuti, «due isole lontane che si accorgono, per l’istante di un’onda, d’esser dentro uno stesso azzurro». Chi abbia costruito la locanda, quali prelibatezze si assaporino, e quale magia si nasconda dietro la storia di Libero e Viola, è un segreto che sarà rivelato. Ma per saperne di più bisogna affrettarsi a prenotare…
Cristina Bellon
“La gemella sbagliata”, Ann Morgan (Piemme)
L’inizio di “La gemella sbagliata” (Piemme) è fulminante. Le sorelline Helen ed Ellie, 6 anni, decidono di scambiarsi abiti e ruoli. Sembra un gioco divertente: sono così identiche che tutti fanno fatica a riconoscerle. Anche se tra i gemelli c’è sempre un leader (in questo caso Helen) e una spalla (Ellie), persino la mamma, per differenziarle, pettina una con i codini e l’altra con la treccia. Nei panni una dell’altra, le due bambine potranno ridere delle gaffe e degli equivoci, prendendo in giro il mondo intero. Ma è proprio così? Il gioco delle parti si protrae e i ruoli si confondono. Anche in famiglia sembra non si siano accorti dello scambio. E per Helen, voce narrante del romanzo, comincia l’incubo. Cresce guardando la sorella fare una vita ricca di soddisfazioni e affetti – quella vita che era destinata a lei – mentre la sua esistenza diventa sempre più triste, cupa e problematica. Se ti piacciono gli intrighi psicologici, “La gemella sbagliata” non ti deluderà. In questo romanzo tutto è doppio: il timbro narrativo, le storie, i personaggi, i punti di vista. E il risultato è una vertigine di senso. Chi è chi? Sarà vero quello che sto leggendo o è solo frutto della mente della protagonista? L’autrice, Ann Morgan, vive a Londra e collabora con il Guardian. Proprio come Paula Hawkins, che ha scritto il bestseller “La ragazza del treno” (Piemme). Molti troveranno delle somiglianze fra i due libri. In effetti, il filone è lo stesso e qui funziona alla grande. Perché la storia delle due gemelle ti cattura. Fino alla fine.
Isabella Fava
“Il nido”, Cynthia D’Aprix Sweeney (Frassinelli)
I soldi condizionano la nostra vita. Quando ci sono, tutto scorre felicemente; se scarseggiano, cominciano i problemi. “Il Nido” (Frassinelli), il romanzo dell’esordiente americana Cynthia D’Aprix Sweeney, ruota intorno al gruzzoletto accumulato da un padre benestante, Leonard Plumb, per il futuro dei 4 figli: il “nido”, appunto. Di questi soldi, però, i ragazzi potranno godere solo al 40esimo anno di età di Melody, la minore. Il libro si apre con una scena hollywoodiana: Leo, il più bello e il più grande, scappa da un matrimonio su una Porsche presa a noleggio insieme a una cameriera 19enne. Peccato che sia ubriaco e “fatto” di cocaina: la sua fuga sfocia in tragedia. Tragedia che dà l’avvio a una intricata vicenda di rancori, depressioni, frustrazioni e menzogne collegate fra loro dai soldi del nido. Se non fosse per colpa di quel maledetto incidente a cui Leo ha dovuto porre rimedio sperperandone gran parte, Jack, Bea e Melody avrebbero la loro fetta di eredità, coprirebbero i propri debiti, la loro esistenza cambierebbe. Il romanzo è diventato un bestseller negli Usa e ha conquistato i critici più severi (da quello del New Yorker a quello del New York Times). Il merito va alla potente descrizione dei personaggi e delle loro debolezze, e all’affresco della New York in cui si muovono, fra case editrici che annaspano e si dedicano al gossip, casalinghe che vogliono ottime università per i figli, scrittori mancati, antiqua- ri falliti. Persone con piccoli sogni che si nascondono dietro a false grandi apparenze.
Isabella Fava
“Ultima la luce”, Gaia Manzini (Mondadori)
Interni borghesi in cui può capitare di invitare a cena l’amante di tuo marito, per metterla alle strette, ma senza che voli un piatto. È questa la cornice narrativa del nuovo romanzo di Gaia Manzini, “Ultima la luce” (Mondadori): la storia di una bella famiglia che si sfascia per la morte di Sofia, la signora che aveva compiuto quel gesto coraggioso. Il protagonista maschile di quel tradimento, Ivano, è un ingegnere dai tratti zen. Rinuncia alla ragazza che aveva messo a rischio il suo matrimonio in nome del senso del dovere. Non fa una piega quando la figlia torna a vivere da lui, incinta di un fidanzato con cui non va più d’accordo ma incerta se tenere il bambino. Non perde la testa, o almeno non subito, quando conosce un’altra donna. Ma soprattutto, mantiene la calma quando suo fratello gli confida un segreto che rimetterà in discussione i sentimenti che provava realmente sua moglie. Siamo sicuri di conoscere le persone con cui abbiamo passato la maggior parte della nostra esistenza? Lasciamo ai lettori il gusto di scoprire come va a finire quest’opera elegante e sofisticata. Ma possiamo svelare il senso di tutto il libro, parzialmente autobiografico, come confida l’autrice: anche se la vita ti mette a dura prova c’è sempre la possibilità di un nuovo inizio, che si tratti di di una creatura che viene al mondo, di un trasloco, o perfino di un nuovo amore.
Annarita Briganti
“La figlia femmina”, Anna Giurickovic Dato (Fazi)
In un mercato editoriale sempre più ampio e dal consumo veloce, soprattutto per quanto riguarda la narrativa, imbattersi in qualcosa di completamente nuovo e profondo, peraltro firmato da un’esordiente, è piacevole. Ed è così che è andata con “La figlia femmina” di Anna Giurickovic Dato (Fazi), opera prima che affronta temi serissimi e attuali: la pedofilia, l’incapacità degli adulti di difendere i bambini e quella dei genitori di comprendere i figli adolescenti, una società multiculturale più nelle intenzioni che nei fatti, la difficoltà di affrontare la vita dopo un lutto. Il romanzo racconta la storia di Maria, 13enne romana bella e complicata, e del suo rapporto con il padre Giorgio, al quale è legata da un segreto inconfessabile che affonda le radici nell’infanzia, e con la madre Silvia. Silvia, che è anche voce narrante della storia sviluppata tra l’Italia e il Marocco, ha parecchie occasioni per accorgersi che qualcosa nel comportamento di sua figlia non va. Ma, come ammetterà soltanto dopo la morte del marito, «l’amore immenso che mi rendeva cieca, la pigrizia di una mente felice e il mio totale abbandono allontanarono dai miei occhi quello che oggi mi torna sotto forma di ricordo in maniera chiara e limpida, e mi porta a pensare che avrei potuto salvare mia figlia». Di salvezza, nel libro, non c’è quasi traccia. Di talento, invece, sì: a 27 anni, Anna Giurickovic Dato gioca con le parole come farebbe una scrittrice matura e lascia nel lettore un senso di nausea forte. In tempi di letteratura talvolta piatta, la cosa è tutt’altro che negativa.
Gianluca Ferraris
“Non cercare l’uomo capra”, Irene Chias (Laurana)
Uno sguardo lieve, lontano dagli stereotipi e a tratti irresistibilmente ironico sui rapporti fra le persone. Dialoghi brillanti e profondi. Storie vere o verosimili, nelle quali molti di noi si riconosceranno. Incontri che creano nuovi mondi oppure, a sorpresa, generano lontananza. In “Non cercare l’uomo capra” della scrittrice siciliana Irene Chias (Laurana), ambientato in una Milano ovattata che fatica a tenere il passo con la sua multiculturalità, si alternano le storie di uomini migranti e di donne italiane che li accolgono, non necessariamente in senso sentimentale. C’è Luisa, io narrante del romanzo, incagliata in uno stallo sessuale ed emotivo dal quale prova a uscire frequentando Assane, ex vucumprà senegalese bigamo, appassionato di poesia e dischi; ci sono un violinista rom e un pallavolista argentino in cerca dell’anima gemella; c’è l’oroscopo cinese che si fonde con la sharia islamica. Ci sono le difficoltà di Simona e Sedia, coppia mista («Ma quale coppia non lo è?» è una delle frasi-chiave del libro). Ci sono amiche che discutono di monogamia, promiscuità, gelosia, matrimonio, sesso. C’è molto delle giovani donne di questi anni, della noia e del desiderio di individualità di ognuna, del disagio di un’epoca dove le relazioni non sono mai facili ma proprio per questo vanno affrontate con leggerezza e voglia di arricchirsi.
Gianluca Ferraris