«Ho appena visto L’amica geniale. Lei l’ha visto?». La prima domanda me la fa lui quando gli racconto che ho studiato Cinema nella città dove ci incontriamo per l’intervista. Bologna è per Ian McEwan la prima tappa del tour di presentazione del suo nuovo romanzo Lezioni (Einaudi). Ci vediamo in un vecchio ed elegante hotel a due passi dalle Torri degli Asinelli. La hall è tranquilla e accogliente, un po’ stile british, con mobili antichi e divanetti bianchi. Un grande lucernario fa entrare i raggi del sole e dà ancor più intensità al volto e alle parole dello scrittore inglese. «Lo script è tutto» mi spiega elogiando la serie tv tratta dai romanzi di Elena Ferrante e versandomi un bicchiere d’acqua. Il discorso si infittisce quando gli confesso che sono diventata sua fan dopo aver guardato anni fa, in uno di quei piccoli festival per cinefili, il film tratto dal libro Il giardino di cemento. Dopo la proiezione ero subito corsa a comprare il romanzo. L’incontro con la scrittura di Ian McEwan era stato fulminante.
Ian McEwan: i film tratti dai suoi libri
Sono seguiti Cortesie per gli ospiti, Bambini nel tempo, Lettera a Berlino, Amsterdam, L’amore fatale, Espiazione, La ballata di Adam Henry. Uno più bello dell’altro, quasi tutti diventati film: narrazioni così potenti da travalicare i confini della pagina. Protagonista di Lezioni è Roland Baines, un uomo apparentemente senza qualità. Non cavalca le sue doti, tra le quali una precoce abilità al pianoforte: preferisce farsi attraversare dalla vita passando da un’esperienza all’altra come una barca cullata dalle onde. Lo conosciamo a 11 anni, nel 1959, quando lascia il sole della Libia per affrontare un’istruzione rigida e solitaria nella fredda Inghilterra; lo lasciamo nel 2021 sotto la minaccia del Covid e del riscaldamento climatico. Lo seguiamo nelle sue relazioni con le donne – l’insegnante di piano del collegio; l’ex moglie anglo-tedesca; l’amica francese; la fedele Daphne, amica e poi seconda moglie; la madre – e nel rapporto col figlio, il padre, i suoceri, gli amici. Roland Baines è presente nei momenti clou della nostra epoca: la minaccia di una terza guerra mondiale durante la crisi della Baia dei Porci, il crollo del Muro di Berlino, l’incidente nucleare di Chernobyl…
Ian McEwan : “in Lezioni il protagonista in parte sono io e in parte no”
Ian McEwan non nasconde che nel romanzo c’è molto di lui: l’anno di nascita, il 1948, Londra come ambientazione, perfino alcuni eventi vissuti in prima persona. Ma il respiro del libro è così ampio da riguardare tutti, l’esistenza di Roland Baines è emblematica, la Storia è la nostra.
Come è riuscito a condensare oltre 70 anni di storia seguendo la vita di un solo uomo?
«Prima di iniziare a scrivere questo libro ho fatto una lista di tutti gli avvenimenti principali che sono successi durante la mia vita: dalla crisi del canale di Suez alla pandemia. E ho cominciato a farmi delle domande su quanto questi eventi penetrino nelle nostre esistenze, anche in quelle di coloro che non seguono ogni giorno le notizie. Quanto influenzino la cultura. Mi ci è voluto un po’ di tempo, poi, per definire il personaggio. Che in parte sono io e in parte no. La mia e quella di Roland Baines sono storie che si incontrano e poi divergono» continua Ian McEwan «Ciò che descrivo all’inizio, il ragazzino che viene adescato sessualmente dall’insegnante di piano, per esempio, non mi è mai successo. Ma quando ho riletto quel passaggio mi sono reso conto che la stanza che descrivevo era la mia scuola da ragazzo. In quel punto l’invenzione e la memoria si sono incontrati. Ho continuato intrecciando le nostre vite, usando ciò che della mia storia personale sarebbe stato funzionale alla storia di Roland Baines».
Qual è stato l’evento che più ha lasciato il segno?
«La Seconda guerra mondiale. Perché niente più della guerra penetra nella vita delle persone. Lo vediamo ora in Ucraina: famiglie distrutte, milioni di persone che abbandonano il Paese, bambini allontanati e spediti in Russia. Pensi al dolore e allo strappo. È quello che è successo alla mia famiglia, a mia madre e all’uomo che poi sarebbe diventato mio padre: hanno dovuto abbandonare un figlio nato dalla loro relazione extraconiugale e lasciarlo in adozione (è il fratello, nato nel 1942, che Ian McEwan solo nel 2002 ha scoperto di avere, ndr)».
Chi è Roland Baines, il protagonista del nuovo libro di Ian McEwan
Ma che uomo è Roland?
«Non è facile dirlo, perché in qualche modo ci sovrapponiamo: la più grande differenza è che lui lascia la scuola a 16 anni per scappare dall’insegnante di piano, mentre io ho concluso la mia educazione con l’università. È un uomo intelligente ma che non rincorre il successo, anche se poi la sua vita diventa un successo».
Non è uno che si lascia trasportare dagli eventi?
«Alcuni critici hanno scritto che è un tipo passivo ma, guardando bene la sua vita, Roland ha fatto molte cose: ha cresciuto un figlio da solo; ha fatto entrare libri e dischi di contrabbando a Berlino Est; quando c’è stata la crisi dei missili a Cuba ha preso una decisione che gli ha cambiato la vita; si è formato studiando e leggendo senza andare all’università. È un uomo colto, che riflette. Come si fa a considerarlo passivo? È uno che vive esaminando la vita e, come tutti noi, la mette a confronto con quella degli altri. Lo vediamo verso la fine del romanzo, quando va a trovare l’ex moglie che l’ha abbandonato ed è poi diventata la più grande scrittrice europea: prima di chiudere la porta dietro di sé per sempre, misura la sua vita con quella di lei e la vede da sola, malata, in una brutta casa, mentre lui è circondato dall’affetto del figlio e della nuora, dai figli acquisiti dal secondo matrimonio, dai nipoti. Ha una famiglia, che vuol dire tanto. Il confronto è sempre difficile, ma la vita di Roland non è un fallimento».
Il senso del libro?
«Diciamo che qui si tratta di contrastare il pessimismo crescente nei confronti del mondo. E capire quale importanza attribuiamo alla felicità personale. Chi siamo, cosa vogliamo e cosa ci aspettiamo dalla vita. Che senso le diamo e com’è oggi. Come funzionano i nostri rapporti, le nostre relazioni amorose. A me interessa scrivere di questo. Sì, Roland è una specie di mio alter ego ma è anche molto lontano da me. È la vita che avrei potuto condurre se non fossi diventato un autore: non ho mai voluto un lavoro, ho sempre desiderato vivere ai margini, facendo come Roland, insegnando a giocare a tennis, suonando nei piano bar, scrivendo un po’ di poesia. Roland è una di quelle persone che non hanno una carriera ma sono molto competenti, che attraversano l’esistenza cambiando anche 10 o 20 lavori. Non hanno risparmi ma un’alta qualità della vita, credono nell’amicizia e non nella politica. Viaggiano, leggono, guardano film. Come la nuova generazione di giovani che i sociologi non hanno ancora preso in considerazione».
La caduta del Muro di Berlino
Dice che il libro è e non è la sua storia, ma ci sono pagine molto accurate. Come quelle in cui racconta il giorno in cui è caduto il Muro di Berlino. Lei c’era?
«Sì. Ho avuto una lunga storia con Berlino. C’ero stato nel 1961, a 13 anni, e ne ero rimasto affascinato. Ho scritto un romanzo ambientato là, The innocent (Lettera a Berlino, ndr), che ho finito nell’estate del 1990. Era una storia che mi aveva molto coinvolto: il Muro, il tunnel scavato sotto. Sentivo che tutto questo stava per finire, ma poi quando hanno abbattuto il Muro sono rimasto stupito. Ho preso un volo e mi sono unito alla folla festante, a questa nuova “no man’s land”. Per scrivere quel passaggio in Lezioni mi sono affidato ai miei diari di quei giorni».
C’è un altro passaggio nel suo libro che è magnifico: quando Roland 14enne va a casa della maestra di piano e con lei suona Mozart a quattro mani. C’è un crescendo che sembra quasi un atto d’amore.
«Qualche anno fa sono stato a cena a casa dello scrittore Julian Barnes. Abbiamo un’amica in comune che è una famosa pianista, Angela Hewitt: è venuta accompagnata da un altro celebre pianista canadese. Eravamo solo noi quattro e dopo cena, su un piano un po’ scordato, loro hanno suonato per noi. Era un venerdì sera e ho pensato che nessuno a Londra in quel momento poteva essere più felice. C’è una tale gioia nella musica classica».
C’è qualcosa che, invece, le fa paura?
«Sì: come stiamo rovinando il mondo».