Di persona è bello come sullo schermo: occhi di ghiaccio, voce calda, sorriso furbo… E un certo non so che di vulnerabile, quando confida che «a 13 anni sapevo già cosa volevo, e non ho mai smesso di crederci». Austin Butler, classe 1991, di Anaheim, California, è oggi uno degli attori più richiesti di Hollywood, anche se gli esordi non sono stati folgoranti. Dopo qualche particina in serie teen su Disney Channel, ottiene visibilità con The Carrie Diaries, prequel di Sex and the City, e The Shannara Chronicles, ma entrambi vengono interrotti dopo sole 2 stagioni. La svolta? Grazie al teatro, quando recita a Broadway accanto a Denzel Washington nella pièce Arriva l’uomo del ghiaccio. È il 2018 e anche il cinema si accorge di lui: I morti non muoiono di Jim Jarmusch, C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino. E la consacrazione con Elvis di Baz Luhrmann, nel ruolo del re del rock’n’roll che nel 2023 gli vale la nomination all’Oscar come migliore attore protagonista a 31 anni.
Tre titoli in uscita per Butler
Diventato intanto un sex symbol, nonché ambassador del profumo maschile MYSLF di Yves Saint Laurent, protagonista lo sarà anche del 2024: in Masters of the air, serie sulla seconda guerra mondiale prodotta da Tom Hanks e Steven Spielberg, ora su Apple TV+; nell’atteso Dune – Parte Due di Denis Villeneuve, in sala dal 28 febbraio; in The Bikeriders di Jeff Nichols, atteso a giugno negli Usa.
Intervista a Austin Butler
Dopo Elvis ha scelto ruoli molto diversi: come mai? «Una sera a cena Tom Hanks (che in Elvis interpretava il colonnello Tom Parker, controverso manager di Presley, ndr) mi disse che mi vedeva molto provato e che per la mia salute mentale sarebbe stato opportuno trovare subito un altro ruolo. Aveva ragione: verso la fine delle riprese iniziavo a sentirmi depresso, perché l’unica cosa che sapevo fare stava per finire. Per fortuna Tom mi propose Masters of the air e il personaggio del maggiore Gale “Buck” Cleven, a capo dell’eroico 100° Gruppo Bombardieri degli Stati Uniti che diede un enorme contributo alla sconfitta della Germania nazista. Due settimane dopo ero in viaggio per Londra, dove per un anno ho ritrovato una vita normale».
Quanto è normale la sua vita dopo Elvis? «Normale oggi significa poter vedere gli amici, passare del tempo con la famiglia… Ma Elvis è un ruolo che porterò sempre con me, e non solo perché ho reso felici le mie nonne, che lo adoravano! (sorride, ndr). Lui rimase fedele a se stesso, mi ha insegnato a fare altrettanto, indipendentemente da quello che gli altri pensano o vogliono».
Ha parlato di salute mentale. Come mantiene l’equilibrio e il contatto con la realtà? «Mia madre era solita scrivere ogni mattina 10 cose per cui era grata. Dopo la sua morte, ho trovato i quaderni con queste liste: c’erano anche piccole cose, all’apparenza insignificanti, tipo “le unghie, perché posso mettere lo smalto”. Leggendo quelle parole, ho capito che la vita dipende dalla lente attraverso cui la guardi: nulla ti può sembrare bello se non sei capace di apprezzarlo. Oggi cerco di fare le mie liste, per ricordarmi quanto sia fortunato. E medito ogni giorno».
Lo fa da molto? «Ho iniziato 10 anni fa, sempre dopo la morte di mia madre (di cancro, ndr). Ero un bambino introverso, non ho mai avuto molti amici finché non ho scoperto la recitazione. Meditare per me significa ritrovare il mio mondo interiore, è terapeutico avere un momento della giornata in cui concentrarmi sui miei pensieri».
Altri momenti che dedica a sé? «La sauna seguita da un bagno freddo mi aiuta a dormire. Per rilassarmi leggo, adoro le sceneggiature: non so quante volte ho letto quella di Pulp Fiction, conosco a memoria ogni battuta, vai a pensare che un giorno avrei lavorato con Quentin… E poi cucino, sono diventato bravissimo a fare la pizza».
Come ha imparato? «Prima di iniziare a girare Elvis ho affittato a Los Angeles una casa che apparteneva a Gary Oldman. In giardino c’era un bellissimo forno per la pizza e io, essendo curioso di natura, ho iniziato a studiare quale fosse il legno migliore per accendere il fuoco, poi ho imparato a fare l’impasto e a scegliere i pomodori per la salsa. Ci ho lavorato per mesi, poi un Natale ho cucinato pizza per tutta la famiglia!».
In Dune – Parte Due è il malvagio Feyd, che nell’originale del 1984 era interpretato da Sting. Un’altra bella sfida… «La prima volta che ho incontrato Denis Villeneuve, e abbiamo parlato del mio personaggio, ero nervosissimo. Mi succede sempre, ogni volta che inizio un nuovo progetto sento di dover dare il meglio di me. Ma se ai tempi di Elvis ero paralizzato dal terrore, oggi ho imparato a gestire le mie emozioni. Invece di farmi bloccare dalla paura, cerco di “usarla”, di trasformarla in energia per fare il miglior lavoro possibile».
Se Dune – Parte Due è un kolossal, The Bikeriders è un film on the road. «Sì, è ispirato al lavoro del fotoreporter Danny Lyon, che negli anni ’60 seguì e ritrasse un gruppo di motociclisti, i Chicago Outlaws. Mi è piaciuto molto tornare a un cinema indipendente, più intimo in un certo senso. E, considerato che adoro le moto, anche sfrecciare senza casco attraverso sterminati campi di grano nel Midwest: mi sono sentito libero».
Come immagina il futuro della sua carriera? «Non lo immagino. Il mestiere dell’attore, più che uno sprint, è una maratona: il traguardo finale è lontano. Ma, come dicevo, già adesso sono grato: mi sono dedicato a questo lavoro fin da bambino, ho l’opportunità di vivere esperienze uniche, lavorare con persone straordinarie, sperimentare cose che forse non avrei mai fatto. Imparo ogni giorno».
La lezione più importante, finora? «Me l’ha data Denzel Washington la prima volta che sono salito sul palco con lui a Broadway. Disse: “Per questa parte scegli un profumo e indossalo sempre prima di andare in scena: ti aiuterà a ricordare le battute”. Così per ogni nuovo ruolo scelgo un profumo diverso e quando lo annuso entro completamente nel personaggio».