Quando parla della sua vita da mamma, l’attrice romana Giulia Bevilacqua, 45 anni, ha gli occhi che ridono, specie quando sottolinea che, a differenza del personaggio che interpreta in 10 giorni con i suoi, dal 23 gennaio al cinema per la regia di Alessandro Genovesi, non è affatto una «malata di perfezione». È, anzi, la prova che si può conciliare una vita privata appagante con una brillante carriera, senza mettere a tacere le proprie vulnerabilità. L’abbiamo appena vista anche nelle serie tv Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso e il Patriarca.
Giulia Bevilacqua, tra famiglia e lavoro
Come è cambiato il suo approccio al lavoro?
«Prima facevo una cosa e pensavo già alla successiva, aspettavo arrivasse sempre qualcosa di più grande e bello, oggi mi godo quello che ho con grande felicità e onestà».
Si sente mai in colpa quando è via da casa?
«No. Pur essendo piccoli, i miei figli (Vittoria ed Edoardo, avuti dal marito giornalista Nicola Capodanno, hanno 6 e 4 anni, ndr) sanno che mamma fa il lavoro che la rende felice e soprattutto che, anche se è lontana, li pensa sempre».
Giulia Bevilacqua, come accorcia le distanze quando è lontana?
«Li videochiamo ogni giorno, è un modo per mantenere la routine quotidiana: li guardo mentre fanno il bagnetto la sera e ci raccontiamo la giornata. Mia figlia l’altro giorno si era offesa perché secondo lei avevo dato un abbraccio virtuale più grande al fratello, poi mi ha richiamato di na- scosto e mi ha detto: “È inutile che faccio la dura e fingo che non mi manchi, perché mi manchi e sono triste”. Mi ha riempita di orgoglio, perché ha dimostrato di aver capi- to che tutte le emozioni devono esistere, anche la rabbia e la tristezza. Accettarle e condividerle è il primo passo per far sì che non sfocino in violenza, verbale o fisica».
Come insegna il rispetto a bambini così piccoli?
«Come è stato insegnato a me: non tanto con le parole quanto con i fatti. Con gesti di ascolto e di gentilezza verso il prossimo, senza alcuna distinzione».
Le nuove generazioni e l’educazione affettiva
Come le sembrano le nuove generazioni?
«Parecchio avanti, non fanno caso al colore della pelle, non fanno discriminazioni di genere o cultura. Poi anche tra di loro ci sono fenomeni preoccupanti, come il bullismo, da parte di ragazzi che non sono stati educati alla gentilezza e al rispetto che dicevamo. Bisognerebbe poterli assistere fin dai primi anni di scuola, attraverso un’educazione affettiva adeguata. Gli stessi insegnanti dovrebbero seguire corsi per imparare ad ascoltare i disagi dei ragazzi e aiutare sia loro sia i genitori a porvi rimedio. La scuola è un luogo fondamentale per la formazione dei nostri figli, ci passano la metà del loro tempo, e trovo preziosa la presenza di psicologi. Nell’istituto pubblico che frequentano i miei ce n’è una a cui noi genitori possiamo rivolgerci»
Lei lo ha fatto?
«Più volte, non perché i miei figli avessero particolari problemi, ma per capire meglio io come aiutarli nella manifestazione delle emozioni. Nessuno ci insegna a fare i genitori, io ho una famiglia che mi ha aiu- tata, ma non è così per tutti».
La vita da mamma di Giulia Bevilacqua
Com’è cambiata da quando è mamma?
«In meglio. Prima la mia vita era incentrata su di me, ero piena di aspettative e preoccupazioni, mi arrovellavo per cose poco importanti. Un figlio diventa di colpo la priorità, due ancora di più. L’amore, quello che provi e quello che ti restituiscono, ti fa vibrare: è un’esplosione di emozioni all’ennesima potenza. Ho scoperto l’immensa gioia di dedicarmi al bene di qualcun altro in modo incondizionato».
L’altro lato della medaglia qual è?
«Ovviamente, una grande fatica. La seconda gravidanza, pur bellissima, l’ho passata in una casa “d’appoggio”. Con mio marito ci eravamo trasferiti da Milano a Roma, ma non potevamo fare il trasloco perché era appena scoppiata la pandemia. Avevo con me giusto un trolley e neanche un gioco per Vittoria, con Nicola che aveva appena iniziato un nuovo lavoro. Quando è nato Edoardo, il post partum è stato faticoso: non so dire se abbia avuto una vera depressione, ma lui non ha chiuso occhio per i primi 3 anni e per me è stato davvero difficile, ho avuto un esaurimento nervoso. Ero stressata, stanca. Per fortuna ho continuato a lavorare, mi ha aiutato a distrarmi».
Come ne è uscita?
«Sono fortunata, ho una grande rete di supporto. Mia sorella mi segue tantissimo, mio marito e le mie amiche mi sostengono. Parlare della maternità solo come stato di grazia è limitativo, trovo giusto raccontare anche gli aspetti negativi: le giornate storte, il bisogno di sonno, il senso di inadeguatezza. E l’alienazione di quando sei sola tutto il giorno con bambini piccoli dolcissimi che però non parlano. Mai dire “Faccio tutto io”, combattiamo il delirio di onnipotenza da neomamme e impariamo a non caricarci tutto sulle spalle: è fondamentale riconoscere di avere un disagio e chiedere aiuto il prima possibile».
Anche ritagliarsi spazi per sé…
«Quello è fondamentale. Che sia una coccola, una passeggiata, uno sport. Quando ho imparato a prendermi cura di me, le cose sono migliorate. Se la mamma sta bene, i figli stanno bene: non è un luogo comune. E non è la presenza costante a rendere autentico il tuo rapporto con loro».
Giulia Bevilacqua: amore e amicizia
È cambiato anche il suo modo di stare nelle relazioni?
«Prima ero portata a compiacere i desideri altrui, dicevo sempre: “Dove mi metti sto”. Perché, è vero, è raro che mi lamenti, ma non è detto che, pur non facendolo, io stia bene. Oggi so che è mia precisa responsabilità scegliere dove e con chi stare. So dire no alle cose che non mi vanno. Mi sono lasciata alle spalle anche la paura del giudizio altrui, la voglia di essere sempre apprezzata: ho imparato ad alzare la testa e dire la mia».
Che cos’è oggi l’amore per lei?
«Tutto, io vivo d’amore. Per i miei figli, mio marito, i miei amici. L’amore di coppia è sempre in evoluzione, se si appiattisse sarebbe finito. Ci sono conflitti, momenti di calo e risalite, l’importante è crederci e non perdere mai di vista gli aspetti fondamentali del rapporto: la collaborazione, la condivisione di gioie e dolori, la complicità».
La sua collega e amica Claudia Pandolfi la definisce “sua moglie”.
«Ci siamo conosciute 20 anni fa a Distretto di Polizia, siamo amiche sincere. Non ci sentiamo tutti i giorni, ma c’è attenzione, complicità e comprensione reciproca: anche se abbiamo vite molto impegnate, sappiamo che lei c’è per me e io ci sono per lei. Non ci prendiamo mai sul serio, anche se siamo professioniste serie, e insieme ci divertiamo proprio tanto».
Il set di 10 giorni con i suoi
Sul set di 10 giorni con i suoi si è divertita altrettanto?
«Certo! Io e Dino Abbrescia siamo i suoceri pugliesi di Fabio De Luigi e Valentina Lodovini. Avevamo già lavorato insieme, stavolta siamo morti dalle risate. Anche con Fabio avevo già lavorato e si è confermata la persona gentile e generosa che è. E con Valentina ci conosciamo da tantissimo tempo, avendo frequentato insieme il Centro Sperimentale di Cinematografia da ragazze».
Che tipo di mamma interpreta sullo schermo?
«Una decisamente diversa da me, accondiscendente e attenta alla forma. Non volevamo risultasse finta, così con il regista Alessandro Genovesi le abbiamo dato un risvolto comico. È malata di perfezionismo, e in genere quand’è così significa che qualcosa non va. Infatti è una donna frustrata: ha sacrificato la sua vita per un uomo per cui stravede, non rendendosi conto che è un inetto, quindi ha degli scatti di ira, in una scena ho stritolato un braccio al povero Dino, ma si ricompone subito, perché è troppo impaurita dal mostrare ciò che prova davvero».
Lei è mai stata malata di perfezione?
«Sono stata una maniaca del controllo, ma mi sono resa conto che a lasciar andare e guardare le cose con maggiore distanza si sta decisamente meglio».