Quando gli chiedo del futuro, Mika mi spiazza con una risposta che racconta molto di lui e del coraggio con cui ha sempre affrontato la vita: «Scelgo di non aver paura. Affidarmi alla musica, la mia arte, mi aiuta». Dopo aver organizzato a settembre un concerto benefico in streaming per Beirut, la sua città natale devastata dall’esplosione al porto di questa estate, raccogliendo più di 1 milione di euro, il cantante sta vivendo anche questo secondo lockdown qui in Italia, dove è tornato dopo 5 anni a sedere al tavolo dei giudici del talent X Factor, lo show di Sky Uno che il 10 dicembre decreterà il vincitore della 14esima edizione.
Un’avventura che ha affrontato con l’entusiamo e l’affabilità che sa portare ogni volta che sale sul palco. Perché l’arte è ciò che lo ha salvato fin da da piccolo, quando i maestri lo chiamavano “stupido” senza riconoscere la sua dislessia, quando i bulli lo attaccavano perché era “diverso”, quando girava l’Europa cercando lavoro e dormendo in macchina con la sua famiglia.
Quella famiglia che per lui è un punto fermo: tre sorelle, un fratello, un papà con cui ha ricostruito un rapporto grazie anche all’ultimo album My name is Michael Holbrook e una mamma manager, ingombrante e meravigliosa, che lo ha lasciato libero di diventare la star che è oggi e che ora sta affrontando una terribile malattia.
Come stai vivendo questo periodo? «È surreale. È difficile avere la forza di sognare. Trovo il domani inquietante, ma non voglio esserne vittima. Ci sono persone anche nella mia famiglia che hanno perso il lavoro, ma la paura è una gabbia, mentre ora, ancora di più, dobbiamo difendere la nostra libertà».
Dal tuo passato ci sono fantasmi ancora presenti? «Ho sempre temuto di non riuscire a rimanere curioso, di non riuscire più a connettermi alla musica, all’arte, ma anche alle persone. Sono le cose che mi rendono felice e la felicità non arriva da sola, bisogna mantenerla».
A X Factor sembri aver puntato proprio sulla libertà, con una squadra di talenti eccentrici, fuori dal coro. L’arte passa dalla diversità? «Sì, ma anche dalla trasparenza. Quando salgo sul palco o decido di parlare davanti a una telecamera il candore è fondamentale. Invece nella vita personale sono molto riservato, non appaio mai sulle riviste di gossip. Ho creato una bolla attorno a me per poter vivere normalmente».
E normalmente vivi in una relazione stabile da 15 anni con il regista Andrea Dermanis. C’è un segreto? «Ce ne sono due: il primo è che collaboriamo. Nelle cose importanti ma anche in quelle banali come per la ricetta ideale di un risotto ai funghi su cui possiamo confrontarci anche 2 ore. Il secondo è che… litighiamo. Tanto, a voce alta. Ho molti amici che si stupiscono delle nostre scenate, loro non discutono quasi mai. Di solito, infatti, sono relazioni che non durano».
Sei tra i pochi artisti in Italia che parla serenamente della propria omosessualità. Pensi possa essere utile a chi, come fu per te, si sente “diverso”? «È molto positivo quando una persona nota parla d’amore, ma non basta, non dà la forza a tutti. Quello che a me la dava era vedere Prince che ballava e cantava di sesso, poesia, soldi e politica, con leggerezza e intelligenza. O David Bowie che rifiutava ogni stereotipo sulla sessualità o Madonna che ci giocava e diceva che le donne potevano essere di qualsiasi tipologia. La tolleranza si provoca in maniera profonda, non bastano le parole o il potere della celebrità. Serve l’arte».
La tua arte come sta? «Ho la fortuna di potermi mettere in gioco. Ho 37 anni, è il momento giusto di fare quello che la vita mi sta obbligando a fare: ricercare, rinnovare».
Senza tua mamma al tuo fianco fai più fatica? «C’è la malattia ed è una cosa molto grossa da gestire. Però l’amore c’è ancora di più. Ed è l’unica cosa che mi dà la forza per andare avanti».
È sempre stata il tuo punto di riferimento. Ora a chi ti stai appoggiando? «Noi siamo il punto di riferimento: io, la mia famiglia, i nostri amici del cuore, anche i collaboratori. Lavoriamo tantissimo tutti insieme. Mia madre è la persona che ha creato questo modo di funzionare basato sull’amore. Ha creato una troupe che ora si è stretta tutta intorno a lei».
Decise di fare di te “il suo progetto”. Ti sei mai chiesto perché ha scelto te e non i tuoi fratelli? «Ha fatto lo stesso lavoro su ognuno di noi. Ma sapeva coscientemente che il mio fa più rumore e tutta la sua energia nel costruire questo progetto è stata l’antidoto a quel rumore. Mi ha sempre detto “Tu non sei diverso da tuo fratello o dalle tue sorelle. È la tipologia del lavoro che fai che è diversa. Ma non vali un milligrammo in più di loro. Se non ti ricordi di questo sarai miserabile per tutta la tua vita adulta”. Ha sempre avuto ragione».