Se c’è un personaggio immaginario che mette d’accordo tutti, quello è sicuramente Harry Potter. Dal 26 luglio 1997, giorno di pubblicazione del primo volume della celebre saga scritta da J.K. Rowling, milioni di lettori di tutte le età, e in ogni angolo di mondo, si sono appassionati alle avventure del piccolo mago cui Daniel Radcliffe ha prestato il volto per l’altrettanto fortunata serie di film. Rowling ha creato un classico, spianando la strada al fantasy che negli anni successivi avrebbe ritrovato nuova linfa e regalando a moltissimi ragazzi una storia di formazione perfetta per immortalare gli anni dell’adolescenza. Notoriamente molto privata, la scrittrice ha sempre condotto una vita non troppo sotto i riflettori, soprattutto se si pensa che i libri della serie completa di Harry Potter hanno venduto più di 450 milioni di copie nel mondo e sono stati tradotti in 79 lingue, per un giro d’affari che è stato calcolato intorno ai 7 miliardi di dollari. Per tutti questi motivi, è sempre stata molto amata dai suoi lettori, che sono profondamente affezionati ai personaggi e alle storie da lei immaginate, ma nell’ultimo periodo si è ritrovata più volte a fare i conti con più di una polemica social, dovute ad alcuni suoi commenti che avevano come oggetto i diritti delle donne trans.
La polemica su Twitter
Già lo scorso dicembre, Rowling era stata duramente criticata quando aveva sostenuto apertamente Maya Forstater, che era stata licenziata per essersi espressa, e in maniera molto decisa, contro le donne transessuali. Sui social il malcontento dei fan si era fatto sentire: come poteva una scrittrice come lei, così sensibile ai temi sociali e capace di costruire mondi immaginari pieni di personaggi diversi fra loro, calpestare i diritti di una delle parti più vulnerabili della comunità Lgbt? Qualche giorno fa, poi, Rowling ha commentato su Twitter un articolo in cui si parlava di creare, dopo la pandemia, «un mondo più equo per le persone che hanno le mestruazioni». «Le “persone che hanno le mestruazioni”… sono sicura che ci sia una parola per quelle persone. Qualcuno mi aiuti», ha scritto Rowling, ironizzando sul fatto che il titolo non menzionasse chiaramente la parola “donne”. In molti le hanno fatto notare che il suo commento era un modo come un altro per affermare che le “vere” donne sono solo quelle che hanno le mestruazioni e che questo era offensivo nei confronti di molte altre donne, da quelle transessuali a quelle in menopausa fino a quelle che, spesso per motivi di salute, hanno deciso di stoppare il loro ciclo. La scrittrice è stata accusata di essere una Terf, che sta per Trans-Exclusionary Radical Feminist, una frangia radicale di femministe che escludono le persone transessuali.
Una saga (e una scrittrice) ancora molto amata
«Non c’è nessuna parte di me che si è mai sentita la babysitter dei vostri figli o la vostra insegnante. Credo di essere stata sempre molto onesta. Sono una scrittrice e scriverò sempre quello che voglio scrivere», aveva detto Rowling in una lunga intervista al New Yorker all’uscita, nel 2012, del suo primo romanzo dopo la conclusione della saga di Harry Potter, “Il seggio vacante“, pubblicato in Italia da Salani. Solo qualche tempo fa, la scrittrice britannica ha pubblicato una favola online, intitolata “The Ickabog”, dedicata a tutti i bambini chiusi in casa a causa della pandemia di coronavirus, confermando, dopo una serie di gialli che non è stata particolarmente apprezzata, che la letteratura per ragazzi è il suo territorio preferito. Probabilmente, come si è scritto da più parti, si sta consumando una frattura tra la scrittrice e una parte dei suoi lettori più giovani, appartenenti ai Millennial e alla Generazione Z, che sono oggi molto sensibili ad argomenti come i diritti della comunità Lgbt, il razzismo e il cambiamento climatico, ma in una maniera molto diversa da come lo erano i loro genitori. Quello che è certo, però, è che Harry Potter continuerà a essere una lettura di conforto per milioni di ragazzi nel mondo, che continueranno a scoprirlo e a innamorarsi delle sue avventure e, com’è anche giusto che sia, mettere in discussione chi l’ha scritto.