«Più mi piaccio per quello che sono, meno ho voglia di essere qualcun altro». Così parlò Jamie Lee Curtis. Che, proprio adesso che sembra assomigliare definitivamente a ciò che è davvero (ci arriveremo a poco a poco), sta per ricevere uno dei riconoscimenti più importanti per chi fa il suo mestiere: il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia (la 78esima edizione è in programma dall’1 all’11 settembre). Dove presenterà, fuori concorso, anche il suo ultimo film: Halloween kills, ennesimo capitolo di una delle saghe horror più amate e fortunate di sempre.
Genitori celebri
Ed è proprio da lì che tutto ha avuto inizio…Voleva fare la poliziotta. Nata il 22 novembre del 1958, Jamie Lee è figlia della cosiddetta “Hollywood royalty”, l’aristocrazia del cinema che spesso lascia un’eredità anche professionale. «Ma io volevo fare la poliziotta, perciò ho studiato giustizia criminale» ha dichiarato lei. Poi ha avuto la meglio il Dna: suo padre è Tony Curtis, volto di capolavori come A qualcuno piace caldo di Billy Wilder; la madre Janet Leigh, resa immortale da Alfred Hitchcock con la celebre scena della doccia in Psycho. Anche Jamie Lee comincia dai film dell’orrore, ma con un progetto (e un autore) allora considerato di Serie B, su cui nessuna “principessa” di L.A. avrebbe mai puntato: Halloween, per l’appunto.
«Avevo fatto la comparsa in qualche telefilm» racconta Curtis, «ma è stato John (Carpenter, il regista del cult del 1978, ndr) a vedermi per la prima volta come un’attrice. È stato grazie a lui che ho capito di non essere solo una ragazza carina, ma di poter fare questo lavoro sul serio». Jamie Lee si ribella al suo alto lignaggio, e diventa subito una delle “scream queen”, come si dice in gergo, più famose di sempre. Lo è ancora oggi che presenta il nuovo capitolo della serie (il sesto con lei protagonista, su 10 totali), in cui la sua Laurie, ormai donna matura, torna a fare i conti col serial killer Michael Myers. «E dire che odio gli horror» scherza lei. «Non capisco perché uno debba andare al cinema per spaventarsi»
Con il padre ha provato la cocaina
Fin dagli esordi, si capisce che Jamie Lee è destinata a diventare un’icona. Così è stato. Tra gli anni ’80 e ’90, è la star di film diventati (e rimasti) delle pietre miliari: da Una poltrona per due di John Landis (1983) a Un pesce di nome Wanda di Charles Crichton (1988), da Blue steel – Bersaglio mortale di Kathryn Bigelow (1990) a True lies di James Cameron (1994).
Sullo sfondo, un’ombra di cui avrebbe parlato solo molti anni dopo. «Mio padre Tony non è stato un papà come gli altri, forse perché non era interessato a esserlo» ha rivelato Jamie Lee. «Non ho mai ricevuto l’attenzione che avrei desiderato. Con lui ho provato la cocaina. È stata l’unica volta, ma è successo con lui».
Le dipendenze sono il lato oscuro della famiglia Curtis: uno dei fratelli di Jamie Lee, Nicholas, è morto per un’overdose di eroina a 23 anni. E lei stessa è stata “addicted” ad alcol e antidolorifici per 20 anni: «Nessuno lo sapeva, tranne il mio spacciatore. Poi, quando avevo 40 anni, un’amica mi ha visto mentre prendevo una pillola. “Ti vedo, Jamie. Vedo che ti senti favolosa, in formissima, ma in realtà sei una donna morta”. È stata lei a salvarmi». Oggi Jamie Lee è sobria da oltre due decenni: «Anche quando lavoro, ovunque mi trovi nel mondo, cerco gruppi di recupero a cui partecipare. Questo è un cammino che non finisce mai».
Ha vissuto la transizione del figlio con orgoglio
Non solo la disintossicazione: Jamie Lee Curtis sembra una donna che, col passare degli anni, ha saputo ritrovare sé stessa. «Hollywood è il posto in cui sono nata, e so bene quanto può essere crudele, quando inizi a invecchiare». Lei ha risposto con l’ironia e il lancio (forse inconsapevole) di quelli che poi sarebbero diventati veri e propri trend. «I capelli così corti sono stati l’unico taglio decente che abbia mai avuto» scherza lei, fiera anche del suo grigio naturale. Il corpo è anche al centro della parabola di sua figlia Ruby, nata Thomas nel 1996. La madre è stata al suo fianco nel suo percorso di transizione: «L’ho vissuto con orgoglio e meraviglia» ammette oggi. «Grazie a Ruby, ho capito che la vita è una metamorfosi continua».
Jamie Lee Curtis è autrice di libri per bambini
La sua empatia con la scelta della figlia ci riporta agli anni giovanili della stessa Jamie Lee: «Non c’è niente di più difficile che essere bambini, e io lo so bene» osserva. «Sono il prodotto di moltissimi divorzi: mia madre si è sposata 4 volte, mio padre 6. Ho sempre avuto a cuore le infanzie tormentate». Oltre ad aver raccolto 50 milioni di dollari a favore dei minori in difficoltà, Curtis è anche autrice di 13 libri per bambini. «È lì che ho trovato la mia voce. Ho scritto il primo a 30 anni, e 10 anni dopo ho iniziato il mio percorso di disintossicazione. La combinazione di quelle storie e la strada verso la sobrietà è ciò che mi ha fatto comprendere la mia vera forza. Ora mi occupo solo di ciò che m’interessa davvero».