«Non voglio cambiare pianeta» è il verso di una poesia di Pablo Neruda, Il pigro, che è un inno alla vita e alla bellezza della natura, ed è la poesia che Jovanotti si è portato con sé, nel kindle, in un viaggio pazzesco, lungo 4.000 chilometri, in solitaria in bicicletta (tranne una piccola parentesi sulle Ande insieme a un amico ciclista) in Cile e Argentina tra gennaio e febbraio.
Un viaggio tutto da solo
«Per cercare un po’ di isolamento nella natura» dice, dopo la “sbornia” del JovaBeachParty. Un viaggio in compagnia di una GoPro, con cui parlava «come al pallone di Castaway (avete presente il film con Tom Hanks?)» e del suo IPhone. Il risultato è un docutrip in 16 puntate su RaiPlay dal 24 aprile che si intitola, appunto, Non voglio cambiare pianeta. Ore e ore di girato «all’inizio solo per me da postare sui social o su YouTube» che poi sono diventati una storia grazie a Federico Taddia e Michele Maikid Lugaresi, che ha montato e diretto il filmato del viaggio. «Questo docutrip è il negativo fotografico del Jova Beach Party» dice Jovanotti in conferenza stampa digitale (con Zoom) ai giornalisti. «Ho sempre bisogno di pensare alla mia vita, di farla rimbalzare contro pareti inedite. La mia vita è il racconto che poi trasformo in musica e in cose nuove».
Alle sue spalle in questo incontro inusuale e un po’ sperimentale c’è una immagine del deserto di Acatama: «Un posto meraviglioso che ti commuove, che ti toglie il fiato». E meravigliosi sono i luoghi visitati, chilometri e chilometri di nuvole, cieli blu, terre sconfinate dove lo sguardo si perde. Jovanotti ha la barba lunga, la fascia attorno ai capelli, la faccia felice di chi ha scoperto qualcosa di nuovo. La bicicletta come forma di libertà. «Ho sempre viaggiato in bicicletta, facendo dei viaggi estremi, delle imprese fisico-sportivo e mentali dagli anni ’90. Viaggiare è sempre stato il mio sogno, addirittura precedentemente alla musica. Una grande passione che poi si riflette nelle cose che faccio. Così dopo il Jova Beach Party che è stata un’impresa enorme, da tutti i punti di vista, mi sentivo alla fine di una cosa ma anche all’inizio: c’era il desiderio di stare dentro il mio lavoro, il mio senso dell’impresa. E quando vivo queste emozioni, la prima cosa che mi viene in mente è di andare in strada perché la strada ha sempre delle risposte. La strada e la natura hanno questa grande capacità di riempirmi il cuore e di mettermi in contatto con la parte più profonda di me».
Piano piano il viaggio ha preso forma, alla telecamera ogni giorno parlava e raccontava i suoi pensieri e diventava una soggettiva della sua bicicletta: «Che ho chiamato hippogryph, come l’ippogrifo di Orlando Furioso e di Harry Potter». Un mese e mezzo di felicità estrema, dice Jovanotti, dentro terre sconfinate, facendo 200 chilometri al giorno, in sella per 12 ore senza a volte vedere nessuno o facendo incontri molto belli. «Potrebbe essere un tutorial per la Fase 2: c’è uno che mantiene una distanza di sicurezza però viaggia, gira. Ci sono grandi panorami, una possibilità anche di fantasticare».
Il ritorno è stato durante il lockdown, rinchiuso in casa dopo che a Fiumicino «mi hanno puntato il termometro per la febbre e ho capito che stava succedendo qualcosa». In quei giorni improvvisamente da recluso Lorenzo ha cominciato a pensare a tutto quel materiale, ne ha composto la musica, lo ha proposto a RaiPlay, il mezzo giusto «perché non sei stressato dallo share ed è un grande contenitore culturale. Qui puoi esprimerti e sperimentare». Ma dopo questa ennesima impresa ci sarà il ritorno ai live? «Quando usciremo da questa pandemia sarà una sfida. I concerti sui social non sono lo stesso, perché la musica è nell’aria tra le persone, la musica si vive insieme. Non c’è una musica per la quarantena, adatta a questo momento. Sono molto incuriosito da cosa porterà la fase 4, quando si ristabilirà la possibilità degli assembramenti. È tutto molto aperto e da costruire. Ci saranno delle novità di sicuro perché questa cosa ci sta toccando nel profondo e la musica, che è come uno sfogo cutaneo del pianeta, ci rivelerà qualcosa che ancora non sappiamo».