«Chiedo scusa in anticipo: ho dormito solo 3 ore». Non l’avesse dichiarato, non me ne sarei mai accorto. Se ti chiami Jude Law, tutto è possibile. Anche apparire al massimo della “coolness” dopo non aver chiuso occhio, o quasi. Il divo british è stanco davvero, non trova pace sulla poltrona su cui è seduto: «Più sono pezzi di design, più sono scomodi!».
Con queste premesse – piacione, ironico e, da sempre e per sempre, bellissimo – tutti i ruoli sembravano possibili per lui tranne uno: il Papa. E invece, dopo il successo della serie The young pope, rieccolo nel sequel The new pope, su Sky Atlantic dal 10 gennaio, ancora diretto da Paolo Sorrentino. Stavolta divide la scena con John Malkovich, che subentra al suo personaggio, Lenny, sul trono pontificio. «Ma tra noi non c’è stata nessuna rivalità: al massimo, gli ho invidiato qualche capo del guardaroba» scherza Jude.
La nostra intervista a Jude Law
Hai accettato subito di girare il sequel? «Pensavo sarebbe finita la serie, ma Paolo ha avuto un’ottima idea per continuare la storia di Lenny. Il personaggio acquista una dimensione nuova. Nella prima stagione era un uomo profondo, complesso. Adesso è ancora narcisista e contraddittorio, ma molto più spassoso».
E pure hot, come si evinceva dalle prime immagini dal set diventate subito virali: tu sulla spiaggia del Lido di Venezia con indosso soltanto un slip bianco. «In effetti, è il costume più striminzito che mi sia mai messo! (sorride, ndr). Non volevamo essere sensuali: è una sequenza onirica che unisce fantasia e humour. Una parodia. È il bello di Paolo Sorrentino».
Ovvero? «Camminare in equilibrio su una corda tesa fra registri totalmente diversi: stavolta, il dramma intimista e la commedia grottesca. Con lui mi sento libero di fare qualsiasi cosa: so di essere in buone mani. Il suo consiglio è stato: “Non pensare che stai interpretando il Papa. Immagina che sia solo un uomo. Rifletti su quel che faresti tu, se fossi nei suoi panni”».
Ecco, tu cosa faresti? Recitando questo ruolo hai guadagnato o perso in spiritualità? «Non posso negare che la serie abbia avuto un impatto fortissimo su di me. Non credo in nulla, non pratico nessuna religione. Ma la fede mi ha sempre incuriosito. Ammiro chi vuole intraprendere questo viaggio con se stesso. E soprattutto chi, da questa lezione, trae un insegnamento. Io cerco di farlo da laico: essere la versione migliore di me stesso, e consegnarla ai miei figli. Ciò che del cattolicesimo non conoscevo, e che ho appreso grazie a questa serie, è la sua teatralità. Mi ha ricordato il mondo in cui mi sono formato. Si tratta, in entrambi i casi, di mettere in piedi uno spettacolo: il copione, i costumi, tutto è parte della recita».
Non temevi di offendere chi ha fede davvero? «È successo il contrario. Ho incontrato molti cattolici che si sono complimentati. Il nostro intento non era puntare il dito o deridere qualcuno. Volevamo solo esplorare, con intelligenza, il lato più intimo di un uomo. Nella seconda stagione il tema dei miracoli, che riguarda Lenny direttamente, è affrontato come se fosse un potere del tutto umano».
Cosa faresti col vero Papa? «Andrei con lui a vedere un film. Ho scoperto che Bergoglio, quando era sacerdote, andava al cinema col grande scrittore Jorge Luis Borges, che era anche un critico cinematografico. Mi ha affascinato moltissimo».
Il Vaticano dovrebbe diventare più “moderno”? «Se non si evolve, è destinato a diventare inutile, anche per i fedeli. Ma è una mia opinione. Adeguarsi alla società che cambia è necessario. È successo alla famiglia reale inglese. È straordinario che il principe Harry abbia sposato un’americana divorziata. Ho pensato: “Buckingham Palace è al passo coi tempi, urrà!”».
Meglio il cinema o le serie tv? «Non c’è differenza, fanno parte della stessa narrazione di storie. Poter indagare il carattere di un personaggio per un anno è un regalo bellissimo, per un attore».
Fai binge watching? «Non ho tempo. Riesco a vedere al massimo 2 puntate alla volta. Però ho divorato Fosse/Verdon (trasmessa in Italia da Fox, ndr)».
Molti tuoi colleghi dicono di essere diventati fighi, agli occhi dei figli, quando hanno preso parte a saghe come Star Wars o Avengers. «Be’, io con Animali fantastici sono entrato nell’universo di Harry Potter: basta per essere considerato un figo?».