Qui vi presentiamo un capitolo chiave del libro: l’incontro con Nicoletta.
Era l’anno 1993. Nicoletta, all’epoca, era solo una ragazzina che dimostrava ancora meno dei ventitré anni che aveva. Figlia unica e, si dice, alquanto viziata di un funzionario della Regione e di una dirigente di banca, studiava all’università per diventare dottoressa in Scienze ambientali ma leggeva i fumetti e non perdeva un numero di Topolino. Gentile e ben educata, come certe ragazze della media borghesia, fisicamente era tutt’altro che uno schianto. Anzi. Castana, quieta, bassina, con gli occhialetti tondi da prima della classe (senza esserlo) e un’aria da ragazza di provincia, era una che passava del tutto inosservata. Non per nulla Big Luciano, che pure aveva una certa frequentazione con suo padre, non l’aveva mai notata tra gli stand del Pavarotti International Horse Show, dove lei, per pagarsi le vacanze e togliersi qualche capriccio, lavorava saltuariamente come hostess. Sovrappeso, tinto, lento, passava con l’eterno panama calcato sulla testa lungo i corridoi del Club Europa ’92 e tirava dritto senza mai alzare lo sguardo, senza rispondere a tutti i “buongiorno” e “buonasera” che gli lanciava la studentessa. Come se lei fosse trasparente. Una cosa che alla ragazza proprio non andava giù: “Che pallone gonfiato!”, pensava ogni volta che si incrociavano. Quell’indifferenza le bruciava, mica lo voleva negare; ma soltanto per una questione di amor proprio. Per un fatto suo, di insicurezza. Punto. E lì sarebbe finita, infatti, se, alla ricerca di un manager dell’organizzazione, per errore o per destino, non fosse capitata davanti alla porta sbagliata. E non l’avesse aperta senza nemmeno bussare. D’istinto. La porta della stanza del Maestro. In persona.
– Scusi!
– Niente…
Dietrofront e via.
Evento apparentemente casuale, una coincidenza tessuta dal destino. Può darsi. Però, se la cosa si ripete uguale il giorno successivo, forse tanto casuale non è; forse qualcuno ha cercato di dare una spinta al destino.
– Che imbranata! Ri-scusi…
La ragazza è un po’ trasandata, ma ha un sorriso che incanta, e lo sa. Il tenore si intenerisce.
– No, vieni… Vieni pure avanti… Come ti chiami?
– Nicoletta Mantovani… Nico, per gli amici.
E, come in Sliding Doors, film cult di qualche anno fa interpretato da Gwyneth Paltrow o, meglio, come in Bohème (“Aspetti, signorina…”), visto che qui c’è di mezzo Luciano Pavarotti, quella porta aperta forse per sbaglio o forse no, cambia radicalmente il corso della vita della studentessa. E, naturalmente, quella del tenore, eterno Rodolfo anche fuori dalla scena, oramai più vicino ai sessant’anni che ai cinquanta, che vive l’età (e la stazza) con fascinosa nonchalance, e da trenta è sposato con Adua Veroni, modenese come lui, moglie tendenza-Penelope ma anche amministratrice accorta e abile business woman, dalle quale ha avuto tre figlie una dietro all’altra: Lorenza, Cristina, Giuliana. Tutte adulte, oramai; e tutte e tre più grandi di Nicoletta.
Come Rodolfo e Mimì, il tenore e la studentessa passano il pomeriggio chiusi in quella stanza d’ufficio a raccontarsi, a parlare fitto fitto. A dire il vero, è più lui che si racconta: a lei o, forse, a se stesso. Parla, parla, parla, con quella voce conosciuta e calda che ha dentro i languori strascicati della terra emiliana; e lei, intimidita (ma a tratti “anche annoiata”, ammetterà molti anni dopo), non trova il coraggio di interromperlo. Una folgorazione? Un colpo di fulmine? Macché.
E non soltanto per la differenza d’età (35 anni) e d’aspetto (corpulento lui, lei uno scricciolo). La verità è che Lucianone e Nicoletta vengono proprio da due mondi diversi. Appartengono a due generazioni più lontane tra loro di quanto dica l’anagrafe.
Per dire: lui ama la lirica, la pittura contemporanea, il calcio, i cavalli.
Lei va pazza per il rock di Vasco, il “Liga”, gli U2 e, nel genere, chi più ne ha più ne metta. Non solo: ha una passione per i cartoons (specialmente Cenerentola), fa collezione d’insetti e si rilassa praticando yoga o giocando a pinnacolo. La lirica? Sinceramente la detesta. E se vogliamo parlare di pittura, agli Schnabel, ai Funi o ai Morandi, preferisce i murales e i tag…
Insomma, è davvero molto giovane e quelle maglie informi, larghe e lunghe fino al ginocchio con cui si copre, quei jeans strappati e i calzini a volte imbarazzanti (spesso sottratti dall’armadio del padre) di certo non l’aiutano. Nemmeno la statura le dà una mano: “raso”, la chiama affettuosamente Pavarotti; inteso come abbreviazione di “rasoterra” e riferito al suo sedere un po’ basso… Per dire che la “Nico“, nel momento in cui incontra Pavarotti, non è sicuramente una da fare perdere la testa, nemmeno (o soprattutto) a un uomo maturo. E Big Luciano, che è un po’ in età ma non si sente addosso tutte le sue primavere (anche se, i fischi della Scala, alla “prima” del Don Carlo, nel dicembre 1992, lo hanno fatto scivolare nel buco nero della depressione), forse la voglia di innamorarsi ancora ce l’ha, è sempre stato un curioso delle donne, ma questa volta frena. Intanto perché, al momento, la ragazza non induce proprio in tentazione. Poi perché – sono parole sue – a lui serve tempo “per capire se una persona è speciale o no”. È un Bilancia: “Non agisco d’impulso”, spiega.
E la moglie? “L’Adua è la donna della vita”. L’ha sempre detto: “Questa è la donna che diventerà mia moglie, ho pensato la prima volta che l’ho vista”. Lui aveva 17 anni, lei 16. Gli piace ancora: “A volte il cuore impazzisce che nemmeno il debutto in America… “. Un amore grande, insomma. Solido e forte. Ma non abbastanza da comprendere la fedeltà. Non per Pavarotti.
Perché come tutti sanno e come ha detto (e scritto) anche il suo manager, Luciano è “un homme à femmes” a cui piace molto esserlo. E c’è quella ragazzina, adesso, che gli muove qualcosa dentro.
Infatti. Con la ragazzina, che nel frattempo ha già iniziato la trasformazione da bruco a farfalla, l’amore o qualcosa di molto simile, scoppia qualche tempo dopo. E se Luciano confida agli amici più fidati, i tre del famoso “team-briscola”, che sono state “la giovinezza e la vitalità” di Nicoletta a stregarlo, lei, ai giornalisti, racconta di avere ceduto “solo al trasporto del cuore e della voce” del tenerissimo tenore. Tradotto: né l’una, né l’altra credono in questa storia più di tanto. “Pensavamo entrambi che fosse un’avventura” ammette Nicoletta. Eppure nessuno dei due, per curiosità, solitudine, o altro, ci vuole rinunciare. Nessuno pensa di fare un passo indietro. Anche se, a un certo punto, la tentazione, nella testa di Nicoletta, si affaccia.
Succede quando Luciano, per la prima volta, le chiede di accompagnarlo in un viaggio. Lei tentenna: forse è paura, forse imbarazzo, forse la proposta (o l’uomo?) non le interessa poi così tanto. “Ero confusa”, dice. Ci pensa, e alla fine dice “no”. Poi, due giorni dopo, quando lui la chiama dall’aeroporto e le chiede di andare a salutarlo, lei ci va e, così come si trova, da quell’aeroporto, non torna più a casa.
“È la vita, la mia nuova vita“, si entusiasma il tenore. Agli amici sembra cotto a puntino, pronto a farsi anche tiranneggiare da quella ragazza che – confida compiaciuto – gli dimostra il suo amore “dodici ore al giorno”. Le tenerezze che si scambiano i due sono sotto i loro occhi: carezze, coccole, bacini. Certo, pensando alla Adua, qualcuno un po’ se ne dispiace: “Così paziente…”. Ma “tanto, si sa com’è il Pavaròt… Un esuberante… E se adesso questa ragazza l’ha fatto rinascere” – e l’ha fatto rinascere, concordano tutti – “perchè no? In fondo, anche lui ha compiuto i sessanta, che se la goda fin che può…”.
Ne conviene anche Franca Corfini, dietologa del tenore e amica di famiglia, e perciò di Adua, da lunga data, cui “la ragazza pare proprio innamorata” e non nasconde la sua simpatia (poi cambierà idea. Ma non anticipiamo). Alla fine, comunque, quello che lascia tranquilli gli amici è la sicurezza che “lui, la Adua, poi mica la lascia: è la sua colonna portante”. Son trent’anni che è così. Lo sa, appunto, anche la Adua.
È come la faccenda delle “segretarie”: sono anni che, in ufficio, all’improvviso compare una “segretaria” personale bravissima e, altrettanto all’improvviso, dopo un po’ scompare. Un viavai! C’è stato un periodo in cui c’era perfino una maga. Se la portava dappertutto, con la scusa che era superstizioso. Due anni, pagata a peso d’oro, si racconta. Poi, da un giorno all’altro, non s’è vista più. Alla faccia della superstizione. Meno male che ci sono le segretarie-e-basta, altrimenti chi manderebbe avanti il lavoro della “multinazionale Pavarotti”?
Ma torniamo a Nicoletta. Seguendo il copione già declinato dozzine di volte, anche Nicoletta Mantovani, che, come sciorina il Maestro, “conosce perfettamente tre lingue ed è molto sveglia”, viene assunta, appunto, come sua segretaria personale. Il bello è che, essendo così diversa dalle solite “colleghe” che l’hanno preceduta, per un po’ molti la scambiano per una “vera segretaria”. Anche perché, in ufficio, la ragazza si dà da fare, non sta con le mani in mano, lavora sul serio, sempre dietro al Maestro. Dietro, non accanto. In realtà, sotto sotto, ha già cominciato a scalpitare. Non è fatta per le seconde file la Nico: si sente più una protagonista. Ha tanti sogni nella testa e ha appena cominciato a realizzarli.