La band composta da Francesco Sarcina, StefanoVerderi, Marco Castellani e Alessandro Deidda torna a Sanremo dopo un anno trascorso a celebrare i vent’anni di carriera. È la terza partecipazione (l’ultima nel 2018 con Così Sbagliato) e segna un nuovo inizio, con la voglia di suonare e l’entusiasmo ritrovato dopo la lunga pausa che aveva separato la band tra il 2012 e il 2017. Nella serata delle cover Le Vibrazioni cantano Un’emozione da poco con i Canova (Anna Oxa, 1978).
In gara portano invece il brano Dov’è, una ballad old school che parla della forza di sapersi rialzare. Nasce dalla penna dello stesso Sarcina e di Roberto Casalino ed è chiaramente una dichiarazione del cantante che nell’ultimo anno ha vissuto un momento personale turbolento, con la separazione, tra varie accuse, della moglie Clizia Incorvaia. Francesco guarda ora al futuro e la band si prepara al tour nei teatri che partirà a marzo, con il maestro Peppe Vessicchio e un’orchestra composta dai migliori giovani orchestrali italiani. Abbiamo parlato con Francesco Sarcina.
Ci racconti Dov’è?
Le canzoni sono sempre figlie di qualcosa che uno vive. Da qualche parte deve uscire quello che si è elaborato. Quello che ti ha fatto male o quello che ti ha fatto felice. È la dannazione degli artisti, a un certo punto c’è l’esigenza di sviscerare e tirare fuori quasi in maniera visibile quello che si è vissuto. Arrivando da un’esperienza abbastanza turbolenta scopro che la mia forza è accusare i colpi ma poi farne una canzone. È un brano molto introspettivo e intimo. Mi chiedo perché le cose accadono, perché spesso e volentieri ci troviamo vicino a persone che pensiamo di conoscere ma poi non è così. Quando tutto crolla bisogna desertificare tutto e vedere che cosa rimane. Prima fa male, ma poi stai bene. Parla di imparare ad incassare, trasformando i colpi in energia positiva. Che per me è la musica. Sono i miei figli.
Che papà sei?
Do poche regole, ma chiare. Sono super giocherellone. Faccio una vita tale per cui anche le regole devono essere vissute come un gioco. Per quanto riguarda la musica cerco di metterli nella condizione di fargliela godere, in casa c’è tutto quello che può avere a che fare con l’arte. Ma non si può trasmettere a forza.
Qual è la brutta caduta da cui ti sei rialzato, con la band?
Ci stiamo ancora rialzando, siamo nel pieno di questa ascesa. Non ci siamo resi conto di quello che avevamo attorno, durante i primi successi. Auspicavano a spremerci. Oggi le cose sono cambiate, la fruizione musicale in primis. Se non stai al passo con i tempi inciampi. E infatti ci siamo fermati per un bel po’. Non avevamo più entusiasmo di fare musica. Quindi ora siamo nel pieno di un grandissimo entusiasmo ritrovato.
Siete felici?
Ora siamo felici con poco. Ci basta la condivisione. Oggi il concetto di felicità è astratto. Se dici che sei felice ti guardano strano, ti danno una pillola un calmante. È tutto molto triste. Ed è quello che proviamo a cantare in quei tre minuti.
È la terza volta al Festival, cosa vi aspettate?
Sicuramente il cast è molto bello e divertente. Abbiamo ritrovato un sacco di amici, da Bugo e Morgan a Elodie, Elettra, Diodato, Zarrillo. Ma anche con quelli che non conosciamo bene ci siamo trovati subito, come i Pinguini Tattici Nucleari. Siamo due band, parliamo la stessa lingua.
Soddisfatto quindi delle scelte di Amadeus?
Mi è piaciuto come ha fatto le sue scelte. L’ho sentito incentivato, sa che se avrà sbagliato, lo avrà fatto di sua volontà. Ha scelto quello che gli piace senza pensare ai giochi discografici. È giusto. Dovremmo essere tutti un po’ più così e responsabilizzarci.
Avete un rito scaramantico tra voi?
No, siamo una band. E purtroppo nessuno sa che cosa vuol dire esserlo. Siamo come un branco, basta guardarci che ci sale il pelo. Andiamo a mangiarci il palco come lupi. E se anche accade un problema tecnico, siamo uniti.
La cosa che ti piace di più di Sanremo?
In quella settimana è veramente come se ti anestetizzassi. Sei concentrato a fare il tuo lavoro, a fare tutte le interviste. Andare sul palco è l’unica cosa che so fare quindi sinceramente non vedo l’ora. L’ansia sale per l’attesa, ma l’aria che si respira è molto bella. L’emozione si respira nell’aria. Diventa elettrica.
Avete festeggiato alla grande il ventennale. La vivete come una nuova partenza?
Il ventennale è stato un compimento. Oggi è tutto distorto: fai un talent e riempi il palazzetto e poi fai uno stadio e poi che cosa fai, vai sulla luna? Poi viene la crisi e non fai più niente. Senza esperienza di un certo tipo rischi davvero che questo lavoro ti faccia partire i neuroni, ma le generazioni di oggi sono anche molto più furbe e intelligenti di quando avevamo noi vent’anni. Per noi è stato un raggiungimento importante. Eppure continuiamo a scalare.
Come vivi le critiche?
Se le critiche sono fondate e intelligenti le prendo come oro colato. Se sono illazioni e diffamazioni in realtà mi fanno ridere. Un tempo me la prendevo, anche per un solo commento sui social. Oggi non mi faccio più il sangue amaro. Ho imparato che quando qualcuno ti insulta è perché ti vede. Perché gli dai fastidio. Ci sei. Non posso piacere a tutti.
Hai mai pensato a cosa sarebbe successo senza Giulia di Dedicato a te? Le hai mai detto grazie?
Giulia l’ho ringraziata sempre e continuerò a farlo. Compie gli anni il giorno del mio onomastico ed è da più di vent’anni che le faccio gli auguri. È sempre nel mio cuore. Anche quella canzone è frutto di un distacco, di dolore, ma come fai a non ringraziare una persona che ti ha amato molto?
È stato posticipato a marzo il tour con Beppe Vessicchio, come mai lui? E cosa ci dobbiamo aspettare?
Beppe è la prima persona con la quale abbiamo avuto esperienza veramente di mix tra ciò che è la misica pop e rock e un’orchestra. Lo adoro. È una persona umanamente splendida, l’idea di fare un tour teatrale con lui è venuta spontanea. L’ho chiamato e ha accettato subito, proponendomi i migliori ragazzi. Abbiamo unito il rock alla classica. Mozart oggi, se avesse avuto l’elettricità, avrebbe fatto metal.
Arriverà anche un nuovo album?
Ci stiamo lavorando.