Una nuova canzone, un libro, un tour. Levante, all’anagrafe Claudia Lagona, 34 anni, la raffinata cantautrice siciliana che da sempre mette al centro le parole, riparte grazie a un’analisi profonda di sé. Dall’alba al tramonto è il brano che suona quest’estate e che dà il nome al tour in giro per l’Italia, con concerti alle prime e alle ultime luci del giorno. Parla di inizio e fine, come il suo romanzo E questo cuore non mente (Rizzoli): partendo dal dialogo con un terapeuta, il libro ripercorre la fine di una storia d’amore tornando alle origini della protagonista Anita, che assomiglia così tanto a Levante, tra pensieri e analogie di vita.
La cantautrice ha avuto un matrimonio lampo con Simone Cogo, in arte Sir Bob Cornelius Rifo, nel 2015; una relazione conclusa con il collega Diodato; un padre, Rosario, mancato quando era ancora una bambina. Nel romanzo racconta la sua visione della donna, le paure, i sogni, le unioni sbagliate. E quel bisogno di far guarire la bambina che è stata, sapendo che ogni perdita segna un nuovo inizio. Diventa difficile separare Anita da Levante, ma facile arrivare all’ultima pagina, dove è chiaro che la scrittura fa da catarsi.
Intervista a Levante
Sei una bambina guarita?
«In parte. I traumi infantili sono inchiostro sulle vite degli adulti che diventiamo e muovono la nostra vita verso direzioni che non desideriamo. Sto percorrendo una strada positiva grazie alla terapia. Ma ne dovrò fare ancora molta».
Nel libro, il terapeuta Ferruccio pratica l’Emdr, una tecnica che affronta i ricordi non elaborati attraverso una stimolazione degli emisferi celebrali. L’hai provata?
«Sì, è un approccio molto diverso dall’analisi. Funziona su molti, un po’ meno su chi ha paura che funzioni. Io sono inconsciamente respingente e quindi a volte non riesco a trarne benefici».
Hai paura di essere felice?
«La felicità ha a che fare con l’effimero, per me. La riconduco a qualcosa che inevitabilmente andrà via, all’improvviso, tradendomi. Ecco perché i cambiamenti repentini di una persona mi traumatizzano: se poi questa persona sparisce, vivo la cosa come la riproduzione fedele della morte di mio padre che ho dovuto affrontare da piccola. Io sono sopravvissuta, certo. Ma ho anche saputo vivere con le mie sole forze».
Quanto di quello che Ferruccio, il terapeuta, dice ad Anita è qualcosa che hanno detto a te?
«Io e Anita abbiamo in comune un trauma infantile, ma il resto è la sua storia: non ho mai desiderato che diventasse il mio alter ego, anche se mi somiglia. In questo romanzo c’è di me quanto c’è di un autore nelle sue opere. A volte assolutamente nulla, a volte tutto».
«Ero un maschiaccio, con i pantaloncini e le scarpe da cantiere. E mi sono fatta conoscere dal grande pubblico cantando “Che vita di merda”. nei miei brani. Sono tremendamente sincera, non saprei fare altrimenti»
Quindi Marco non è Diodato?
«Marco è un personaggio inventato, come lo è Anita, come lo è Ferruccio».
Ora hai una nuova relazione con l’avvocato Pietro Palumbo. Credi ancora al “per sempre”?
«C’è un grande desiderio di costruire e di non lasciarsi andare».
La tua felicità è mai dipesa da un uomo?
«No, è sempre dipesa solo da me. Io spesso mi metto in discussione, perché trovo che sia il modo più intelligente per non prevaricare la persona con cui stai. E cambio il mio pensiero e il mio atteggiamento, se necessario, nel caso abbia commesso un errore».
Invece quanto contano le donne nella tua vita?
«Le donne della mia famiglia sono state importantissime: sono state la mia famiglia allargata, sgangherata, sfollata, rotta e reincollata. Io ho un solo fratello, il resto sono sorelle, cugine, zie, nonne. E la mia incredibile mamma».
Che rapporto hai con lei?
«Siamo molto legate. Il nostro è un rapporto sincero e poco morboso. Non mi faccio sentire spesso, però abbiamo il nostro modo per rimanere costantemente in contatto, con un cuoricino su WhatsApp o le reazioni sui social. Siamo due amanti silenziose, e direi che funziona bene così! Io non sono mai stata dipendente dal nucleo familiare, ma quando qualcuno di noi ha bisogno, non c’è squadra migliore della nostra».
Quando è mancato tuo padre ti sei sentita in dovere di proteggerla?
«Sì, ho provato fortissima la sensazione di dover salvare il solo genitore rimasto».
Hai attraversato molti momenti difficili?
«Mia madre è stata gigantesca: aveva 38 anni, 4 figli, il mondo le era crollato addosso. Ognuno di noi ha cercato di fare il meglio che ha potuto» (5 anni dopo la morte del padre, Levante si è traferita con la famiglia a Torino, ndr).
Com’era tuo padre?
«Era un uomo molto severo, ma mi ha amata tantissimo».
Quando è arrivata la musica nella tua vita?
«Non avrò avuto più di 6 anni quando si sono accorti che avevo un futuro sul palco. Alle recite a scuola ero imbarazzante, talmente mi mancava il pudore nel mettermi in mostra. Dopo la morte di mio papà, a 9 anni, quella bambina sfacciata mi ha un po’ abbandonata, sono diventata tanto malinconica e da lì ho cominciato a scrivere e inventare melodie. Intorno ai 12 anni ho iniziato a suonare la chitarra e non mi sono più fermata. Fare musica mi ha salvata. Non ho allontanato la tristezza, ma nella musica la tristezza non mi era più nemica».
Non hai paura a metterti così a nudo, nelle canzoni e nei libri?
«Sono tremendamente sincera nei miei brani, non saprei fare altrimenti… Ma nei romanzi ho la grande possibilità di inventare, e allora perché non farlo? Pensare che l’autore sia anche il protagonista del libro è un errore molto comune. Io grazie ad Anita ho potuto essere persone che non sono mai stata, che non sarò mai e che, forse, non sarò mai più».
Ti hanno mai chiesto se hai avuto un aiuto nello scrivere?
«Sì a volte ancora mi domandano sorpresi: “Lo hai scritto tu?” ».
Perché?
«Sono autrice di tutti i testi del mio repertorio e compositrice di tutte le musiche, ma la maggior parte delle volte sui giornali vengo definita “cantante”. Io ero la ragazza un po’ maschiaccio, quella con la maglietta bianca, i pantaloncini e le scarpe da cantiere. Ho destato l’attenzione e sono arrivata al grande pubblico gridando “Che vita di merda”. Mi guardavo intorno e di cantautrici come me ce n’erano davvero poche, quindi mi confrontavo sempre con un mondo maschile che negli anni ho scoperto essere anche maschilista».
E ora sei cambiata? Non sei più un maschiaccio?
«La mia età dice che sono una donna ma il mio corpo è da ragazzina, e questo mi diverte tanto. Continuo a essere un maschiaccio, solo che mi metto i tacchi. E oltretutto ci volo».
Che rapporto hai col tuo corpo?
«A volte l’ho giudicato duramente. Fortunatamente sono molto concentrata sulla mente, quindi, per quanto possa piacermi o meno, punto sempre sulle cose che so fare, pensare, creare. È quello che dovremmo fare tutti. Coltivare i talenti».
Ai figli ci pensi mai?
«No, è più forte di me».
La cosa più intima che hai raccontato in una canzone?
«La morte di mio padre in Le margherite sono salve: è il punto più buio di me che ho portato alla luce».