Dopo 2 anni di assenza dalle playlist, l’esperienza nella giuria di X Factor e 2 romanzi (Se non ti vedo non esisti e Questa è l’ultima volta che ti dimentico, entrambi pubblicati da Rizzoli), Claudia Lagona, in arte Levante, ha deciso che per fare sentire più chiara la sua voce era proprio a lei, alla voce, che doveva tornare ad affidarsi. Lo fa con il nuovo disco Magmamemoria (Warner Music), frutto di un lungo lavoro di scrittura che mette a nudo la bellezza e le consapevolezze dei suoi 32 anni.
Dentro c’è il suo sguardo sulla società, la voglia di gridare che dobbiamo fare tutti qualcosa di più. C’è l’amore in ogni sfaccettatura: felice, tradito, rabbioso, chiamato per nome (con una dedica per Antonio, il cantante Diodato, oggi non più al suo fianco). C’è la sua Sicilia, celebrata in Lo stretto necessario, il duetto con Carmen Consoli. Soprattutto, ci sono i ricordi. Che oggi hanno un nome.
Cos’è Magmamemoria?
«È un neologismo che racconta la nostalgia. Ho pensato a quanto, da sempre, la memoria e il ricordo brucino dentro di me, di quanto mi facciano bene e male allo stesso tempo. Se il dolore mi accompagnerà per sempre, dovrà avere anche un nome con cui chiamarlo».
Nel disco si sente molto la presenza di tuo padre, scomparso quando avevi 9 anni.
«Il brano Arcano 13 è per lui. L’ho scritto per ultimo, quando mi sono accorta che non gli avevo dedicato una canzone. In realtà lui in questo album è ovunque: la mia missione è sempre stata tenere in vita le persone, e la musica lo fa».
Sei nata in provincia di Catania e cresciuta a Torino, eppure ti sei sempre sentita solo siciliana.
«Lo sono, quello con la mia terra è un legame forte. In Lo stretto necessario c’è Palagonia, il mio paese. Nomino il Lido Jolly, per 9 anni di fila ci sono stata con mio padre. Mi ricordo le lasagne e le cotolette».
Eri felice da bambina?
«Da morire. Ho avuto un’infanzia bella e affollata. Papà era ferroviere, ci portava al mare sulla Tipo bianca. Ricordo il caldo atroce e noi 4 fratelli dietro, io ero la più piccola, incastrati. Lui amava tanto la musica, cantavamo come dei pazzi, sulla strada verso il mare. Ridendo».
Ricordi tutto così fedelmente?
«Solo quegli anni. Dopo ho buchi enormi. Tra i 15 e i 22 quasi nulla. Riprendo i diari che scrivevo, per ricordare. Dovrei ricominciare a scriverli, ma in questo la musica mi aiuta. So quando e perché ho scritto ogni singola canzone».
E del presente che dici?
«Analizzo e mi analizzo. Cerco sempre di guardarmi intorno descrivendo ciò che sento. E quello che ho visto ultimamente, al di là delle mie opinioni politiche, mi spaventa molto. Stiamo perdendo l’empatia e l’umanità. Provo a dirlo, per far riflettere, nel mio piccolo».
C’è anche l’amore, in quest’album?
«Con nomi e cognomi! (ride, ndr). Ci ho messo la faccia. Antonio è una delle canzoni più belle che io abbia mai scritto. È stato un amore molto forte, che spero mi ricapiti. Un colpo di fulmine inaspettato, in un momento assolutamente sbagliato della mia vita. Ma forse l’amore è così, ti sorprende quando non sei pronto».
In Il giorno prima del giorno dell’inizio non ha mai avuto fine invece sei arrabbiata.
«Ho il brutto vizio del sesto senso. Questo è stato un brano premonitore, purtroppo. Parla di una relazione che va verso la fine, di quanto siano sottovalutati e pericolosi i silenzi in una storia d’amore».
Non stai in silenzio, se si tratta di musica. Canti “i ritmi ai quali non so stare al passo”. Ti senti fuori tempo?
«Non rincorro le classifiche. Carmen Consoli mi ha detto: “Lo sai che sei fuori moda?”. Per me è stato un complimento bellissimo. Non piaccio a tutti, ok, ma nemmeno a me piacciono tutti. E va bene così».