Olivia si svegliò in una stanza da letto immensa. Posato sulla poltroncina imbottita di fronte a lei c’era un kimono con un ricamo di draghi verdi. I suoi abiti erano appesi a una gruccia. Impiegò un po’ a capire dove era e perché. Ma certo. In casa di David Minelli. Aveva la febbre. Le girava la testa.
Si alzò, i piedi nudi sfiorarono il parquet intarsiato. La porta a vetri si apriva su un bagno lussuoso, la vasca di Philippe Starck e una doccia di design con una tastiera digitale per scegliere intensità e temperatura. Ci mise un po’ a capire come funzionava, aprì le boccette di bagnoschiuma, ne scelse uno alla rosa damascena e si tuffò sotto il getto bollente. Si avvolse nell’accappatoio di spugna, misurò la febbre (il termometro era sul comodino), asciugò i capelli, cercò il telefono. Non c’era. Mise il kimono e sbirciò fuori.
La camera dava su un corridoio e accanto c’era la scala. Scese piano, a piedi nudi, guidata dalla voce che cantava in spagnolo una vecchia canzone di Julio Iglesias, si me dejas no vale . Blanca le andò incontro: «Buongiorno, tutto bene? Sarei salita a chiamarla, tra poco vado via. Avverto il signor David». La lasciò nel living pensato per essere fotografato, il divano Pack, un pezzo di Antartide, un orso polare, i quadri -scultura di Kris Ruhs (li aveva comprati al metro) una chaise longue di Cassina, sedie di cuoio di Vico Magistretti, due enormi mazzi di tulipani che sanguinavano petali rossi sul tavolo di cristallo.
David Minelli arrivò quasi subito. «Come va la febbre?».
«Trentotto e mezzo».
«Bene, era quaranta! Più tardi arriva Antonelli, il medico che hai visto ieri».
«Sono un po’ suonata. Mi sembra di perdere l’equilibrio».
«Vuoi telefonare? Il tuo iPhone è qui, sotto carica. Ci sono varie chiamate, mi pare». Non disse che aveva fatto un back-up, non sai mai con chi hai a che fare.
«Sì, appena sto meglio».
La accompagnò sul divano-isola e le consegnò il telefono. La fece stendere con la testa appoggiata sulle sue ginocchia mentre scorreva l’elenco delle chiamate.
Era una situazione insolita per lui. Poteva sentire il profumo del sapone alla rosa e quasi il battito del cuore nel silenzio della casa. Posò la fronte sulla sua. «Sei calda. Forse dovresti tornare a letto». Profilo contro profilo incontrò la sua bocca. «Ho voglia di te. Da quella mattina in ufficio. Un mese fa».
«Mi hai consigliato di scappare».
«Era un buon consiglio».
«Perché?».
«Guardami».
«L’ho fatto».
«Guardami bene. Sono danneggiato. Fuori e dentro. Non è solo pelle. È tutto il resto. È l’anima. Ammesso che io ne abbia una, e non credo che l’anima esista. Siamo solo questo, carne, sangue, numeri, genetica».
«Che cosa stai cercando di dirmi?».
«La verità. Non ti tocco, se non vuoi, ma se vuoi, è a tuo rischio e pericolo».
«A mio rischio e pericolo».
La sfiorò con una dolcezza insolita per lui tenendole la testa tra le mani. Slacciò il kimono, sentì il tonfo del telefono sul pavimento. T-shirt e jeans finirono in un groviglio che sembrava osceno nel candore del salone.
Scivolò in avanti per baciarla prima sulla bocca, poi sul mento, sulla gola, dove pulsava una piccola vena, senza trovare resistenza sentendola febbricitante e arrendevole sotto le sue labbra. Si aspettava di essere fermato, e non accadde. Andò a cercare il luogo misterioso dove la vita comincia, che non è misterioso, alla fine, il luogo che puoi chiamare in molti modi, poetici o volgari, passera, fica, potta, mona, topa, ma sono modi per esorcizzare la paura di essere ingoiati da una divinità sulla quale non hai alcun potere.
Sapeva di alghe, di telline appena raccolte sulla spiaggia quando era bambino. Infilò la lingua dentro di lei in profondità e soltanto dopo aver toccato un punto nascosto, diverso in ogni donna, sentì un suono antico che somigliava a un acuto musicale, un canto di sirena prigioniera. Si spostò ancora più avanti e le chiuse la bocca con il suo desiderio. Poteva respingerlo, invece l’abbracciò con le labbra, nella posizione giusta, senza fargli sentire i denti, accogliendolo, provocandogli deliziosi brividi. Normalmente non perdeva il controllo, normalmente quello era un preliminare divertente, invece provò un attimo di smarrimento, e si svuotò come il ruscello che trova una gola imprevista. La senti sussultare, puntare i talloni sul divano candido e poi lasciarsi andare. Tremava. Tremava anche lui.
Rimasero a occhi chiusi poi David si spostò per appoggiarle sul seno la guancia ferita, il massimo dell’intimità negli ultimi anni. Olivia sentì sulla pelle il disegno delle cicatrici. Ne aveva tante altre, come quei soldati delle squadre speciali che si vedono soltanto al cinema: paracadutati, feriti, torturati. Rimase con gli occhi chiusi.
Che imbarazzo pensò lui. Avrebbe dovuto dirle qualcosa tipo scusa, oppure, è stato bello, oppure ho ancora voglia e tu? Non era più abituato, gli mancava quel minimo di alfabeto sentimentale, quella capacità di entrare in contatto che era stata naturale e bellissima ed era andata perduta insieme al fuoco e al sangue.
Che imbarazzo, pensò lei. Avrebbe dovuto dirgli qualcosa, tipo mi è piaciuto oppure forse non dovevamo, ma era una situazione talmente nuova. Avrebbe dovuto chiedergli: chi sei davvero? Invece sussurrò: «Ho fame». E lo guardò mentre si rivestiva e andava ammantato di viola verso la cucina.
(Brano tratto da “Fuoco” di Roselina Salemi, Reading with Joy)
Reading with Joy (online e su Facebook) è un nuovo brand di editoria on demand dedicato ai temi femminili e di evasione “rosa”. I libri delle 3 collane (romantico, erotico e sex thriller) si possono acquistare su Amazon sia in edizione cartacea (a un massimo di 10 euro) che digitale in versione e-book. Sono libri caratterizzati da un agile formato pocket e una foliazione fissa di 120 pagine, che si può leggere durante un viaggio in treno o in aereo o da portare in estate in spiaggia. I primi 3 titoli sono “Fuoco” di Roselina Salemi, “Io all’improvviso” di Federico Toro e “Missing” di Annalucia Lomunno. Sono 3 tra gli scrittori già “collaudati” sul magazine “Confidenze”.