- Arundhati Roy, Il ministero della suprema felicità (Guanda). Traduzione di Federica Oddera
Questo è un viaggio. Nel tempo e nella storia. Nell’India degli ultimi, nella natura umana. E’ difficile sintetizzare il nuovo libro di Arundhati Roy, Il ministero della suprema felicità (Guanda), perché è un romanzo ricchissimo di emozioni e personaggi, di accenni storici e politici, di odori e colori, di uomini e donne, di sfumature e contraddizioni. Ricchissimo com’è l’India, non quella conosciuta dai turisti, ma quella dove coesistono tradizioni opposte, paradossi, reietti. E’ l’India vera dove nasce Aftab, bambino ermafrodita, che poi rinascerà Anjum, come una farfalla. Anjum è una hijra, un essere speciale, donna in un corpo da uomo, fragile e quasi sacra. Che, sopravvissuta al massacro dei mussulmani in Gujarat, si rifugia nel luogo dei morti, un vecchio cimitero, per vivere quasi come un vegetale. Attorno a lei però si comporranno altre vite: bambine abbandonate, intoccabili, creature “perse” in cerca di un punto dove ancorarsi. E a poco a poco, fuori dal mondo esterno, tra le tombe e i drogati, cresce la pensione Jannat, un paradiso nell’inferno. Qui, approderà anche Tilo, la rivoluzionaria. E insieme ad Anjum tesserà un universo “parallelo” dove ognuno può trovare un piccolo riscatto e un po’ di felicità. 20 anni dopo Il dio delle piccole cose, Arundhati Roy ci regala un nuovo prezioso scrigno che contiene tanta saggezza. Un romanzo che è come un flusso e che, per certi versi, ricorda un po’ Gabriel Marquez. «Una città» come ha detto la stessa scrittrice. Che pulsa davvero di vita.
- Zadie Smith, Swing Time (Mondadori). Traduzione di Silvia Pareschi
Quella tra Tracey e la protagonista del libro è un’amicizia che nasce in parrocchia, a scuola di danza. Le due si riconoscono. «La mia pelle e la sua avevano la stessa sfumatura di bruno – come se fossimo state ritagliate da una sola pezza di stoffa marrone -, le nostre lentiggini si addensavano negli stessi punti, avevamo la stessa statura» scrive la Smith. Amiche inseparabili da piccole, anche se Tracey, più brava sulle punte, ha già in qualche momento la sfrontatezza e la crudeltà degli adulti. Adolescenti in competizione e poi adulte sfiduciate. Zadie Smith racconta una storia di donne e di amicizia, di ricerca della propria identità (la protagonista a un certo punto si reca in Africa per aprire una scuola per ragazze al seguito di una popstar australiana), di progetti sfumati, della ricerca della celebrità (ma poi a che pro?), di tradimenti e delusioni in un romanzo che si legge a più livelli e che va avanti e indietro nel tempo. L’ambientazione è londinese e newyorkese, ma molti ci hanno visto qualcosa dell’Amica geniale di Elena Ferrante.
- Donatella Di Pietrantonio, L’arminuta (Einaudi)
«A 13 anni non conoscevo più l’altra madre. Salivo a fatica le scale di casa sua con una valigia scomoda e una borsa piena di scarpe confuse». L’arminuta, la ritornata, è la storia intensa e intima di una ragazzina di 13 anni, adottata da una famiglia benestante che viene riportata nella sua famiglia d’origine all’improvviso (nel corso del libro si scoprirà perché). La casa è buia, il cibo sul tavolo scarseggia, ma c’è Adriana, la sorella 11enne scaltra e dolce con cui deve condividere il letto, e Vincenzo il maggiore che la guarda come se fosse una donna. Nel suo nuovo mondo dovrà imparare ad amare altra gente, a vivere in un altro modo, a condividere quel poco che c’è con una famiglia numerosa e un padre e una madre di pochi mezzi, anche culturali. Ma quello che all’inizio sembrava un incubo si rivela un passaggio a un’età “adulta” e più consapevole. La povertà si trasforma in scoperta delle ipocrisie e la possibilità di diventare migliori. In un contesto ruvido e aspro, come la terra di Abruzzo, Donatella Di Pietrantonio riesce a creare una storia di rara delicatezza.
- Catherine Poulain, Il grande marinaio (Neri Pozza). Traduzione di Margherita Botto
Nella valigia se state per andare al mare, magari in barca vela, ci sta questo libro che è uscito nel 2016 ma che mi piace ricordare oggi. E’ la storia vera di Catherine, Lili nel romanzo, che una sera di febbraio, in una piccola cittadina nel Sud della Francia decide che non vuole morire di infelicità, di noia e di birra e decide di partire per un lungo viaggio, zaino in spalla, verso l’Alaska. «Strafatevi. Morite se vi va. Io no. Io vado a pescare in Alaska. Ciao» dice a quelli che ridono del suo progetto. Una donna piccola, sola, in mezzo ai pescatori del Nord, al freddo, tra i ghiacci a fare una vita scomoda, dormendo per terra se capita, mangiando poco, faticando molto. Eppure quella vita, che è una grande avventura da seguire pagina dopo pagina, la rende felice e importante. Catherine Poulain ti fa sentire l’acqua sulla faccia, le mani che bruciano, le labbra screpolate, ma anche l’amicizia e la complicità con quegli uomini grossi, taciturni e gentili che la accolgono sul loro peschereccio e la proteggono come una di loro. Insomma, una tosta.
- Leila Slimani, Ninna nanna (Rizzoli). Traduzione di Elena Cappellini
Non si rischia lo spoiler con questo romanzo feroce e folgorante di Leila Slimani, nata a Rabat, in Marocco, nel 1981, residente a Parigi e fresca vincitrice del prestigioso Premio Goncourt. Non si rischia lo spoiler perché è la stessa scrittrice a metterci, fin dalle prime righe, davanti all’orrore. «Il bambino è morto. Sono bastati pochi secondi. Il medico ha assicurato che non aveva sofferto». A ucciderlo è stata la tata che sembrava tanto dolce, accudente, riservata… perfetta. L’incubo di tutti i genitori si è avverato. Myriam, giovane avvocato in carriera, e Paul, il marito fonico, le avevano affidato i loro bambini piccoli: Adam e Mila. Non sapevano a chi lasciarli e lei era risultata la migliore, con le mani delicate e affusolate, coi capelli biondi sempre in ordine, col suo profumo di talco. Se non fosse che dietro all’apparenza si nascondevano angosce e una vita piena di difficoltà. Leila Slimani indaga sulla relazione tata-padrona e, a partire da un fatto di cronaca successo a New York, riesce quasi a scrivere un trattato sociale sui rapporti tra i genitori e le persone a cui affidiamo i nostri figli. Fino a che punto ci possiamo fidare? Fino a che punto la “padrona” è amica, confidente? Quando ci sono di mezzo i figli le convenzioni sociali vengono meno o no? Facciamo bene a dare in mano la nostra vita a qualcuno che, in fondo, ci è estraneo? La grandezza del romanzo sta proprio nell’indagare le sfumature, i non detti, le sfilacciature di un rapporto sbilanciato in entrambi i sensi, per capire cosa ha spinto la tata a quel gesto estremo.
- Sarah Pinborough, Dietro i suoi occhi (Piemme). Traduzione di Rachele Salerno
Paula Hawkins ha fatto scuola. E l’ultima arrivata della serie thriller psicologico è questa autrice inglese che scrive per la tv ed è autrice anche di un romanzo YA (Young Adult), Thirteen Minutes – Tredici minuti, che diventerà una serie tv per Netflix. In questo romanzo c’è un triangolo amoroso: Louise, madre single, che ha una storia con David, sposato con Adele. Senonché Louise e Adele sono amiche, ma Louise non dice ad Adele di David, né Adele dice a David di avere una nuova amica. In questo incrocio di segreti se ne accumulano altri, ancora più intimi. Fino a scoprire che le verità più tremende in realtà si annidano nella mente di Adele, fragile e insonne… Ops! Ho detto troppo? Divoratelo fino alla fine e rimarrete basiti.Tanto che sui social, a proposito del libro e del suo finale è nato l’hashtag #WTFTHATENDING. Chiaro no?
- Kate Tempest, Le buone intenzioni (Frassinelli). Traduzione di Simona Vinci
Poetessa, rapper, drammaturga, Kate Tempest (classe 1985) ha inciso 2 dischi, scritto 2 raccolte di poesie e diverse opere teatrali. Ha vinto il prestigioso Ted Hughes Award nel 2013 e fa migliaia di visualizzazioni su YouTube con le sue poesie-rap nei contest di poetry-slam. Questo è il suo primo romanzo che arriva dritto come una poesia secca, con il linguaggio concitato e metropolitano dei giovani, per parlare di speranze e illusioni, voglia di riscatto e malesseri di 3 ragazzi in una Londra falsamente glamour dove la gente corre, corre, corre per raggiungere traguardi, successi e visibilità. Becky è una ballerina che per arrotondare fa la massaggiatrice, Harry spaccia cocaina, Leon scappa dalla famiglia e da una vita che gli sta stretta. All’inizio (che ricorda tanto Trainspotting nel linguaggio) i 3 sono su una macchina e stanno fuggendo. E poi, come in un flashback cinematografico e iperrealista, la Tempest ricostruisce le loro esistenze fragili. Un romanzo moderno che riesce a captare e rappresentare un mondo in cui chi è giovane annaspa.
8.Daniela Mattalia, La perfezione non è di questo mondo (Feltrinelli)
Torino, ospedale delle Molinette. Adriano, un professore 82enne cammina lungo i reparti. È lì perché vuole incontrare la moglie, scomparsa da poco. In effetti c’è: si aggira per i corridoi in cerca di qualcosa. Adriano vorrebbe parlarle, la sua presenza è forte: una bolla che sospende il tempo e i suoni, ma lei sembra ignorarlo. Cambio di scena: ecco Gemma, libraia, corre nel parco del Valentino e incontra Fausto, un giovane grafico pieno di sogni, che porta a spasso il suo cane Archibald. Ed è subito amore. Un’altra scena ancora: Olga, arzilla 76enne, si rompe una gamba mentre fa la spesa al mercato. Alle Molinette conosce un uomo che la corteggia e si fidanzano ma… Un filo di malinconia, tanta tenerezza e delicatezza caratterizzano il romanzo d’esordio di Daniela Mattalia che è riuscita a creare un piccolo mondo con 4 persone “vere” nella loro semplicità, 2 fantasmi che non fanno paura e 1 cane. Persone che hanno qualcosa in comune e il cui destino li ricongiungerà. È un romanzo leggero che si legge in fretta e mette di buon umore. A me ha ricordato una bella commedia francese vista sul grande schermo. Non ci sono grandi drammi o patemi, solo cose che capitano e personaggi che sembrano usciti dalla nostra quotidianità, deliziosi e, appunto, imperfetti. D’altronde, “La vita non è perfetta” dice a un certo punto il protagonista Fausto. “È fatta di animali che perdono i peli, di case piccole, di lavori così così, di genitori scombiccherati, di anziani che finiscono in ospedale…”. Si può dargli torto?