Intercetto Luca Argentero nella sua casa in Umbria, dove sta trascorrendo queste giornate di quarantena per tutto il Paese insieme alla compagna, l’attrice Cristina Marino, che tra pochi mesi darà alla luce la loro prima figlia. «Stavamo progettando di trasferirci a Milano, ma vista la situazione limitiamo i movimenti allo stretto necessario» spiega l’attore torinese, 42 anni il prossimo 12 aprile, che dopo aver posticipato le date del suo spettacolo È questa la vita che sognavo da bambino?, dal 26 marzo torna su Rai1 con la fivtion Doc-Nelle tue mani.
Tratta dalla storia vera del dottor Pierdante Piccioni, Doc – Nelle tue mani racconta del primario Andrea Fanti, interpretato da Argentero, che perde 12 anni di memoria dopo un incidente stradale e, al risveglio, si ritrova a imparare un nuovo approccio alla vita. «Fanti deve riprendere in mano la sua esistenza da un punto di vista personale e professionale. Non ho mai vissuto un evento che mi abbia portato a riconsiderare tutto, come succede a lui: sono stato fortunato finora» dice con un sorriso.
Come vivi questi giorni?
«Bene, in comunione con lo spirito che pervade tutti: l’idea di contribuire, semplicemente stando a casa, a risolvere una situazione. Ho la fortuna di avere un pezzetto di terra che mi permette di stare fuori, ma avrei preferito godermi la gravidanza di Cristina con maggiore serenità. Sono convinto che andrà tutto bene».
Che padre pensi che sarai?
«Chi può dirlo… L’unica cosa di cui sono certo è che nei miei genitori ho un ottimo modello a cui ispirarmi, spero di replicare il loro esempio».
Su Twitter hai scritto: «Le videochiamate, patrimonio dell’umanità»
«Trovo sempre il tempo per sentire le persone a cui tengo. Ora la videochiamata è uno strumento che ci unisce di più: non potendo andare a trovare mia madre, mi aiuta a percepirla meno distante. Vale anche per gli amici».
L’Italia sta riscoprendo un senso di comunità: le terrazze sono diventate palchi da cui la gente si affaccia e canta
«Non ce n’è per nessuno: siamo il miglior Paese e il miglior popolo al mondo, è una cosa che vale da qualche secolo. Ho sempre vissuto con orgoglio il mio essere italiano: penso che questo spirito di comunione sia legato a quanto siamo, passami la semplificazione, i più fighi di tutti» (ride).
Hai definito Doc-Nelle tue mani un omaggio a chi vive e lavora negli ospedali. Perché?
«Nessuno si aspettava che la serie uscisse in un momento tanto particolare per il nostro Paese, in cui i medici sono così coinvolti e in prima linea. Lo dico con pudore. Per me è un omaggio perché da mesi provo a capire cosa voglia dire fare il medico. Ne ho affiancati alcuni durante le settimane passate in ospedale».
Cosa hai capito?
«Affrontano la sofferenza dei pazienti e delle famiglie, e risolvono tutto con una naturale empatia che molti di noi perdono nella frenesia quotidiana. È un mestiere ancorato alla definizione stessa di essere umano, che è prendersi cura degli altri. Forse questo momento di crisi ci servirà a capire che aiutarsi è cruciale per l’umanità».
Avresti avuto le doti per diventare medico?
«Macché, quando si è trattato di decidere l’università ho escluso categoricamente Medicina. Non sopporterei tante responsabilità, infatti ho scelto di fare il saltimbanco (ride). Regalo un sorriso e, se una battuta non funziona, pazienza».
Hai lanciato un appello per raccogliere fondi per la Protezione Civile con la onlus 1Caffè e in 3 giorni avete superato i 400.000 euro. La solidarietà è il tuo modo di stare in prima linea?
«Quando c’è un’emergenza il popolo italiano è il numero 1 al mondo, c’è una gara di solidarietà senza eguali. Lo abbiamo visto anche con la campagna di Fedez e Chiara Ferragni: le persone si accodano, capiscono».
Quali sono le tue priorità, oggi?
«Innanzitutto il mio piccolo nucleo familiare in evoluzione. Vorrei imparare a gestire meglio il tempo: a volte lo lascio sfuggire, mentre lo si dovrebbe tenere sotto controllo perché poi non torna più».