Perfino il Times l’ha definito “sex-symbol e icona di stile”. Luca Zingaretti vive ormai con disinvoltura l’etichetta guadagnata con Il Commissario Montalbano che lo ha fatto conoscere e amare in molti Paesi. Tre anni fa a un quotidiano britannico che l’aveva intervistato sulla scia di quella fama per l’arrivo della serie Il re (su Sky) ha detto «Mi piace essere sostenuto dal pubblico femminile, perché è molto attento, selettivo, caloroso. Una volta guadagnata la sua fiducia, devi tenere alta l’asticella, non puoi offrire nulla che non sia autentico». Dopo aver declinato il suo talento in oltre 65 ruoli per il cinema e la tv, da fiction su figure storiche come Paolo Borsellino e Adriano Olivetti a commedie come La città proibita di Gabriele Mainetti, ora in sala, ha scelto di esordire alla regia con un film che cerca proprio quell’autenticità. La casa degli sguardi, adesso al cinema, in cui è anche attore.
La trama del film La casa degli sguardi

La casa degli sguardi è tratto dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli (Mondadori) ed è la storia di un 20enne (Gianmarco Franchini) con un grande talento per la poesia e un’ipersensibilità che lo spinge ad anestetizzare con l’alcol le angosce esistenziali insieme al ricordo della madre, prematuramente scomparsa, che l’aveva incoraggiato a scrivere. Riuscirà a ritrovarsi e riscattarsi sotto lo sguardo paziente, e sempre presente, del padre (Zingaretti). Il 63enne attore romano, che ha avuto due figlie di 14 e 10 anni dalla moglie Luisa Ranieri, lo interpreta con intensità ispirandosi in parte anche al suo, di genitore.
È vero che ha aggiunto una battuta che gli sentiva ripetere da piccolo?
«Sì, mio padre diceva spesso: “Mi raccomando, sempre in bocca al lupo!”. Da ragazzo mi sembrava un po’ strano, ma con il tempo ne ho capito il senso: era il suo modo di dirci che lui c’era, che noi figli eravamo importanti e dovevamo proteggere la nostra vita, stare attenti a non fare stronzate».
Luca Zingaretti ha scelto La casa degli sguardi per la sua prima regia
Perché ha scelto proprio La casa degli sguardi per il debutto alla regia?
«Da una decina di anni lavoravo a un mio soggetto, finché ho letto il libro di Daniele Mencarelli: affronta tematiche che mi stanno molto a cuore e mi è sembrato giusto per fare questo passo.
Da sempre mi emozionano le storie di chi inciampa e lotta per rialzarsi
Il film è diverso dal romanzo perché, per restituirne lo spirito sullo schermo, ho dovuto cambiare qualcosa, ma sono stato molto attento a non intaccare la sostanza. E a non essere ricattatorio, a non farne un mélo».
Per evitare la lacrima facile?
«È un rischio che corri con la storia di un ragazzo dipendente dall’alcol che va a lavorare in ospedale, in un’impresa di pulizie. Meglio tenersi un filo indietro».
In realtà, anni fa, aveva già firmato la regia di alcuni episodi del Commissario Montalbano.
«Purtroppo per un motivo infelice: si era ammalato il regista, Alberto Sironi (scomparso nel 2019, ndr). Ho vissuto quell’esperienza con pena, prendendo il posto di un amico per necessità e per dovere. Mi hanno buttato in acqua e ho nuotato, ma proprio allora ho anche capito che, preparandomi meglio, avrei potuto realizzare un progetto mio».
Luca Zingaretti nei panni di un padre che sostiene e rispetta il figlio
Interpreta un modo di essere padre diverso dal suo nella vita?
«Quello di La casa degli sguardi è un uomo senza grandi strumenti, fa il tranviere e aveva delegato l’educazione del figlio alla moglie che non c’è più. Vede con dolore che il ragazzo si sta perdendo, assiste a quel lento suicidio senza sapere come affrontarne la sofferenza, ma sa che ha bisogno di lui e trova il modo di fargli sentire il suo affetto incondizionato, il suo sostegno qualsiasi cosa succeda. Mi commuove la sua capacità di “stare”, così rara di questi tempi».
Un valore per i genitori di oggi e di sempre?
«Sì, penso che esserci sia il più grande regalo che puoi fare alle persone a cui vuoi bene. Avere rispetto per i figli nel loro essere diversi da noi serve alla loro autostima, e anche accettare il fatto che possano avere momenti autodistruttivi, come tutti. La mia è una generazione di padri sicuramente più teneri di una volta. Mia madre per spaventarci diceva: “Lo dico a papà”. Oggi può succedere anche il contrario: con le nostre figlie mia moglie è meno permissiva di me».
Per Marco, il protagonista, la via d’uscita arriva anche attraverso un impiego, per quanto umile: crede nel potere salvifico del lavoro?
«Assolutamente sì. Il lavoro non serve solo ad avere soldi per vivere: ti dà identità, dignità, un posto nella società, anche e proprio nella classe lavoratrice umile che una volta il cinema raccontava più di oggi. Basti pensare ai disoccupati in depressione, fra l’altro, per aver perso il loro ruolo sociale. Marco ritrova se stesso facendo qualcosa di molto semplice e non certo esaltante, eppure farlo bene e sentirsi dire “bravo” lo inorgoglisce».

In La casa degli sguardi Luca Zingaretti racconta il dolore
Il pubblico italiano premia le commedie, lei stesso ha dimostrato un talento comico in alcuni ruoli, di recente anche nella serie No Activity – Niente da segnalare su Prime Video. Da regista preferisce invece raccontare le esperienze umane più dolorose?
«Trovo che oggi il dolore sia demonizzato, invece va accolto. Ci atterrisce chi ha un lutto, neanche avessimo paura di essere contaminati dal suo stato d’animo.
E invece bisogna attraversarlo, perché non esiste felicità senza sofferenza: come diceva Friedrich Nietzsche, sono sorelle gemelle
Se non accetti questo, e le tue fragilità, è difficile vivere pienamente. E poi vorrei raccontare i giovani, perché abbiamo consegnato loro un mondo osceno eppure sono fantastici e combattivi, tutt’altro che smidollati».
Un motivo per essere ottimisti?
«Per indole lo sono sempre stato. Però non posso ignorare quello che ci succede intorno, le guerre, il riscaldamento climatico, i santoni dei social che predicano come nel Medioevo e più le sparano grosse più hanno seguito. Eppure come nella Storia della tigre di Dario Fo, non bisogna scappare di fronte al pericolo, la tigre appunto, ma tenere acceso il fuoco che l’allontanerà».
Lei lo fa raccontando storie da produttore o oltre che da attore e regista. Ha voluto comprare i diritti di Le indagini di Lolita Lobosco di Gabriella Genisi, fiction tv di cui è protagonista sua moglie Luisa Ranieri. La passione per questo mestiere è anche una linfa nella vita di coppia?
«Certo, anche per questo abbiamo cercato insieme dei progetti che ci interessava proporre. Avere un lavoro che appassiona è un grande privilegio. Per il resto, siamo persone normali, con una vita di famiglia che cerchiamo di proteggere».