Si possono raccontare un tradimento e il turbinio di emozioni che si porta dietro attraverso un romanzo che parla di personaggi immaginari ma risuona di esperienze personali? È quello che fa Lucilla Agosti, 42enne arrivata alla fama nei primi anni del Duemila sul canale All Music e oggi conduttrice radiofonica di R101, con il suo primo libro: Se esplodi fallo piano (Mondadori).
Protagonisti sono una donna, 2 figli, di cui una bimba di pochi mesi, un cane e un marito che si innamora di un’altra. Una famiglia come tante. Una famiglia come la sua. Lucilla di figli ne ha 3, avuti con il compagno Andrea Romiti, consulente finanziario, che l’ha messa di fronte alla prova più grande di tutte, rompendo l’immagine della famiglia perfetta che lei aveva sempre rincorso. Un’immagine da cui è dovuta ripartire trovando un nuovo modo per andare avanti: la scrittura.
Quanto c’è di te in questo libro?
«Tantissimo. E non solo in Carla, la protagonista, ma anche in suo marito e nell’altra donna. C’è il mio modo di guardare le cose in ognuno di loro. Ho messo in Carla la parte di me che aveva bisogno di riscoprirsi, in Filippo la mia fragilità, in Simona l’insicurezza».
In che modo ti sei messa nei panni del traditore e dell’amante?
«Ho cercato di non giudicare, forse grazie al mio lavoro in teatro che mi ha insegnato a entrare nei panni di personaggi diversi. Per Filippo, invece che rabbia, ho provato tenerezza. Mi sono data la possibilità di cercare di capire perché un uomo provi il desiderio di andare via dalla famiglia che ama, perché senta un bisogno di leggerezza».
E lo hai capito?
«Quando è successo a me il primo pensiero è stato chiedermi dove avessi sbagliato, perché non fossi stata in grado di dargli quello di cui aveva bisogno. Oggi so che il rapporto aveva già una falla, abbiamo provato entrambi a tenerlo unito, perché c’è un legame fortissimo di 15 anni insieme ed è importante mettercela tutta. Ma è sbagliato andare via di casa e non affrontare il problema, così come lo è addossarsi tutte le colpe. Prendere consapevolezza serve, e serve capire che restare insieme infelici è sbagliato. Anche i figli respirano quell’infelicità».
A te a cosa è servito?
«Ho ritrovato parti di me. La mia natura. La gioia di vivere, di fare, di volermi bene per come sono. E la libertà. Ero entrata in una convenzione e mi ero messa da parte».
Inseguivi un ideale di perfezione?
«Cercavo di essere la madre, la nuora, la cognata perfetta, con la pressione di dover essere meglio di come ero. E quindi mi sentivo sbagliata. Ho sempre avuto un spirito libero e lo consideravo un valore, ma le persone più importanti intorno a me mi hanno fatta sentire “da correggere”. Sto cercando di volermi più bene».
Cosa si fa quando ti crolla il mondo addosso?
«Devi essere in grado di trasformare la tua vita, che fino ad allora hai visto in un certo modo, e pensare che possa diventare altro. Ho lavorato su me stessa».
Da sola?
«Ho intrapreso un percorso di psicoterapia: si chiama Metodo Grinberg e lavora sulle reazioni fisiche, molto potenti e vere. La mente spesso entra in “modalità protezione”, il corpo invece non può mentire. Trattiene la memoria di tutto e ti permette di affrontarlo. Per me è stato rivoluzionario».
Si può perdonare un tradimento?
«Io non credo di saperlo fare. Non avevo mai pensato potesse accadere a me, a noi. Ho dovuto affrontare un cambiamento che non avrei mai voluto e ho sofferto tantissimo. Ho compreso di testa, ho compreso anche di cuore, mi sono immedesimata in lui desiderando di smettere di sentire quel male. Eppure non ci sono riuscita. Il perdono è come la fede, non puoi imporlo».
Sei arrabbiata?
«Sì, sono arrabbiata».
Scrivere ti ha aiutata?
«I libri danno risposte. Questo romanzo è un mio atto di coraggio in un momento delicato in cui molte cose stanno cambiando».
Lui lo ha letto?
«Non vuole. E fa male. Troverebbe comprensione di ogni personaggio. Io voglio bene anche a Simona».
Nel libro Simona chiede a Carla di incontrarsi. Tu hai incontrato l’altra? «L’ho invitata io, mi ha detto: “Fottiti”. Non tutte le donne sono capaci di gesti grandi o di mettersi in gioco».
I figli spesso mettono a dura prova le coppie. Tu ci sei passata 3 volte.
«Le gravidanze sono i pilastri della mia vita, ma la relazione con il padre dei miei figli è stata scossa tutte e 3 le volte. Chi vuol far credere che sia tutto facile forse mente».
Cosa hai pensato quando sei rimasta incinta la prima volta?
«Che non sarei mai stata più sola nella mia vita».
Eri sola prima?
«Ho un buco interiore grande, fin da bambina, chissà da dove arriva. I miei figli lo hanno colmato in modo naturale. Per loro sono insostituibile. In qualsiasi altra relazione, soprattutto in quella di coppia, mi sono sempre sentita sostituibile, mai “abbastanza”. Grazie a loro mi sono sentita amata e ho riconosciuto i miei pregi. Sono stati lo specchio in cui ho visto le mie parti belle».
«Quando le relazioni vanno male, pensiamo subito che la colpa sia nostra. nessuna mai che dica di lui: povero sfigato»
Che mamma sei?
«Allegra, precisetta con gli orari. Ma anche molto libera: credo che la disobbedienza renda allegra la vita. Non sono apprensiva, non esercito l’ipercontrollo».
Nel tuo libro uomini e donne risultano molto diversi nella genitorialità. Lui torna a casa dal lavoro, ma quella che deve pensare alla cena è lei.
«L’uomo crede, lavorando, di adempiere totalmente al suo dovere. Anche le donne lavorano, ma poi rifanno il letto, preparano la colazione, portano i bambini a scuola e spesso rinunciano a qualcosa».
Tu hai fatto rinunce?
«Ho chiesto cambi di orario al lavoro, per non lasciare i miei figli ai nonni o alla tata 12 ore. D’altra parte, lavorare significa prendersi cura di sé staccando da un contesto familiare che, a volte, rischia di schiacciarti. Può fare bene, soprattutto se tuo marito non è più dove dovrebbe essere».
Per te è stato così?
«Sì, come donna e per riposizionarmi di fronte al mio uomo».
Nel tuo libro un tema importante è proprio cercare di valorizzarsi di più.
«Tutte, quando le relazioni vanno male, pensiamo subito di aver fatto qualcosa di sbagliato, oppure di non piacere abbastanza. Non pensiamo mai che possa essere sbagliato lui, nessuna mai che dica: “Povero sfigato”. Ci diamo la colpa sempre, quando dovremmo riconoscere il nostro valore».