Persone incapaci di esprimere liberamente le loro emozioni, uomini e donne dai volti e dai modi gelidi, simili ai protagonisti del celebre dipinto di Grant Wood “American Gothic”, l’opera che ha ispirato il titolo del libro di Patrizia Busacca, giornalista e scrittrice. “Madri gotiche” (Linea edizioni) è un libro postumo in cui l’autrice traccia la mappa delle sue relazioni familiari e racconta il desiderio di sottrarsi a un modello materno anaffettivo. «Nella rigidità rappresentata da Wood, Patrizia riconobbe una caratteristica che riscontrava nella madre e, ancor prima, nella nonna materna. Questo tratto familiare era una delle concause per cui sua zia, Lidia, affetta da una psicosi, è stata rimossa dalla memoria familiare» spiega Alessandro Bencivenni, sceneggiatore e marito dell’autrice. «Mia moglie Patrizia seppe della zia quando era adolescente. Da questa scoperta partì il viaggio a ritroso nel tempo, poi raccontato nel romanzo, alla ricerca di un significato e delle responsabilità, che sono da attribuire unicamente al silenzio». Eppure, nonostante il tema doloroso, questo straordinario libro in cui si alternano dramma e commedia, è un inno alla vita.
Cosa vuol dire essere anaffettivi
Nel linguaggio comune l’anaffettivo è qualcuno che non è in grado di dare amore, ma è la definizione corretta per spiegare il comportamento di chi non sa esprimere i sentimenti? Lo abbiamo chiesto al dott. Corrado Dastoli, psichiatra, psicoterapeuta e sessuologo.
Cosa si intende per anaffettività?
È un termine piuttosto generico che, tuttavia, evoca una condizione preoccupante. Se consideriamo che l’affettività intesa come espressione dei sentimenti è una dimensione necessaria all’essere umano, l’anaffettività, che è il suo opposto, indica la mancanza o la carenza di questo aspetto.
C’è da dire, però, che l’anaffettività vera e propria riguarda persone con problemi seri, totalmente incapaci di provare e dare calore. Si tratta, inoltre, di una definizione stigmatizzante che preclude un percorso di maturazione dell’individuo. Molto spesso si definisce anaffettiva una persona che ha difficoltà a manifestare i sentimenti, che vive nel silenzio degli affetti. In questi casi sarebbe più opportuno parlare di alessitimìa.
Chi sono gli alessitimici?
Sono persone che trovano difficile avere a che fare con le emozioni perché le percepiscono complesse e contraddittorie. Non essendoci un contatto e un riconoscimento con il proprio mondo interiore, si vive senza fare i conti con i propri sentimenti che, in questo modo, rimangono inespressi.
I genitori oggi sono “amici” dei figli. Madri come quelle raccontate nel libro esistono ancora?
La genitorialità non è un campo in cui si può fingere la comprensione e l’accettazione dell’affetto. Un figlio cerca e chiede un contatto autentico; in questo senso i bambini sono una cartina di tornasole di quanto i genitori abbiano acquisito veramente la capacità di ascoltare i propri e i loro sentimenti. Se una persona non ha riconosciuto e accettato con tolleranza la propria aggressività, la rabbia, la tenerezza e il bisogno di contatto, probabilmente non saprà farlo neanche con i figli. Capita però che si confonda la capacità di dare regole con la mancanza di amore nei confronti dei bambini perché, secondo un sentire comune, accontentare gli impulsi e gli istinti dei figli è sinonimo di grande affettività. Le regole, in realtà, abituano il bambino ad essere l’adulto di domani ed evitare di darle significherebbe non assumersi le responsabilità di un compito educativo.
L’alessitimìa dei genitori che conseguenze può avere sui figli?
Il figlio potrebbe essere un grosso aiuto nel curare l’alessitimìa del genitore e quindi, paradossalmente, anche se una persona è piuttosto chiusa può essere aiutata ad aprirsi dalla relazione con il bambino. Un figlio chiede a una madre e a un padre di impastarsi letteralmente con i sentimenti. Se invece il genitore si chiude, provocherà una delusione nel figlio che si tradurrà in un’altra chiusura.
Quali sono le cause dell’alessitimìa?
Si ha a che fare con due fattori, uno costituzionale e l’altro ambientale. Volendo fare un paragone, c’è chi nasce poco predisposto all’armonia musicale e chi poco portato a fruire dei sentimenti. Poi si può nascere in un scenario che favorisce certe propensioni, ad esempio un contesto familiare d’origine repressivo non facilita la libertà di esprimere i propri sentimenti.
Si può curare l’alessitimia?
Sì, insegnando innanzitutto ad essere tolleranti con sé stessi e aiutare le persone in formazione a tirar fuori l’emotività. Nella scuola di oggi, per esempio, c’è una maggiore sensibilità e un maggiore impegno nell’insegnare a esprimere le emozioni, riconoscerle e distinguerle. Le persone che, invece, si portano dietro fin dalla loro adolescenza questa problematica possono essere aiutate a riconoscerla e curarla. Ci sono casi più e meno difficili ma l’alessitimìa, a differenza dell’anaffettività, apre alla possibilità di cura.