Dal 21 al 23 maggio si tiene a Milano il WeWorld Festival, una vera e propria kermesse organizzata da WeWorld, l’Ong italiana che, da oltre 50 anni, difende i diritti di donne e bambini in 27 Paesi. Tre giorni di talk, dibattiti, performance e mostre (con accesso gratuito) per parlare di empowerment femminile. Il tema centrale di questa 11esima edizione sono gli stereotipi, soprattutto di genere, ma non solo, che costituiscono ancora il fondamento della mancata inclusione di molte donne nella vita sociale, politica, economica e culturale del nostro Paese.
E proprio degli stereotipi su donne e maternità abbiamo parlato con le due autrici di Mammadimerda, il blog satirico che prova ogni giorno, dal 2016, a intercettare i bisogni dell’universo femminile. Nell’ultimo anno, Francesca Fiore e Sarah Malnerich hanno utilizzato questo mezzo come collettore delle istanze delle donne, portando avanti campagne per il riconoscimento di misure a sostegno delle madri e contribuendo alla nascita di ben due movimenti spontanei, uno per il diritto all’istruzione, e l’altro, il Giusto Mezzo, che ha raccolto l’iniziativa Half of It, dove garantiscono idee per una ripartenza alla pari.
«Lottiamo contro gli stereotipi della maternità che ci fanno stare male. Contro standard che ci propinano ogni giorno ma che in realtà non esistono e che, comunque, in qualche modo, ti fanno capire che stai sbagliando e ti fanno sentire in colpa», racconta Francesca, nata nel 1983 in Basilicata, ma «deportata all’età di due anni nella fredda Torino».
«Sei egoista se decidi di dedicarti alla carriera e non fai figli. Lo sei comunque se fai figli ma vuoi continuare a lavorare e ti senti dire ogni giorno: “Ma che li fai a fare?”, “Perché vuoi tornare a lavorare quando puoi stare a casa con i figli?”, oppure “Goditeli adesso che poi crescono”», sottolinea Sarah, romana, ma di chiare origini barbariche, «la partita sembra persa in partenza così, non credi?».
È da qui che arriva il nome del blog Mammadimerda: «Qualsiasi cosa tu faccia vieni tacciata come mamma di merda», spiega ancora Sarah, «e allora sai che c’é? Ce lo diciamo noi. Sì, siamo mamme di merda che abbiamo deciso di continuare a crescere e riappropriarci dei nostri spazi anche dopo avere avuto figli». Una bella provocazione se si considera che da simpatiche blogger giullari, le due donne si sono trasformate in arrabbiate attiviste che popolano le piazze, creano flashmob e movimenti per sensibilizzare quel mondo troppo “ristretto” che pensa ancora che le donne siano una categoria di serie B. Che debbano stare a casa con i figli, preparare pranzo e cena e “scaldare” il focolare quando fa più comodo. Agli altri naturalmente.
«C’è un aspetto un po’ troppo sottovalutato. Oltre ad essere un diritto, lavorare ci piace», chiarisce la vulcanica Sarah, «Non vogliamo vergognarci a dirlo o anche solo rischiare di incorrere nell’incommensurabile rottura di coglioni che è sentire una delle solite frasi fatte. Lavorare ci rende autonome, ci completa, fa di noi delle persone soddisfatte e quindi anche delle madri migliori. Lavorare è una necessità non un passatempo. Continuare a dover scegliere tra figli e lavoro è come dire: “Vuoi più bene a mamma o a papà?”».
«Nell’ultimo anno l’occupazione femminile è crollata perché la crisi ha colpito di più i settori a maggiore impiego di donne e il lavoro di cura con le scuole chiuse è ricaduto tutto su di noi», spiega Francesca.
«Il lavoro del 52% del Paese, che non è un hobby, è inchiodato al palo, fanalino di coda dell’Europa per occupazione femminile. E nella bozza del Recovery i soldi destinati a settori connessi al rilancio del nostro lavoro sono addirittura diminuiti rispetto al primo prospetto. Soldi insufficienti, ad esempio, sugli asili nido, che sappiamo quanto incidano sul nostro rientro al lavoro dopo il parto. Infine, per le imprese femminili, che sono quelle che in Italia crescono più in fretta, solo briciole».
«E poi ci vengono a parlare di “resilienza”!», tuona Sarah, che dice «è solo una colossale fregatura. La maternità è tutta sulle spalle delle donne e il Governo non fa nulla per cambiare le politiche di Walfare».
Insomma, alle “mamme di merda” (non solo alle autrici ma alle 150 mila seguaci) non frega niente di fare quelle forti, quelle che non devono chiedere mai. Rivendicano il diritto di avere i servizi per cui pagano le tasse. Ma soprattutto il diritto di “Non farcela“, come recita il claim stampato sulle loro T-shirt.