Dal 1° febbraio è nelle sale italiane The Post, film di cui Meryl Streep è protagonista: racconta uno dei momenti più gloriosi del giornalismo d’inchiesta Usa. Ecco l’intervista all’attrice, candidata all’Oscar.
Dire che Meryl Streep è un’attrice eccezionale è ovvio. Per lei parlano 3 Oscar vinti (per “Kramer contro Kramer”, “La scelta di Sophie” e “The iron lady”), 21 candidature (più di ogni altro attore o attrice nella storia del cinema, l’ultima per “The Post”) e 31 nomination ai Golden Globe. Così, quando amici e colleghi mi hanno chiesto: «Com’è?» dopo che l’ho incontrata a Milano per la presentazione proprio di “The Post”, il film di Steven Spielberg sulla libertà di stampa, la prima risposta che mi è venuta in mente è stata: «Bella». Ma non nell’accezione tradizionale di Hollywood. Non ha quel glamour, a volte un po’ annoiato, di certe attrici. E nemmeno quell’entusiasmo esagerato di chi sa di aver toccato il cielo con un dito. A 68 anni, è bella come può esserlo una grande professionista che ama il proprio lavoro ed è capace di trasmettere la sua passione agli altri. Arriva all’incontro con una camicetta a fiori, sfoderando il sorriso dolce che abbiamo visto in tanti film. Con lei c’è il collega Tom Hanks: scherzano, si rimpallano le battute. Sono affiatati come in “The Post”, in cui Hanks interpreta Ben Bradlee, il direttore del Washington Post, e Meryl il suo capo: l’editore Katharine Kay Graham. Una coppia perfetta. Che, però, è apparsa insieme sullo schermo solo un’altra volta prima di questa: in “Tutto è ispirazione”, il documentario su Nora Ephron, la sceneggiatrice di “Harry ti presento Sally”, scomparsa nel 2012. «È stato grazie a Nora che ci siamo conosciuti» ricorda Meryl. «Mi piacerebbe che ora fosse qui a commentare questo film e il momento che stiamo vivendo. Credo che nessuno sarebbe capace di farlo in maniera più divertente e pungente…».
«Riflettiamo su quanta strada non abbiamo fatto». “The Post” racconta una pagina cruciale della storia del giornalismo: la pubblicazione dei Pentagon Papers, documenti top secret sulla guerra in Vietnam. Soprattutto, racconta di Katharine Graham, proprietaria del Washington Post, che diede il via libera alla stampa dimostrando di sapere tenere testa al gruppo più agguerrito di maschi alfa: i politici di Washington e i signori di Wall Street. Meryl Streep la interpreta meravigliosamente, nella sua voglia di raccontare la verità ma anche nelle sue incertezze. «Molte si riconosceranno in certi atteggiamenti» spiega. «La prima versione della sceneggiatura è stata scritta da Liz Hannah ed è stata acquistata da Amy Pascal 6 giorni prima delle elezioni Usa del 2016. Credevamo che il film avrebbe avuto uno sguardo un po’ nostalgico, pensando a quanta strada avevamo fatto nel frattempo. Soprattutto in vista dell’elezione di una donna alla Casa Bianca, cosa che tutti davano per scontata. Non è stato così, anzi: sono aumentati gli attacchi verso la stampa e le donne. E alla fine la pellicola è diventata anche una riflessione su quanta strada “non” abbiamo fatto». Streep parla di coraggio: quello di Daniel Ellsberg, che trafugò i Pentagon Papers e li consegnò ai giornali; quello del direttore del Washington Post Ben Bradlee, che mise a rischio la sua carriera; quello di Graham, che si oppose all’allora presidente Richard Nixon. «Katharine aveva quasi la sensazione di non meritare il posto che invece le spettava. Eppure sarebbe stata la prima donna a capo di una società all’interno di Fortune 500 (la classifica annuale delle 500 aziende Usa più ricche, ndr), una cosa inconcepibile per quei tempi. E avrebbe vinto un Pulitzer con la sua autobiografia» dice Meryl. «Il coraggio si può apprendere. Penso che Katharine l’abbia imparato, dobbiamo seguire il suo esempio. E insegnarlo alle ragazze. Non lo facciamo abbastanza».
«Angela Merkel e il movimento #Me-Too stanno cambiando le cose». Eppure le ragazze ora scendono in piazza, contro le molestie e le discriminazioni… «Senz’altro l’aria è cambiata. La campagna Time’s up lo dimostra. E questo non sta succedendo solo nel mondo del cinema, ma nell’ambito militare, all’interno del Congresso, in ogni posto di lavoro. I nomi di chi ha commesso abusi a Hollywood sono venuti fuori grazie alla ribellione di alcune bellissime attrici. Devo dire che le donne hanno sempre dovuto affrontare soprusi: donne che lavorano nei ristoranti, negli ospedali, in case di riposo. Però soltanto quando è stata coinvolta Hollywood le cose hanno cominciato davvero a cambiare. Le persone si sono sentite coraggiose, in grado di poter far qualcosa. Spero che questa consapevolezza continui, sono molto ottimista». C’è oggi una figura come Katharine Graham? «Forse Angela Merkel» dice Meryl. In Italia, però, guardiamo alla cancelliera tedesca in maniera differente dagli Usa… «Ne sono consapevole» risponde. «Ma il solo fatto che rivesta quel ruolo la rende importante. Vedete qualche donna alla guida in Italia?». Tom Hanks interviene nella discussione: «Il Rubicone è stato attraversato grazie ai movimenti #MeToo e Time’s Up» spiega. «Passeremo un altro Rubicone quando, seduti in aereo, sentiremo una voce che annuncia…» e qui Meryl cambia tono «“Buongiorno, sono Stephanie McDonald e sono il vostro pilota oggi” e non saremo colti dal panico». Ride. A proposito di #MeToo, cosa pensa delle dichiarazioni di Catherine Denevue, che si è scagliata contro il movimento? Sbuffa: «Alla fine ha capito e ritrattato. Purtroppo questo non è un processo lineare, avrà continuamente alti e bassi. L’importante è andare avanti. E per questo ogni parere è buono e utile, anche quelli contrari». Ma davvero non l’ha fatta arrabbiare nemmeno un po’? Ride: «Io sono arrabbiata da quando ho 21 anni. Come si fa a non esserlo?».
Perché “The Post” è un film importante