Dodici Sanremo, più una partecipazione tra le Nuove proposte. Michele Zarrillo, classe 1957, è il veterano del Festival di Sanremo. Non gli interessa la gara, perché sa che quel che conta è che una canzone resti nel tempo. Canta Nell’estesi o nel fango che stupisce per la modernità dei suoni e il ritmo coinvolgente, lasciandogli lo spazio di mostrare la sua vocalità con grandi acuti. Nella serata delle cover canta Deborah (Fausto Leali e Wilson Pickett, 1968) con Fausto Leali.
Come mai torni a Sanremo?
Nel 2017 non ho vissuto un Festival da protagonista eppure la mia canzone è rimasta e sono felicissimo di portarla nei live. Il pubblico la canta al pari di miei altri successi, da Una rosa blu a Cinque giorni. Vuol dire che questa manifestazione, nonostante tornassi da un periodo di assenza, riesce ancora a far arrivare le canzoni. È quello che desidero anche quest’anno. So che in quella settimana io non faccio notizia, ma poi lascio che siano le canzoni a parlare.
Quest’anno canti Nell’estasi o nel fango. Ce ne parli?
Qui ho sicuramente un atteggiamento meno da evergreen. La composizione è più dinamica. In certi punti fa anche ballare. Il testo non è un testo d’amore di coppia ma d’amore nei confronti dell’uomo, della difesa delle cose che dobbiamo proteggere, della nostra umanità e di tutto quello che ci stiamo perdendo: il coraggio, la voglia di dirci le cose in faccia, quella di stare con le persone che amiamo di più piuttosto che passare le giornate sui social a farci foto un po’ osè. Il testo parla della voglia di rimanere in piedi. Chiaramente io parlo per uno che come me che, a una certa età, ha suonato in varie generazioni e non ha voglia di farsi travolgere né abbattere. C’è un certo tipo di ribellione in questo. Io resto ancora in piedi come slogan, sia nell’estasi che nel fango.
Si sente più spesso in estasi o nel fango?
Le due fasi sono abbastanza frequenti. Magari si potesse stare solo nell’estasi, sarebbe un miracolo. La vita ti pone davanti a tanti momenti che ti colgono di sorpresa e ti spaventano. Bisogna tenere conto che la vita è molto breve e questo diventa chiaro quando superi una certa età.
Il cambiamento ti spaventa?
Mi spaventa quello che ci circonda. Guardiamo il clima. Mi spaventa che non si faccia nulla. Le lobby stanno cercando di resistere più che possono. Noi stiamo facendo qualche passetto ma mi stupisce che debba arrivare una ragazzina di 16 anni a risvegliare le menti dei potenti. È in un certo senso una cosa ridicola. Ci sono scienziati che lo dicono da anni e a parlare al mondo è Greta Thunberg e lo scienziato non lo ascolta nessuno. Mi spaventa l’ostentazione della ricchezza. Siamo in un momento in cui cambiamo un telefonino all’anno e poi abbiamo problemi a smaltire le cose. Guardiamo i problemi dal nostro divano.
Gli artisti hanno il potere di cambiare le cose?
Nei secoli rimangono le opere d’arte degli artisti ma il potere sugli uomini ce l’hanno gli altri. Se non c’è riuscito Leonardo Da Vinci o Beethoven non vedo perché dobbiamo riuscirci noi o il primo rapper.
Che rapporto hai con i social?
A me piacciono molto ma, da buon sessantenne, sono legato a Facebook. Instagram non lo so usare. Mi dovrei far spiegare bene come funziona e come farlo vivere. Ma sono pigro. E mi passa la voglia di mostrarmi. Mi mette ancora un po’ in imbarazzo nonostante i tanti anni di carriera.
Riconosco che per tanti artisti oggi sia un lavoro. Ci sono cantanti blasonati che ogni giorno devono pubblicare perché è un modo per rimanere in contatto con il pubblico. Per far vedere che esisti. Che sei vivo e vegeto.
Sei una delle voci di Roma, in un momento in cui la capitale sta sfornando tantissima musica, che ne pensi della scena musicale che ti circonda?
Ho seguito da vicino il successo di Ultimo. Lo conosco fin da bambino. Ha spiazzato un po’ tutti. Venne con il papà a farmi sentire cose e mi chiese che cosa ne pensassi. Risposi “è un mestiere difficile certo, ma se diventa Vasco Rossi, diventa ricco e famoso”. Una battuta, ma così è stato. In due anni sta superando i numeri di Vasco perché lui canta le storie della vita dei ragazzi, le storie d’amore, in maniera prorompente. Un ragazzo di 22 anni è più credibile oggi e si è preso tutta la fascia di pubblico che ha bisogno di questo amore. Continuano a proporre cose più alternative e un po’ più rap, strizzando l’occhio alla moda, quando invece è il cantautore che ha preso tutto. Bisognerebbe farsi una domanda e darsi una risposta. Alla fine sono le canzoni che fanno la storia, non il look.
Tra le tue canzoni, a quale sei più legato?
Hanno tutte una loro forza, mi hanno dato tanto e le canto a distanza di trent’anni. Forse però scelgo Una rosa blu, eliminata nell’82 e riproposta a fine ’97, che oggi conta più di cinquanta milioni di visualizzazioni sul web.
Cosa porterai a Sanremo con te?
Il mio zaino dove tengo le mie piccole cose e qualche ricordino personale. Alcuni cornetti alla napoletana, che mia madre mi diede tanti anni fa, da brava partenopea. Ogni tanto li perdo. E poi quando li ritrovo li metto in valigia. Più per affetto che per scaramanzia. È rimasta solo lei nella mia famiglia originaria. Tendo a portarli sempre con me.