La sonda InSight è su Marte, lontana oltre 480 milioni di chilometri, per cercare noi. Andiamo nello spazio, a indagare l’infinitamente lontano, per capire noi stessi, da dove veniamo, dove andremo. Non è una banalità, ma una convinzione nel mondo scientifico. «Le missioni spaziali di esplorazione dell’universo hanno motivazione nell’indole umana di esplorare, conoscere, capire. Cerchiamo di comprendere l’evoluzione del sistema universo e del sistema uomo, e il mistero della formazione della vita», spiega Michéle Lavagna, docente di Progettazione di missioni spaziali del Dipartimento di scienze e tecnologie aerospaziali presso il Politecnico di Milano.
La corsa allo spazio
Dunque, il fascino della frontiera e dell’ignoto è la motivazione di base della ricerca scientifica. In parallelo, viaggiare oltre i confini del mondo conosciuto ci permette di sviluppare tecnologie e innovazioni che possono giovare – molto concretamente – alla nostra vita sulla terra. Tutto ciò ha portato la sola Nasa per ben 16 volte su Marte, a partire dal 1965, anche se le prime due sonde lanciate con lo scopo di sorvolare il pianeta rosso battevano bandiera sovietica, nel 1960, e fallirono entrambe. Negli anni ci ha provato moltissimo la Russia, con solo 3 successi su 18 tentativi. Anche India ed Europa ci sono riuscite. Oggi sono ancora operative ben otto missioni di esplorazione e per la maggior parte sono “orbiter”, ossia sonde che ruotano attorno al pianeta e studiano l’atmosfera marziana. La prossima? La seconda delle due ExoMars, missioni europee a leadership italiana, che nel 2020 arriverà sul pianeta rosso alla ricerca di tracce di vita.
Perché proprio Marte?
L’ultima scoperta clamorosa, invece, è diventata di dominio pubblico questa estate: il radar italo-americano MARSIS della sonda europea Mars Express avrebbe individuato un grande lago di acqua liquida e salata a un chilometro e mezzo di profondità, sotto il Polo Sud di Marte. InSight, sonda statunitense che ha viaggiato per quasi sette mesi, è atterrata il 27 novembre, in un’area denominata Elysium Planitia. È un “lander”, un piccolo laboratorio stabile che studia le caratteristiche della crosta ed effettua ricerche in ambito sismologico. Ma perché insistiamo con Marte? «Ha delle affinità con la terra abbastanza alte» spiega la professoressa Lavagna «perché ha un’atmosfera che può essere l’evoluzione di quella terrestre, un’alternanza di luce e buio simile a quella terrestre, dimensioni simili – anche se è un po’ più piccola. Le missioni in corso e future mirano a conoscerne l’ambiente in maniera più dettagliata e ad effettuare studi di esobiologia, la ricerca di forme di vita extra terrestri». Il dottor Anilkumar Dave è responsabile dell’Unità di innovazione e trasferimento Tecnologico dell’Agenzia Spaziale Italiana. «Studiamo la geologia degli altri pianeti per capire cosa può essere successo al nostro in passato e cosa può accadere in futuro. Ogni missione ha uno scopo specifico, ma la cosa splendida è quello che emerge “a contorno”. Spesso traiamo dati inaspettati, che hanno un valore enorme per la ricerca». Se fino a qui pare tutto sin troppo poetico, tranquilli: i risvolti concreti delle esplorazioni spaziali ci sono eccome. Un tema è quello dello sfruttamento delle risorse minerarie extra terrestri. Troppo presto per cercare il sostituto del petrolio su Marte? Vero. «Però le prime proposte di legislazione sullo sfruttamento di risorse provenienti dallo spazio esistono, e sono state avanzate da Stati Uniti e Lussemburgo», spiega il dottor Dave.
Cosa si intende per “space economy”
Non pensiamo – solo – ai viaggi spaziali a pagamento che fanno sognare facoltosi multimiliardari pronti a fare i turisti in orbita, ma all’indotto delle ricerche spaziali nei campi più disparati. «I settori che beneficano di più, oggi, in Italia, sono quelli dei materiali e del trattamento di superfici, dei servizi digitali basati sui dati di posizionamento e osservazione, il settore medico e delle tecnologie per la medicina, la microelettronica. In concreto: la robotica sviluppata per l’esplorazione può essere utilizzata in zone terremotate; gli esoscheletri che usano gli astronauti possono avere applicazioni mediche, per contrastare la disabilità o per la riabilitazione; la possibilità di rilevare onde o fotoni con precisione impensabile 5-10 anni fa permette di sviluppare metodi diagnostici super evoluti. E non dimentichiamo le ricerche sui materiali che vanno nello spazio, con peso, volume, caratteristiche tarate su condizioni ostili, che si possono tradurre in applicazioni industriali. I controlli sviluppati per le sonde possono agevolare lo sviluppo di automazioni in campo industriale sulla terra».
I tanti utilizzi delle tecnologie spaziali
«La cosiddetta economia delle ombre», spiega il dottor Dave, «è una branca della space economy. Usando i dati di osservazione dei satelliti intorno alla Terra e focalizzandosi sulle ombre, si generano modelli che possono aiutare a decidere quando tagliare degli alberi, quando coltivare, quando è il momento di raccogliere. Per ottimizzare i cicli produttivi assecondando le esigenze del pianeta». Altro esempio: gli studi sulla ISRU – “in situ resource utilization”, l’uso di risorse trovate in loco per costruire e far funzionare un insediamento extra terrestre. Chi ha visto “Sopravvissuto – The Martian” con Matt Damon, capirà al volo: parliamo di ricavare dal suolo e dalle risorse di Marte ossigeno, carburante, coltivazioni. Una logica alternativa al portarsi da casa scorte di ossigeno e cibo sufficienti per mesi e mesi. «Questi studi possono insegnarci a cambiare il modo di utilizzare le risorse naturali qui, sul nostro pianeta, e potrebbero portarci dove nemmeno immaginiamo». Infine, non dimentichiamo l’economia del posizionamento, nata con il sistema statunitense di satelliti Gps, che ha fatto nascere tutti i servizi di geolocalizzazione. «Galileo, l’alternativa europea, arriverà a una precisione intorno ai 20 cm quando sarà in full operation», conclude Anilkumar Dave. «Pensiamo ai servizi per i trasporti, o alle possibilità di monitoraggio che tutto questo ci consentirà».
Metteremo mai piede su Marte?
Ma quando vedremo coraggiosi astronauti mettere piede su Marte? Oppure di nuovo sulla Luna? «Il problema del volo umano» spiega la professoressa Lavagna «è che i livelli di sicurezza rispetto al volo robotico sono molto più alti, direi centuplicati. La presenza umana rende il vettore di trasporto molto più complesso nello sviluppo tecnologico e nelle operazioni di verifica. Prima di portare un umano nello spazio bisogna dimostrare di poter far viaggiare un vettore in sicurezza per mesi, poi di poterlo far atterrare senza che si schianti, o che si rompa o bruci qualcosa. Poi, che posso far sopravvivere un equipaggio per mesi sul suolo del pianeta. Infine, che un altro vettore possa ripartire dalla superficie marziana e tornare sulla Terra. Per ognuno di questi passaggi ci sono missioni preparatorie, senza umani, da portare a termine. Per poter arrivare a dire: ho considerato tutto quello che può andare storto e per tutto ho trovato una soluzione. Oggi tutto questo non è ancora in esecuzione, quindi mi sento di prevedere più di dieci anni per ipotizzare una missione umana su Marte. Meno di dieci per la Luna, perché è più vicina e presenta meno criticità». Ma la Luna è ancora interessante? Il dottor Dave sogna ad occhi aperti e gioca con le parole: «Non ci siamo mai stati. Non è complottismo, ma la verità: durante le missioni degli anni ’60-’70 gli astronauti hanno trascorso in tutto meno di 20 ore con i piedi sul suolo lunare. Tornarci oggi, con le tecnologie di oggi, sarebbe un nuovo, sorprendente inizio».