Il 9 marzo arriva sugli schermi televisivi (preceduto per la prima volta da una proiezione al cinema) Salvo amato, Livia mia, il 35° episodio della fiction che, dal 1999, ha affascinato oltre un miliardo e 200 milioni di spettatori. A seguire, la settimana successiva (il 16 marzo), La rete di protezione. I due episodi vedono entrambi la firma alla regia di Luca Zingaretti dopo che Alberto Sironi, lo storico regista della serie, ci ha lasciato la scorsa estate, un paio di settimane dopo il maestro Andrea Camilleri. In attesa dell’inevitabile picco di share, analizziamo qui, ancora una volta, le ragioni del successo di un personaggio che, come un eroe senza tempo, piace a tutti, giovani e meno giovani, dal nord al sud, isole comprese.
Montalbano è un punto di riferimento
In un momento storico in cui non siamo più sicuri di nulla, dove la politica tentenna, la paura del coronavirus ci immobilizza, i cambiamenti climatici ci destabilizzano e le stagioni non sono più quelle di una volta, lui, Salvo Montalbano, rimane sempre fedele a se stesso e, come un faro nella notte, ci illumina il cammino. Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. È ormai un simbolo italiano al pari della pizza, della pastasciutta, della bandiera nazionale, di Azzurro di Paolo Conte. «Un monumento», come lo definì lo stesso Camilleri, profetizzando che «terminerà quando finirò io». Ci scuserà il maestro se osiamo contraddirlo, ma il commissario e il suo inventore resteranno eterni per sempre, come i grandi miti che, per definizione, non tramontano mai.
Il fascino di un classico senza tempo
Lo respiriamo nei vicoli delle stradine siciliane, lo vediamo dagli abiti degli abitanti di Vigàta, lo percepiamo dalla lingua inventata dal grande maestro Camilleri: ogni cosa, nel fantastico mondo di Montalbano, ha il sapore antico e nostalgico di un luogo onirico fermo nella memoria, immaginario eppure reale allo stesso tempo, dove assaporare il calore di una cultura intrisa di metafore e leggenda. È il posto delle fragole dove restiamo incantati come bambini quando gli adulti raccontano storie di un passato che non esiste più. Secondo Peppino Mazzotta, il fedele ispettore Fazio, «negli ultimi anni non si guarda più il film, ma si entra in contatto con persone con cui si ha empatizzato: la gente ha piacere a stare dentro quel mondo, così come succede per i classici che si leggono e si rileggono anche quando uno sa benissimo come va a finire la storia».
Montalbano, un duro dal cuore tenero
Ad uno sguardo frettoloso e superficiale, Montalbano appare come l’uomo delle pubblicità degli anni 80, quello che non deve chiedere mai. È vero in parte, nel senso che il commissario è animato da alti valori di rettitudine e onestà e la ricerca della giustizia l’ha portato più di una volta a mettere in pericolo la sua vita. È un uomo coerente con se stesso che non scende a compromessi: come spiegava il suo autore, «talvolta Montalbano è riuscito a fare giustizia, altre – e forse sono le più numerose – si è dovuto arrendere, davanti all’incapacità sua e della stessa Italia, di poter dire la verità». Tuttavia, anche nelle situazioni più dure e controverse, uno sguardo di umana comprensione e pietas l’ha sempre accompagnato, ricordandogli di non giudicare le debolezze che dirottano i destini verso strade spesso a senso unico.
I piccoli grandi tesori della vita
Lontano dalla nostra quotidianità, il commissario ci sembra abbia colto gli aspetti fondamentali dell’esistenza umana. Ama – riamato – Livia, la stessa donna da oltre 20 anni e sebbene non condivida con lei un vincolo matrimoniale, la loro è una relazione che, tra alti e bassi, si consolida con il passare del tempo, a conferma di un legame che non ha bisogno di attestazioni burocratiche per essere legittimato. Si circonda di colleghi che stima e che sono pronti a seguirlo ad occhi chiusi anche nelle situazioni più delicate: alcuni, come il vicecommissario Mimì Augello e l’ispettore Giuseppe Fazio, sono amici oltre che colleghi e con lui condividono gli stessi ideali personali. Infine, il commissario ha un debole per la cucina, peculiarità che ce lo rende vicino e ci porta anche a invidiarlo, non avendo la possibilità di condividere con lui le prelibatezze che sia Adelina che il ristoratore Calogero provvedono a preparargli, prima fra tutte la pasta ‘ncasciata.
Il ricordo di chi non c’è più
Oltre a Camilleri e Sironi, ci ha lasciato anche il terzo papà di Montalbano: lo scenografo Luciano Ricceri, mancato il 1° febbraio, creatore di quell’atmosfera sospesa nel tempo e di quelle suggestive ambientazioni che tanto hanno contribuito al successo della serie. A loro Zingaretti ha dedicato i nuovi episodi, ricordandoli come tre uomini chiave, colonne portanti della fiction. Nella precedenti stagioni abbiamo perso anche il burbero – ma solo all’apparenza – dottor Pasquano, medico legale della serie tv, mancato nel 2017 e non sostituito nel suo ruolo, a riprova che alcuni personaggi entrano a far parte della nostra vita e, come succede nella realtà, sarebbe impensabile dare loro un nuovo volto.
Insomma, come nella vita, dramma e commedia si intrecciano, malinconia e leggerezza ci accompagnano, ricordandoci che spesso dietro una risata si cela un velo di malinconia e che anche nelle situazioni più drammatiche si può insinuare un sorriso (basti pensare al goffo agente Catarella). In merito a Camilleri, ci piace immaginarlo nell’Olimpo degli scrittori, pronto, insieme a milioni di spettatori, a seguire le vicende del suo eroe. Lo salutiamo riportando la sua idea di paradiso: «il paesaggio rasenterebbe la sicilianità visiva, che pace! Montalbano me lo immagino disoccupato, circondato da un placido volteggiare di anatre. E una tazzina di caffè fumante». Non ci resta che augurare buona visione al grande Maestro!