«Mi ricordo ancora, e bene, quando ho conosciuto Salvo Montalbano: in tv, con Tocco d’artista, nel maggio del 2001. Avevo 19 anni e una predilezione per le letture esterofile, ragione per cui lo incontrai sulla pagina scritta solo nel 2004, con la raccolta di racconti Un mese con Montalbano. Come lo stesso titolo invitava a fare, lessi un racconto al giorno per un mese, un appuntamento con il mio bocconcino quotidiano in un’estate caldissima in cui preparavo l’esame di Diagnostica per immagini. Tanto dei libri quanto degli episodi, so anche individuare le scene che più mi sono rimaste impresse: quando Montalbano vomita l’anima dopo aver letto il racconto pornografico di Nenè Sanfilippo in La gita a Tindari oppure quando alla prospettiva di Capodanno a Parigi con Livia preferirebbe di gran lunga gli arancini preparati da Adelina in Gli arancini di Montalbano.
Montalbano è più di un personaggio: è il fulcro di un mondo emotivo condiviso
Non ho così buona memoria di tutte le serie tv che ho visto e dei libri che ho letto. È evidente che quell’incontro è stato uno di quelli che non si possono dimenticare, e non solo per me. Per molti italiani Montalbano ha segnato un’epoca intera. Pochi personaggi si sono fissati con tanta forza nell’immaginario collettivo, pochi sono riusciti a varcare le pagine e lo schermo entrando nelle case degli italiani e sedendosi a tavola come un commensale o sul divano come un amico. È successo perché Andrea Camilleri ha creato un universo che la gente ha avvertito di fantasia, certo, ma al contempo anche molto vicino.
La Sicilia di Camilleri è diventata il fulcro di un mondo visivo ed emotivo condiviso, l’idioma di Vigata ha spopolato perché affascinante, efficace e istintivamente comico: carcarazza è più buffo di “gazza”, come camurrìa lo è di “scocciatura”, e ormai anche a Bolzano sanno cosa sono i cabbasisi.
Montalbano non è un eroe, tutt’altro. Ma ha la legge morale ben salda dentro di sé e il cielo stellato sopra di sé
La gente si è immedesimata in quest’uomo scontroso, non del tutto risolto sul piano personale, elastico su quello sentimentale, leale con gli amici, rispondente di fatto al proprio codice valoriale: un uomo kantiano che non è un eroe («anzi, tutt’altro» diceva Camilleri «è un italiano medio con difetti e virtù») ma ha la legge morale ben salda dentro di sé e il cielo stellato sopra di sé. E che cielo, quello di una Sicilia cristallizzata eppure vivida, reale, immortalata con le sue piaghe ma pure con il suo forte senso di accoglienza, e che anche grazie a Montalbano è diventata capoluogo espressivo di quello che Camilleri definiva «il bisogno profondo di noi italiani di sentirci uniti».
Per Camilleri, all’inizio, Luca Zingaretti non aveva nulla a che fare con il commissario
Non si può negare che il merito vada anche a Luca Zingaretti, che ha dato al commissario il suo carisma e un piglio un po’ insolente di cui in molte si sono innamorate (l’uomo affettivamente discontinuo ha un effetto letale, non ci possiamo far niente). Camilleri tuttavia non fece mistero di aver immaginato Montalbano in maniera molto diversa e dichiarò che «il bravissimo Luca Zingaretti non ha nulla a che fare col Montalbano dei miei romanzi, basta pensare che il mio commissario ha capelli e baffi». E infatti il modello di Camilleri era Pietro Germi nei panni del commissario Ciccio Ingravallo nato dalla penna di Carlo Emilio Gadda.
Luca Zingaretti ha raccontato di aver lavorato con ostinazione e tenacia per ottenere il ruolo, in un momento in cui non era “un nome” su cui costruire un progetto televisivo. Anche se nel frattempo il fenomeno Montalbano era ampiamente dilagato e pur amando sinceramente e con gratitudine la serie («un mondo parallelo al mio Montalbano di carta ma non per questo meno autentico»), Zingaretti sapeva che Camilleri non aveva cambiato idea sul fatto che fisicamente non corrispondessero: «Era molto geloso della sua produzione e non gli andava che un successo televisivo, per quanto planetario come il nostro, togliesse identità al suo Montalbano».
L’idea del romanzo finale è arrivata da una conversazione con Manuel Vázquez Montalban e Jean-Claude Izzo
Sono trascorsi 26 anni dalla prima apparizione di Montalbano nel romanzo La forma dell’acqua e 21 dal primo episodio in tv, Il ladro di merendine: un segmento temporale in cui si sono realizzati profondi cambiamenti storici e sociali. Nel frattempo c’è anche stato un meritevole e fortunato prequel in cui il giovane commissario è interpretato da Michele Riondino, a riprova della vastità della materia di racconto che ha in sé il mondo di Montalbano. Materia che però non è inesauribile. Camilleri diceva: «Montalbano finirà quando finirò io».
E non si è fatto trovare impreparato. Riccardino, l’epilogo della serie, è in libreria a un anno dalla morte dell’autore, che ne aveva stabilito la pubblicazione postuma. Sembra che la decisione di scrivere questo libro sia nata dopo una conversazione tra lo stesso Camilleri, Manuel Vázquez Montalban e Jean-Claude Izzo a proposito dell’uscita di scena dei loro personaggi seriali (Montalbano, Pepe Carvalho e Fabio Montale). Non molto tempo dopo quel confronto fra i tre, Izzo e Montalban morirono senza aver scritto un romanzo conclusivo per i loro protagonisti. Forse perché ne fu colpito o forse anche un po’ per scaramanzia, nell’estate dei suoi 80 anni Camilleri decise di scrivere il proprio finale e di consegnarlo a Elvira Sellerio.
Non potrà esserci alcun sequel
«Montalbano non muore né va in pensione. Per l’ultima avventura ho trovato un’idea di cui vado orgoglioso. Con uno stratagemma Montalbano sparirà senza morire e non sarà più recuperabile in nessun sequel» ha confessato in un’intervista Camilleri. Definì Riccardino «un metaromanzo in cui il personaggio discute con me e anche con l’altro Montalbano, quello che appare in televisione», e a tal proposito non sappiamo ancora se Riccardino diventerà anche un episodio della serie tv.
A noi non resta quindi che ricevere questo dono provando un pizzico di malinconia al pensiero che non ce ne saranno altri; ma cerchiamo di accantonarla e lasciamo che sia il piacere della lettura a prevalere su tutto il resto. Lasciamo che Montalbano ci sorprenda anche quest’ultima volta, prima di salutarlo con gratitudine e con quel senso di rimpianto che appartiene fatalmente alle cose che ci sono più care.
L’autrice di questo articolo è la scrittrice Alessia Gazzola. Nata a Messina, è autrice della serie di romanzi L’allieva. L’anno scorso ha pubblicato Questione di Costanza e Lena e la tempesta (tutti Longanesi)