C’è un corpo steso sulla moquette dell’hotel: maschio, razza bianca, 61 anni. Che, come fosse la cosa più normale del mondo, si rilassa prima dell’intervista. La ”scena del crimine” è il perfetto biglietto da visita di James Ellroy, personaggio spiazzante e scrittore famoso per avere perso la madre a 9 anni in un efferato omicidio mai risolto, e avere trasformato il trauma in bestsellers come Dalia Nera e L.A. Confidential. «Sono il più grande autore vivente di noir e questo è il mio capolavoro»: così ha presentato Il sangue è randagio (Mondadori), il suo libro appena uscito che, con American tabloid e Sei pezzi da mille, riscrive in chiave fantapolitica la storia degli Stati Uniti.

L’ultimo romanzo di James Ellroy, Il sangue è randagio (Mondadori), riscrive in chiave fantapolitica la storia degli Stati Uniti. Anche in questo volume fatti e personaggi storici si incrociano con un dietro le quinte di gangster story. Siamo tra il 1968 e il 1972: Fbi, Ku Klux Klan e mafia sono i burattinai della politica americana. Uniti dal fanatismo anticomunista e razzista, aiutano il governo a reprimere i movimenti per i diritti civili. Risultato: chi legge non vorrà più credere a nessuna versione ufficiale. Soprattutto su eventi drammatici come la morte di John e Robert Kennedy e Martin Luther King. Diabolico Ellroy. Eppure, in oltre 800 pagine di dialoghi serrati e azione senza respiro, qual è la più potente tra le forze occulte che cambiano la storia? L’amore. Il corpo lungo e dinoccolato risorge dal pavimento e si allunga sulla sedia. Broncio, mani dietro la testa: «È un libro molto romantico» dichiara lo scrittore. «Racconta di uomini cattivi che si innamorano di donne forti. Questi ragazzi dannatamente duri e incasinati diventano cera nelle loro mani».

Le donne forti sono Joan, 46 anni, capelli grigi, e Karen 44 anni, incinta: dark lady molto originali.
«Questo è anche un libro sulle donne, ed è una storia molto personale. Joan è una tipa con i capelli neri e grigi per cui nel 2002, dopo il mio divorzio, ho completamente perso la testa. Ma mi ha lasciato con il culo per terra. Dopo di lei mi sono innamorato di Karen: era incinta, aveva due figli e non ha lasciato il marito per me. Ho dovuto farmene una ragione e ci ho scritto un romanzo».
Cos’altro c’è di autobiografico?
«Uno dei protagonisti è il detective Don Crutchfield. Non sono io, ma è come me in quegli anni: un ragazzo perso, abbandonato dalla madre, alle prese con un mondo di donne toste e rivoluzionarie più grandi di lui, che fa pazzie per farsi amare da loro».

Il sangue è randagio è anche un libro violento. Per il razzismo, soprattutto.
«In effetti, nel libro c’è un gergo razzista molto forte. Ma, per esempio, la relazione tra Scotty e Marsh, un poliziotto bianco e uno nero, che sono nemici ma poi diventano alleati e smettono di giudicarsi, rende bene l’atmosfera di odio e di cambiamento dell’America in quegli anni».

Raccontare la sua giovinezza è un’ossessione?
«Ho voluto rileggere quegli anni con una consapevolezza che non avevo. Volevo tornare indietro, riviverli, chiedere a me stesso: perché? E scrivere la risposta. È una forma di megalomania. Se il mio modo di mescolare grandi accadimenti pubblici con retroscena privati funziona, se riesco a fare interagire i miei personaggi con le persone reali, tu crederai alla mia versione dei fatti. E poi ogni Paese ha una storia segreta. Tutti ormai, in America come in Italia, sono convinti che dietro la politica ufficiale ci siano cospirazioni e governi ombra».

La realtà a volte entra a forza nella fiction: che effetto le ha fatto il terremoto di Haiti, dove si svolge buona parte della sua storia?  
«Non mi interessa il presente. Non me ne frega niente di quello che succede. Non mi piace particolarmente quel posto e non ci sono mai stato. Funzionava bene per l’intreccio e mi sono procurato una documentazione accurata».

Cosa la disturba del presente?
«Non leggo, non vado al cinema, non guardo la tv e non entro in quei ristoranti dove c’è uno schermo sempre acceso. Quando sono solo, passo le notti sdraiato al buio a pensare. Lontano dall’eccesso di informazioni del presente sviluppo la consapevolezza e la concentrazione di cui ho bisogno per i miei libri».

Quindi continuerà a scrivere solo del passato?
«No. Questo libro segna la fine della mia carriera di romanziere storico. Ho in mente una quadrilogia, ma non voglio anticipare. Il mio prossimo libro, invece, è La maledizione degli Hilliker (in uscita in Italia per Bompiani, ndr), racconta del mio rapporto con le donne a partire da mia madre, Hilliker era il suo cognome, fino alla donna che è appena entrata» (è una bella ragazza con gli occhiali, si chiama Erika Schickel, scrittrice, è la sua nuova compagna. Ellroy si alza. Sono alti e imponenti uguali. «Hi baby» dice, e la bacia. Sembra uno dei duri dei suoi libri).

I suoi gusti sono cambiati. Adesso preferisce le donne giovani?
«Erika è più giovane di me, ma ha comunque 47 anni».

Lei è considerato un grande del giallo. È appena morto un maestro della letteratura americana, J.D. Salinger. Gli deve qualcosa?
«Che Dio lo benedica, è morto a 90 anni, beato lui. Pare che fosse l’uomo che aveva una risposta per tutto. Ho aperto Il giovane Holden a 40 anni e l’ho trovato un libro per 13enni. Non ho più letto niente di suo. Non ne capisco la fama. So solo che trattava male la gente e soprattutto le donne».

Ha detto che Il sangue è randagio è il suo capolavoro. Ne è convinto?
«Questo è il mio libro migliore finora. Mi prendo il rischio di scrivere libri sempre più intensi, diversi e superiori ai precedenti. Se la gente continuerà ad amare una storia facile come Dalia Nera non posso farci niente».

James Ellroy: nel mio libro violento vincono le dark lady