Sola, innamorata, lasciata, incazzata… Nina Zilli – «Posso chiamarla Nina o devo usare il suo vero nome, Maria Chiara?». «Come si trova meglio, io rispondo sempre» – nelle sue canzoni ritrae le donne, forti o con le proprie debolezze. Subito mi cita un suo celebre brano del 2012: «L’amore è femmina. E io parlo tendenzialmente di quello che conosco bene: i sentimenti. Che sono un po’ di tutti, però».
Nina Zilli: il servizio di moda
Nina Zilli è la protagonista della copertina e del servizio di moda del numero di Donna Moderna in edicola il 3 marzo 2022. Guarda le foto:
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Il romanzo di debutto di Nina Zilli
E di sentimenti parla anche il romanzo di debutto di Nina Zilli, L’ultimo di sette (Rizzoli). «L’ho scritto nel lockdown, ma l’avevo in testa già da parecchio. Prima che il rock’n’roll si impossessasse di me scrivevo: diari, racconti…». Il risultato è un romanzo con un “ritmo” particolare, fatto di personaggi che si intrecciano e frasi che rimbalzano. «Volevo ricreare il flusso di pensieri di diverse persone che vivono cose contemporaneamente. La scrittura in certi punti è sporca, sconnessa, come sono i nostri pensieri. Ho cercato di essere il più vera possibile». Vera, come il personaggio di Anna, un’artista, tosta come Nina, attorno a cui gira la storia. Partiamo da qui.
Intervista a Nina Zilli
Cosa vuol dire essere una donna per lei, oggi?
«Oggi mi sento femmina, libera e fiera. Questo per me è essere donna. Però se penso al sentirmi donna… quello è arrivato col tempo. Ho fatto pace con la mia femminilità non da tanto. Ho passato l’adolescenza indossando capi oversize, come Billie Eilish, per paura di mostrare quelle nuove forme che erano aliene anche per me. Per quanto riguarda invece la musica, non solo come cantante ma anche come autrice e musicista, sapevo di dover farmi valere in qualche modo. Oggi non ho più paura di mettere un paio di tacchi o di sorridere per sembrare troppo carina. E non ho neanche paura di piangere, di fare vedere le mie emozioni. Perché i sentimenti non sono cose da femminucce. Inoltre, ho smesso di interessarmi del giudizio delle persone che guardano solo la “copertina”».
Essere belli aiuta?
«È una medaglia a due facce, come tutto nella vita. La bellezza aiuta tantissimo ma può creare pregiudizi. Dipende sempre dalla persona che abbiamo davanti».
Anche nel mondo musicale le donne devono alzare la voce per farsi sentire?
«Assolutamente. Se pensa che l’arte come professione e formazione ci è stata vietata fino agli inizi del ’900… Comunque credo che in generale, non solo nel nostro mestiere, non ci sia ancora data la credibilità che ci spetta. Non viviamo in una società meritocratica. I pregiudizi su una donna, magari bella, che canta bene e che addirittura suona e perfino compone, esistono. Io ci ho impiegato tantissimo, dopo aver calcato il palco di Sanremo ed essere arrivata al grande pubblico, a farmi valere: le persone si stupivano del fatto che L’uomo che amava le donne l’avessi scritta, arrangiata, composta e prodotta io. E ci è voluto tempo per far capire che fossi una cantautrice. Oggi però sono libera e anche fiera. Faccio quello che mi piace. Non rinuncio alla mia femminilità per avere credibilità. La credibilità non la fa un tacco o un vestito bello, ma la professionalità».
E sembra tostissima.
«Diciamo che questa corazza un po’ ci vuole. Si ricorda la mia band Chiara & Gliscuri? La amavo tantissimo, ma è finita il giorno in cui portai 50 mila in sala prove e il chitarrista – siccome l’avevo scritta al pianoforte e alcuni accordi erano un po’ storti – mi disse che quella canzone era bruttissima. Lì ho capito che il rapporto era logoro, che i miei stessi amici musicisti avevano un po’ di pregiudizi nei miei confronti e stavo perdendo tempo. Poi scrivevo troppo per me, e così la band si è sciolta. Era veramente il cerchio che si chiude, come nell’Ultimo di sette. Un’altra volta invece mi è stato detto da un manager: “Ti devi togliere i tacchi e vestire più normale perché se no sei troppo bella e allontani la gente”. Oggi per fortuna certi atteggiamenti non sono più accettati».
Adele ai Brit Awards ha dato scandalo dichiarandosi fiera di essere una cantante donna, anche se il premio, per non escludere nessuno, era intitolato al migliore artista in generale. Cosa ne pensa?
«Credo che ogni subcultura che riesca ad affermarsi poi venga cannibalizzata dall’altra parte. Sicuramente c’è bisogno dell’affermazione delle donne, di tutela e più diritti per alcune categorie, e c’è sicuramente la necessità di smettere di incasellarci. Per chi si sente diverso, multiplo, penso che questo sia molto bello perché dà spazio e voce a chi di solito ne ha meno. Ma mi sembra che a furia di cavalcare queste “hype”, finisca tutto per diventare non più un movimento che vuole un cambiamento sociale, ma una cosa della quale discutere per 24 ore. Poi il giorno dopo si passa ad altro».
Il nuovo femminismo è troppo radicale o lei ci si trova a suo agio?
«Se per maschilismo si intende il maschio che si sente superiore alla femmina e, viceversa, se per femminismo si intende la femmina che si ritiene a prescindere superiore al maschio, allora lo trovo sciocco. Invece se il femminismo è inteso come quella sorellanza che fa gruppo per ottenere la parità, ben venga».
La moda è un vezzo o…?
«La amo, è un gioco bellissimo. Mi piace anche trasformarmi, nascondere il mio io reale dietro mille facce nuove, indossando abiti da sogno, una parrucca rosa o un casco di capelli afro, il trucco ad hoc. C’è chi sogna di essere una principessa e chi Rosie the Riveter (l’icona americana degli anni’ 40, alla quale sono ispirati gli scatti qui a destra, ndr). L’importante è continuare a sognare».
Servizio di Ginevra de Dominicis — foto di Marco Rufini
intervista di Isabella Fava
Make up Silvia Murciano
Hairstyle Marco Montanari per Orea Malià-Davines