Si chiama Olga Tokarczuk (si pronuncia To-kar-ciuk) la scrittrice polacca di 57 anni che ha vinto il Nobel per la Letteratura insieme all’austriaco Peter Handke (sì, quest’anno ne sono stati assegnati due perché nel 2018 è saltato a causa di uno scandalo di molestie sessuali che coinvolgeva il marito di una giurata).
Poco conosciuta da noi anche se grandissima. il primo a pubblicarla è stato e/o nel 1999 col libro “Dio, il tempo, gli uomini e gli angeli”. Lo scorso anno ha vinto il Man Booker International Prize per un libro strano e ricco, “I vagabondi”, edito da Bompiani (mentre Nottetempo pubblica “Guida il tuo carro sulle ossa dei morti” e “Nella quiete del tempo”). E proprio a marzo l’ho incontrata in una libreria di Milano. Eravamo in tanti per lo spazio ristretto, accogliente come un salotto, ad ascoltare i suoi racconti affascinanti, ricordi che sapevano di altri mondi, di ristrettezze e privazioni, della sua amata Polonia.
Gli occhi azzurri brillantissimi, la sua lingua melodiosa e complicata, la fascia nei capelli e quell’aria sbarazzina regalata dalla frangetta cortissima. Olga parlava di confini e di muri, di poesia e di coscienza. Un’artista vera che mi sono immaginata china a scrivere nel salotto della sua casa in Polonia, colta da una frenesia assoluta, intenta a lasciare un segno in chi avrebbe colto questo suo romanzo-mondo. I vagabondi è il racconto di una viaggiatrice senza nome che potrebbe essere il suo alter ego – «Il narratore è in parte me e in parte qualcosa di più di me» ha detto – in viaggio tra i Continenti. A Parigi, a Varsavia, in Africa, in Austria… Un romanzo che sembra a volte poesia, a volte saggio. Che segue ritmi veloci oppure lenti. Lei che ha dovuto aspettare di avere 28 anni per poter avere un passaporto e fare il suo primo viaggio e che è arrivata in Italia in macchina dalla Polonia «perché preferisce viaggiare così» ha rivelato.
Ho avuto quasi timore ad aprire il suo libro che racchiude una cacofonia di voci e punti di vista e di linguaggi. Ho scoperto però un’opera originale, coraggiosa, infinita, che nel suo Paese ha venduto oltre 160.000 copie nel 2007 quando uscì. Alla fine le ho stretto la mano e l’ho ringraziata per avermi regalato una prospettiva nuova. Il Nobel è stata una bella sorpresa per Olga, membro del partito dei Verdi, studi in psicologia (che tra l’altro ha praticato per un po’), ed è stato assegnato con la seguente motivazione: «per la sua immaginazione narrativa che con passione enciclopedica rappresenta il superamento dei confini come una forma di vita». Bello no?
La reazione di Olga alla notizia del Nobel
Nelel corso della conferenza stampa indetta per il Nobel, OlgaTokarczuk ha rilasciato questa dichiarazione:
«Ho appreso la notizia del premio Nobel in circostanze stranissime: ero in autostrada, in un punto imprecisato tra il qua e il là, in un luogo senza nome. Non riesco a pensare a una metafora migliore per definire il mondo in cui viviamo oggi. Noi scrittori dobbiamo affrontare sfide ancora più improbabili, eppure la letteratura è un’arte che si muove lenta; il lungo processo della scrittura rende difficile cogliere il mondo sul fatto. Mi chiedo spesso se è ancora possibile descrivere il mondo, o se siamo già troppo incapaci e disarmati davanti alla sua forma sempre più fluida, al dissolversi di punti fermi e alla scomparsa dei valori.
Io credo in una letteratura che unisce la gente e ci dimostra quanto siamo simili, che ci rende consapevoli del fatto che siamo tutti uniti da fili invisibili. Che racconta la storia del mondo come se fosse un tutt’uno vivo e unificato, che si sviluppa di continuo davanti al nostro sguardo: noi ne siamo solo una piccola parte, eppure al tempo stesso siamo una parte potente.
Le mie congratulazioni a Peter Handke per il suo premio Nobel. Sono molto contenta che veniamo tutti e due dalla stessa parte del mondo».