Oliviero Toscani è morto a 82 anni, dopo l’aggravamento della malattia che gli era stata diagnosticata due anni fa e il ricovero in ospedale a Cecina, vicino a Casale Marittimo, in provincia di Pisa, dove risiedeva da quando aveva smesso di fotografare a causa della amiloidosi.

Oliviero Toscani, un fotografo e un provocatore

Oliviero Toscani è stato molto più che un fotografo. Della provocazione, infatti, aveva fatto un “mantra” che lo ha accompagnato fino alla fine. Ancora a fine agosto, nell’ultima intervista rilasciata al Corriere della Sera nella quale aveva parlato per la prima volta della malattia che gli era stata diagnosticata, aveva dichiarato: «La bellezza è che non avevo mai pensato di trovarmi in questa situazione, è una nuova situazione che va affrontata. La bellezza è che non ti interessano più patria, famiglia e proprietà, la rovina dell’uomo. Mi sono liberato di tutto».

Il racconto della malattia

Della malattia, dunque, aveva rivelato il 28 agosto scorso quando dalla sua residenza toscana rivelava di aver perso 40 chili a causa della amiloidosi, una malattia dovuta all’accumulo di proteine prodotte dall’organismo, che si depositano negli organi vitali danneggiandoli. Come nel suo stile, anche delle sue condizioni aveva parlato senza giri di parole: «Basta che non faccia male. E poi ho vissuto troppo e troppo bene, sono viziatissimo. Non ho mai avuto un padrone, uno stipendio, sono sempre stato libero».

Oliviero Toscani: l’attesa solitaria di un lento declino

Come aveva spiegato la moglie Kirsti Moseng, ex modella norvegese a cui era legato da 50 anni, si trattava di una «strada senza ritorno», che Toscani aveva intrapreso con consapevolezza e in solitudine, ritirandosi nel suo casale anche senza la compagna: «Io da solo sto bene. E poi non posso coinvolgere e condizionare tutti nella mia malattia. Kirsti è un “essere umano” molto buono, conciliante e positivo. Quando ho detto al mio amico Luciano Benetton che avevo una malattia rara lui mi ha risposto: “Oliviero, tu sei nato con una malattia rara!”».

Il legame con Benetton

Con Benetton, con cui ha continuato a sentirsi telefonicamente due volte alla settimana fino alla fine, Toscani aveva toccato per la prima volta la notorietà curandone l’immagine dal 1982 al 2000, associando il marchio di United Colors of Benetton a messaggi di uguaglianza e inclusione molto prima che diventassero temi must, veicolando anche slogan per immagini di tolleranza e pace, affrontando anche temi sociali ed emergenze come la lotta all’AIDS e la pena di morte.

La carriera di Oliviero Toscani

Eppure fino agli ultimi giorni non ha voluto che quello stesso Luciano Benetton, a cui era ancora legato da un rapporto molto più profondo di quello professionale, lo andasse a trovare. «Quando lavoravo in Benetton i veri nemici erano i manager. All’infuori di Luciano, tutti gli altri mi odiavano. Ora mi ha detto: “Avevi ragione tu su di loro”», raccontava nell’ultima intervista. Lui che era molto più di un figlio d’arte: aveva mosso i primi passi imbracciando una macchia fotografica come il padre Fedele, uno tra i primi fotoreporter italiani, che Oliviero definiva “fotografo di informazione”.

Dagli studi al successo

Dopo aver studiato all’Università delle Arti di Zurigo avendo come insegnanti alcuni dei protagonisti della Bauhaus, inizia a immortalare protagonisti del mondo musicale e artistico come come Lou Reed e Andy Warhol. Tra le sue prime campagne shock c’è quella del 1973 per il brand esordiente Jesus Jeans, che rappresenta una sfida nel dal nome. Ecco che Toscani sceglie un primo piano sul lato B della modella Donna Jordan con indosso un paio di shorts e lo slogan dal sapore biblico “Chi mi ama mi segua”. Immediata l’eco mediatica, con tanto di polemiche, firmate persino da Pier Paolo Pasolini.

Oliviero Toscani

Lo shockvertising: l’arte di fare pubblicità provocando

Passa poco tempo e Toscani alza il tiro come quando per Benetton lavora a una campagna sui condannati a morte, intitolata Sentenced to Death. Riesce a entrare in una prigione nello stato americano del Missouri, ma non dichiara il vero scopo del reportage e, una volta pubblicati gli scatti, viene accusato dalle autorità locali di falso fraudolento. È solo uno degli esempi del cosiddetto shockvertising, come viene ribattezzato il suo modo di fare pubblicità, che è a tutti gli effetti uno “stile comunicativo” unico.

Dall’AIDS al preservativo gigante

Tra le altre campagne più note ci sono quelle sull’AIDS. Nel 1990, per esempio, sempre per Benetton ritrae David Kirby, in fin di vita a causa dell’HIV, mentre si trova nella sua stanza dell’Ohio State University Hospital. Sottolineando le sofferenze dell’uomo, alimenta il dibattito su un tema centrale in quell’epoca. Così come tre anni dopo raduna giornalisti e fotografi in Place de la Concorde a Parigi, dove aveva fatto rivestire il monolite con un gigantesco preservativo rosa. Benetton prese le distanze, ma l’effetto fu di alimentare polemiche ed elogi per diversi giorni.

L’istigazione a fermare l’anoressia

Nel 2007, invece, aveva scelto la Milano fashion week per lanciare un nuovo attacco, tappezzando la città di cartelloni che mostravano nuda Isabelle Caro, una modella anoressica. Chiaro l’intento, al di là della sponsorizzazione per il marchio Nolita, di accendere il dibattito su un argomento problematico come quello dei canoni di bellezza sulle passerelle di mezzo mondo. Un tema che si è rivelato essere d’attualità anche oggi, come dimostrazione della visione lucida di Toscani che della provocazione aveva fatto un’arte e una cifra di vita: «Senza provocazione non ci sarebbe società civile, non ci sarebbe cultura, non ci sarebbe sviluppo», diceva.

isabelle caro toscani cover

Dalle campagne iconiche ai riconoscimenti

Da tempo Toscani aveva smesso di fotografare. Rimangono, però, i suoi scatti iconici per Elle, Vogue, GQ, Harper’s Bazaar, Esquire, Stern, l’Uomo Vogue e Donna, e le campagne per marchi da Valentino a Chanel, da Fiorucci a Esprit e Prénatal. Aveva vinto anche 4 volte il Leone d’Oro al Festival di Cannes, 2 il Gran Premio d’Affichage, il Gran Premio dell’UNESCO, il premio Creative hero della Saatchi & Saatchi. L’Accademia delle Belle Arti di Firenze gli ha conferito il titolo di Accademico d’Onore, quella di Perugia quello di Accademico di Merito; ha ricevuto la laurea ad honorem anche dall’Accademia di Belle Arti di Brescia, dalla Universidad Autónoma del Estado de Hidalgo, dall’Università Delle Arti di Zurigo. Era socio onorario della European Academy of Sciences and Arts.

L’aggravamento delle condizioni

La malattia, dalla diagnosi nel luglio 2023, lo aveva costretto a limitare le sue attività. Camminava con fatica, si lamentava di non riconoscere più i sapori, come quello del vino, a causa dell’amoloidosi, una malattia rara senza cura che si stima in Italia interessi circa 800mila persone. Toscani aveva detto di sentirsi «come incatenato, ma sono libero di pensare come penso e di agire come penso dovrei. Vivere così non mi interessa. Bisogna che chiami il mio amico Cappato, lo conosco da quando era un ragazzo». Prima di Natale un ricovero, poi il ritorno a casa per le feste e il successivo aggravamento con la perdita di conoscenza.

Le tre mogli e i sei figli

Quanto alla vita privata, al suo fianco negli ultimi 50 anni c’è stata la terza moglie, Kirsti Moseng, insieme ai figli Rocco, Lola e Ali, ai quali si uniscono gli altri tre avuti dalle precedenti nozze. La prima, a 23 anni, aveva sposato Brigitte, che all’epoca aspettava il loro primo figlio, Alexandre, che lo ha poi reso nonno di 4 nipoti. «Ci conoscevamo poco, ero troppo giovane», raccontò in una intervista nel 2016. Dopo la separazione è stato legato con Agneta, una donna svedese, madre di Olivia (che lasciò casa ad appena 15 anni, di fatto troncando i rapporti con il fotografo) e Sabina.

Olivia Toscani Rucellai, 45 anni. Gallerista, figlia d'arte
Olivia Toscani Rucellai

La provocazione anche nella vita privata

La provocazione, comunque, non ha risparmiato neppure la sfera privata se è vero l’aneddoto raccontato dallo stesso Toscani. Sarebbe stato colpito da Kirsti quando lui aveva 26 anni, vedendola su una copertina di Vogue, e la volle per un servizio fotografico: «Dopo averla vista, dissi alla mia ragazza di allora «Questa sarà mia moglie», raccontò al Corriere della Sera. E così fu. Quanto al funerale, Toscani aveva dichiarato: di non volere una funzione tradizionale: «Mi portino a bruciare e via. Sono sempre stato laico, neppure i miei figli ho battezzato».