Devo ringraziarla, Paola Cortellesi, perché per fare questa intervista ha saltato il pranzo. È a Genova, sul set di “Petra”, la serie crime tratta dai romanzi di Alicia Giménez-Bartlett che sta girando per Sky con la regia di Mariasole Tognazzi: i tempi sono stretti e mentre parliamo al telefono il suo cibo si raffredda. Petra è la storia di una ispettrice della Omicidi, «una donna fuori dai cliché, che non si sforza di piacere né di essere simpatica» anticipa l’attrice romana, 45 anni, che intanto infila una battuta dopo l’altra. La serie arriverà in tv l’anno prossimo: ora è al cinema “Ma cosa ci dice il cervello”, commedia diretta da Riccardo Milani, in cui Paola interpreta un’esilarante agente segreta sotto copertura, che decide di “vendicare” 4 ex compagni di scuola dalle angherie che subiscono sul lavoro.
Dopo il successo di “Come un gatto in tangenziale” torni a lavorare con Riccardo. Siete marito e moglie, non è un po’ faticoso?
«Porta quasi sempre al divorzio (ride, ndr). Noi non facciamo eccezione: discutiamo tantissimo in fase di scrittura, poi però sul set le cose si appianano. Io faccio il mio e lascio che lui faccia il suo, anche perché mi fido molto».
Vi divertite?
«In realtà cerca di essere formale e distaccato, io l’ho soprannominato “Mr. Crocodile Dundee”, quel tipo d’uomo che si rasa la barba col coltello. Allora lo chiamo “amoreee”, così lui si imbarazza e tutti ridono».
Portate sul set vostra figlia di 6 anni, Laura?
«Sempre, da quando aveva 2 mesi e nelle pause la allattavo. Nonostante sia vivacissima, ha imparato subito che quando sente la parola “motore” deve fare silenzio. Sul set di “Mamma o papà?”, lei avrà avuto 3 anni, Antonio Albanese mi chiese perplesso prima di cominciare una scena: “Ma Lauretta resta qui?”. Non riusciva a credere che fosse capace di rimanere immobile».
In “Ma cosa ci dice il cervello” parlate di attualità.
«Abbiamo scritto il film basandoci su esperienze personali, storie raccontate da amici, fatti di cronaca. Abbiamo voluto parlare delle vessazioni che i cittadini subiscono quotidianamente da parte di chi non rispetta le loro capacità e competenze».
Qualche esempio?
«Una cara amica insegnante mi ha confidato che i genitori di uno studente le hanno mandato gli avvocati dopo che lei aveva dato al ragazzo un voto basso. Un’altra mi ha mostrato il cartello affisso alla scuola calcio frequentata dal figlio, dove gli allenatori pregavano i parenti dei bambini di lasciarli giocare senza gridare contro gli avversari o insultare l’arbitro. Così sono nati i personaggi: una hostess, un medico, un professore e un allenatore che vivono perennemente bullizzati da studenti, genitori, pazienti, colleghi (li interpretano rispettivamente Claudia Pandolfi, Lucia Mascino, Stefano Fresi e Vinicio Marchioni, ndr)».
Tu ti senti mai bullizzata?
«Come tutti, in particolare quando guido nel traffico di Roma per portare mia figlia a scuola e incrocio persone che mi gridano contro anche se ho la precedenza. La verità? Se avessi la possibilità di “rieducarle” come fa il mio personaggio nel film, ne approfitterei».
C’è qualcosa di lei che riconosci in te?
«La sua assuefazione alle piccole angherie quotidiane, ma anche la voglia di ribellarsi. In più è un’agente dell’intelligence, vive tante identità: un po’ come quando io interpreto i miei personaggi».
Il film sfrutta la tua grande capacità di entrare in ruoli diversi. Tra quelli della tua carriera, ce n’è uno che preferisci?
«Sono molto legata a Silvana, l’incontenibile “inviata” di La vita in diretta, l’ho fatta così spesso che è come se la conoscessi. E anche a Franca Leosini, che imitavo perché sono una sua fan, una “leosiner”».
Le donne che fanno ridere in Italia non sono molte. Perché, secondo te?
«Argomenti e linguaggi del cabaret sono per tradizione “maschili”, quindi meno accettati in una donna. Tuttavia la comicità femminile c’è, eccome. Io ho una passione per Luciana Littizzetto, Virginia Raffaele, Geppi Cucciari. E in questo film lavoro con Carla Signoris e con Paola Minaccioni. Non potete immaginare quante volte abbiamo dovuto interrompere le riprese perché non riuscivamo a trattenere le risate!».