Figlio del grandissimo Enzo, musicista, compositore, produttore, Paolo Jannacci arriva per la prima volta a Sanremo con un brano delicato e raffinato. Voglio parlarti adesso è un dialogo tra padre e figlia scritto con Andrea Bonomo, Emiliano Bassi e il padre Maurizio, già produttore di Jannacci senior: «Andare nel suo studio di registrazione era come Disneyland per me». Nella serata delle cover canta Se me lo dicevi prima (Enzo Jannacci, 1994) con Francesco Mandelli. Dopo Sanremo tornerà live con il repack di Canterò, il suo ultimo album.
Voglio parlarti adesso, ci parli del brano?
Ho scritto questo brano pensando a mia figlia. Ora Allegra ha 11 anni, quando è nata la canzone ne aveva 5 o 6. È un confronto con le proprie paure, quando realizzi che tuo figlio inizia a prendere coscienza di sé. Sono riflessioni e incertezze sul futuro.
Che papà sei?
Mi sembra di essere un buon papà. L’anno scorso ero molto “mammo”. Quest’anno invece mia moglie mi sta aiutando molto di più così io riesco a lavorare di più sulla musica, concentrandomi. I tempi di noi artisti sono ballerini. Come papà rispetto la conoscenza e l’esperienza dei bimbi e dei ragazzi che considero piccoli uomini e donne, nei limiti della loro crescita. Mi piace responsabilizzare Allegra e farle capire che è lei la fautrice del suo destino.
Tu che bambino eri?
Senz’altro molto meno pronto dei bimbi di adesso. Molto più introverso. Ho parlato tardi, mi piaceva la tecnologia, facevo andare i registratori a nastro, sapevo far funzionare tutto, ma non parlavo. Mio padre diceva “ma questo qua non parla? Almeno che dica qualcosa”. Probabilmente era un mio rifugio dalla società che c’era in quel periodo. Sono cresciuto con gli anni di piombo, anni di grande crescita culturale, pieni di stimoli, ma mi ricordo che era pericoloso andare in giro.
Il brano parla dell’inevitabile passare del tempo che allontana dai genitori. Tu quando ti sei sentito adulto per la prima volta?
Credo quando ho cominciato a capire di essere il produttore del mio papà, quando ho preso coscienza che ero io a decidere. Perché prima potevo essere tranquillizzato dal fatto che lui avesse più esperienza. Ho collaborato con lui da sempre, da quello che mi ricordo, ma nel momento in cui ho preso coscienza di essere io quello che doveva decidere, anche a livello di budget, ho capito di essere diventato grande.
Come mai hai deciso di partecipare a Sanremo?
Avevo giù mandato altre volte il mio brano. Evidentemente c’erano artisti migliori (ride ndr). Era un desiderio, sotto consiglio di Maurizio Bassi. Serve sempre qualcuno in grado di spronarti, era sicuro mi servisse per la mia crescita professionale.
A chi ti pensa solo figlio d’arte, come ti presenteresti?
Ho un brano molto bello e questo è il miglior biglietto da visita che c’è. Poi con la mia esperienza da musicista e basta. Sono tranquillo, ho fatto la gavetta, ho visto tanti teatri, moltissimo pubblico.
Nel passato sei stato membro della giuria di qualità, a giudicare i cantanti. Ora che effetto ti fa essere in gara?
Quando si decide di partecipare il giudizio va messo in conto. Probabilmente arriverò ultimo, ci sono un sacco di persone anche più osannate o simpatiche di me. Ma io sono contento di far sentire quel brano a un così grande pubblico. È quello che mi ha insegnato anche papà. Sanremo è la bellezza di raccontare a un pubblico che non affronti normalmente un progetto o brano a cui tieni. Mi metto a nudo.
Cosa pensi della musica che ti circonda?
Confusa. Non è aggettivo negativo. Il metodo di produzione si è semplificato, le cose nascono in modo veloce. Noto tanta euforia non supportata dal punto di vista produttivo e musicale.
Hai iniziato a suonare a sei anni. Per passione o eredità familiare?
La musica è arrivata naturalmente. È un elemento che mi ha rapito e aiutato. Ci sono certi momenti in cui mi salva la vita. Mi ricordo quando ho deciso formalmente di fare il musicista. È stato a 17 anni. Prima era più un gioco e ero anche un po’ pigro. Puoi avere talento, ma metterlo a frutto è un’altra cosa. Anche adesso mi trovo a volte a dover studiare determinate cose e faccio fatica ma è così che si fa, con fatica. Si prova, finché non si riesce.
Essere figlio d’arte, di un gigante è stato un peso o una fortuna?
In ultima analisi posso dire che non ha fatto differenza. Certo, in certi momenti ho avuto un’attenzione particolare, nel bene.
La canzone che più ti lega a tuo papà.
Musical. Un brano rimasto un po’ sconosciuto perché di un’intensità particolare che riguarda un suo periodo particolare. Doveva essere il titolo dell’album poi ha fatto con Gino e Michele: Ci vuole orecchio. Ha dentro tutto Jannacci, ci sono tutte le sue emozioni di un artista e della società che lo coinvolge.
Una cosa che non devi dimenticare a casa per quei giorni?
L’areosol. E gli antiinfiammatori. Sono un po’ cagionevole in questo periodo.
Trucchi anti malattia?
Mi do malato e sto in albergo.
Lo strumento preferito?
È ancora il basso elettrico.
Dopo Sanremo che cosa succede?
Vado avanti con i live, il momento in cui mi rilasso di più!