Mai si era vista all’Ariston tanta emozione. Mai una persona con una disabilità così grave come Paolo Palumbo era salita a cantare su quel palco, tra i lustrini e i bagliori di una serata da 10 milioni di telespettatori. Con la sua sedia a rotelle, un catafalco inimmaginabile ai più, e uno staff di 10 persone che lo seguono in auto, in nave e poi ancora in auto da Nuoro, la sua città, Paolo ha portato umanità e verità in uno spazio che rischiava di scivolare nel pietismo e nella commiserazione. In giacca e pantaloni luminescenti, anche lui si è prestato al gioco delle parti sotto a riflettori e telecamere. Ma la forza e la potenza del suo messaggio sono arrivati proprio dove dovevano arrivare: dritti alle menti e ai nostri cuori distratti, per dirci che la vita va vissuta in ogni momento, che è preziosa, che abbiamo poco tempo e dobbiamo impiegarlo per dare il meglio di noi.
La malattia e la lotta per la normalità
A urlarcelo con quella voce metallica, lasciandoci pietrificati e con tante domande in testa, è un ragazzo di soli 22 anni, che da quattro è imprigionato dalla SLA, la Sclerosi Laterale Amiotrofica, malattia rara di cui in Italia soffrono circa 6mila persone, con mille nuovi casi ogni anno. Un numero poco rilevante per la statistica, tanto da farla classificare malattia “rara”. Di certo è incurabile e la prognosi infausta: pochi anni di vita, al massimo 10. Paolo rappresenta un caso rarissimo perché si è ammalato da giovane: i primi sintomi a 17 anni, quando si è accorto di non riuscire a tenere in mano una padella. Voleva fare lo chef. Ora di anni ne ha 22 e la progressione della malattia è inarrestabile: la foto di apertura della sua pagina Facebook, con 165mila follower, lo vede sorridente sulla sua sedia a rotelle, con il mare sullo sfondo. Ora ha il respiratore, esce pochissimo e – ci rivela dal palco – un mese fa una grave crisi respiratoria l’ha messo in grave pericolo. E invece è qui che parla e canta col suo sintetizzatore vocale: una voce scandita, “da casello autostradale” come recita nelle rime rappate della sua canzone “Io sono Paolo”. La interpreta insieme al rapper Kumalimbre e al musicista Andrea Cutri, e l’effetto è straniante. Se chiudiamo gli occhi, come ci invita a fare lui, non possiamo immaginare che provenga da un corpaccione imprigionato su una sedia. Perché le parole volano leggere, come il drone che lui ha davvero fatto sollevare con lo sguardo. Paolo è arrivato dove pochi nelle sue condizioni si sono spinti: la sfida dell’Ariston è sicuramente la più grande, uno dei suoi sogni realizzati, dopo quello di produrre i tamponi che restituiscono alle persone con il sondino gastrico come lui “il gusto della vita”, cioè i sapori dei cibi.
Come funziona la tecnologia che aiuta a parlare
Dall’azienda Easylabs, che gli ha fornito e lo assiste nell’uso degli ausilii, ci spiegano come funziona questa tecnologia amica che, se a tutti noi facilita la vita tra smartphone e domotica, alle persone con disabilità può davvero cambiarla. E trasformare così la condanna all’isolamento (per esempio di tanti bambini con paralisi cerebrale) in un nuovo progetto di reinserimento, con amicizie e magari anche un lavoro. Scopriamo così che Paolo ha davvero cantato in diretta: i suoi occhi – ci spiegano – diventano un mouse grazie a una telecamera a raggi infrarossi che illumina la pupilla. Questa telecamera “entra” dentro l’occhio e quando lo sguardo punta una lettera, in tre millesimi di secondo un software traduce l’immagine in scrittura e quindi, una di fila all’altra, in parole, quelle che ascoltiamo. Abbiamo visto lo sguardo di Paolo che si spalancava e dilatava: erano i suoi occhi alla ricerca delle sillabe già scritte sulla tastiera, che con una differita di sette secondi venivano tradotte a voce. Ce lo conferma uno dei tecnici che lo ha assistito, e che abbiamo raggiunto a Sanremo: nel suo pc esiste un testo già pronto, da puntare al momento. Paolo quindi ha parlato e cantato davvero, dal vivo (a differenza di altri cantanti, professionisti, che hanno invece usato una base).
Le battaglie dei malati
Ma le persone nella sua condizione, grazie a questa tecnologia possono anche dare semplici comandi in casa. Peccato che questi strumenti siano molto costosi e non sempre vengano passati dal Servizio sanitario nazionale. Simonetta Tortora dell’associazione Vivalavita onlus, una delle prime in Italia nella lotta per i diritti dei malati di Sla, ci restituisce il quadro di un’Italia a macchia di leopardo, con alcune regioni all’avanguardia – come la Sardegna – che riconoscono ai malati assistenza di alto livello e ausilii, e altre invece che fanno retromarcia. È il caso del Lazio, dove una delibera appena emanata retrocede la Sla da malattia ad alta assistenza (cioè H24), a malattia a bassa assistenza, come il diabete. Per questo ammalati e caregiver si stanno mobilitando in una grande manifestazione. Come scandisce Paolo nella sua canzone, l’obiettivo è “fare rumore in silenzio”: perché queste persone spesso non hanno voce, non possono comunicare con strumentazioni sofisticate e avere l’assistenza di una famiglia come la sua. Rosario, suo fratello, ha abbandonato il progetto di lasciare la Sardegna. È rimasto a fianco di Paolo, ma senza eroismi né pietismi: l’abbiamo visto sul palco, con i capelli alla moda e gli sguardi che si incrociano in quello scambio così intenso come solo due persone profondamente intime possono raggiungere. E non abbiamo avuto alcun dubbio: gli abbiamo voluto subito bene, anche a lui, perché è uno dei tanti siblings, i fratelli delle persone con disabilità, soffocati dalla montagna di responsabilità e di sensi di colpa dell’avere un fratello che precipita in un abisso simile.
Paolo però è lì, e lo vedremo ancora sul palco, a ricordarci che da questo abisso si può risorgere:
“Nella vita di ognuno di noi c’è un sogno da realizzare/dicono che per ottenere ciò che vuoi devi lottare/ non me la sento di lasciarmi andare/ perché se esiste una speranza ci voglio provare”.