Per descrivere con ironia la loro posizione nel mondo, gli abitanti della Patagonia cilena dicono di sentirsi aggrappati con le unghie e con i denti al margine della cartina geografica. In effetti vivono su un lembo di roccia che, con mille frastagliature, si tuffa nello stretto di Magellano e guarda, da molto lontano, la piattaforma di ghiaccio dell’Antartide e il Polo Sud. La sensazione che provo atterrando all’aeroporto di Punta Arenas, osservando i primi paesaggi che scorrono davanti al finestrino dell’auto, è quella di essere in un luogo estremo dove tutti gli elementi danno il loro meglio: il vento soffia fortissimo, l’orizzonte è infinito, il mare è gelato. È proprio l’emozione di sentirsi alla fine del mondo uno dei tanti motivi che può spingere un viaggiatore fino al sud più a sud dell’America Latina anche in un momento storico e politico difficile per il Cile. Niente paura, però, qui il massimo che può capitarti è assistere a una manifestazione pacifica con fiori e passeggini al seguito.
Nella grotta del BRADIPO GIGANTE
Nonostante il jetleg la prima cosa che mi riempie gli occhi di meraviglia nel trasferimento da Punta Arenas verso nord è la pampa patagonica, un orizzonte piatto e infinito modellato dai ghiacciai che un tempo la ricoprivano. La mia meta è Puerto Natales. Un tempo era un piccolo villaggio di pescatori affacciato sul fiordo Ultima Esperanza, oggi è la porta d’ingresso al parco nazionale Torres del Paine, vero highlight della Patagonia cilena. I cargo portano qui l’indispensabile e agli angoli delle strade ci sono per lo più negozi per chi fa trekking (il consiglio è quello di arrivare comunque ben attrezzati perché i prezzi non sono convenienti). Questo è il classico luogo di frontiera. Le case basse e le strade dritte lasciano intravedere quello che mi aspetta all’interno del parco: le imponenti cime innevate svettano tra il blu del canale (un misto di Oceano Pacifico e acqua dolce dei ghiacciai) e quello del cielo. Ma prima di arrivarci, una tappa è d’obbligo. Alla Cueva del Milodón sono stati ritrovati i resti di un milodonte, un bradipo alto 4 metri che viveva in queste zone nel Pleistocene e sembra abbia dato lo spunto allo scrittore Bruce Chatwin per il suo libro In Patagonia. Il luogo è interessante non solo per le grotte (che ospitavano tigri dai denti a sciabola e pantere preistoriche) ma anche per le piacevoli passeggiate su sentieri punteggiati da fiori rosso fuoco e cespugli di calafate, una bacca color porpora.
Sotto le cime di TORRES DEL PAINE
Ed eccoli finalmente i giganteschi denti di granito delle Torres del Paine che svettano sulla steppa patagonica popolata da piccoli struzzi, fenicotteri rosa, volpi grigie, puma e guanachi (la versione cilena del lama). Per la loro bellezza mi ricordano subito le Tre cime di Lavaredo ma all’ennesima potenza, perché gli spazi qui sono infiniti. Me ne rendo conto con un’escursione breve e intensa, la salita al Mirador del lago Toro. In un paio d’ore raggiungo un altopiano che mi permette di vedere l’acqua scura e piena di detriti del Rio Serrano gettarsi in un bacino d’acqua limpida anche se profonda 300 metri. Quando chiedo a Carolina, la guida che mi ha portato fin quassù, quali altre escursioni suggerisca, non ha dubbi: una passeggiata attorno al lago salato di Sarmiento per vedere fossili un po’ ovunque e il percorso fiancheggiato da ghiacciai che porta dalla Valle Francés alle cime di Los Cuernos. Un consiglio per qualsiasi trekking tu voglia fare? Vestiti a cipolla e non dimenticare cappello e guanti: qui in un solo giorno possono cambiare quattro stagioni, se un minuto c’è il sole, quello dopo potrebbe piovere. In ogni caso, marzo e aprile sono i mesi ideali per visitare il parco.
Al cospetto del GHIACCIAO GREY
Il primo indizio dell’avvicinamento al ghiacciaio, mentre navigo sul lago Grey, tra la cordigliera delle Ande e quella del Paine, è la comparsa di piccoli iceberg modellati dal vento che galleggiano alla deriva. Lo chiamano il cimitero degli iceberg e preannuncia una delle meraviglie più incredibili a queste latitudini. Davanti agli occhi si para un muro di ghiaccio frastagliato composto da torri, guglie, crepacci e spuntoni che sembrano giganti a guardia di un mondo inaccessibile. I colori cambiano dal bianco, al turchese, all’azzurro, fino a un blu intenso ma luminoso. Il motivo me lo spiega Nicole che lavora a bordo della nave turistica Grey III (70 euro). Più è compatto il ghiaccio e più sarà blu, più ossigeno c’è e più il tono si avvicinerà al bianco. Largo 6 km e alto 30 metri, il ghiacciaio Grey è il ricordo di una glaciazione di 20.000 anni fa, fornisce acqua fresca a tutta l’area e come altri nel mondo non riesce a riprendere in inverno il “peso” che perde d’estate (si ritira 25 metri all’anno). Se vuoi programmare un viaggio per vederlo in tutta la sua bellezza, ricorda che nelle acque grigie del lago, profondo più di 500 metri, puoi pagaiare in canoa tra gli iceberg (80 euro, bigfootpatagonia.com organizza anche trekking sul ghiacciaio).
Sull’altopiano del CONDOR ANDINO
Veder volare il condor andino sull’infinita pampa cilena è uno spettacolo unico. Ecco perché insisto per raggiungere una fattoria, l’Estancia Olga Teresa che, sul suo territorio, ospita una colonia di 120 esemplari. La salita al Cerro Palomares, l’altopiano che ospita i nidi, è ripida e sferzata dal vento (qui può arrivare addirittura a 160 km orari), ma in cima lo spettacolo è impressionante. Questi rapaci dall’apertura alare che supera i 3 metri compaiono all’improvviso sfruttando con grazia le correnti e proiettando grandi ombre sul suolo verde. Una delle lunghe piume nere e grigie che rimangono a terra è il souvenir perfetto. La fattoria è interessante anche perché qui puoi scoprire come vivono i gaucho, i mandriani della pampa che hanno il compito di segnare i confini del ranch, proteggere gli animali dai puma, addestrare i cavalli per i rodeo. I purosangue cileni sono forti e coraggiosi, mi spiega Yvonne, proprietaria della fattoria, ti portano ovunque su crinali esposti e nei fiumi in piena, e sono il mezzo di trasporto migliore per esplorare gli sconfinati panorami cileni. Ne terrò conto per la prossima visita. Del resto nei giorni scorsi ho bevuto lo sciroppo di calafate e la leggenda dice che chi mangia quelle bacche rosse tornerà presto in Patagonia.
4 TAPPE A PUNTA ARENAS
Piccola ma bellissima, Punta Arenas si affaccia sullo stretto di Magellano. Ecco cosa vedere.
1. Il museo Nao Victoria ha le riproduzioni a grandezza reale delle navi degli esploratori (naovictoria.cl).
2. Il cimitero Sara Braun ti fa fare un salto nella storia dei pionieri.
3. Dal belvedere Cerro de la Cruz fotografi i tetti colorati della città.
4. Lungo la passeggiata sullo stretto ascolti musica dal vivo (sernatur.cl).
COME ORGANIZZARTI
IL VOLO: Latam vola a Punta Arenas via San Paolo (Brasile) e Santiago del Cile. Spendi da 751 euro (latam.com).
IL TOUR OPERATOR: Patagonia Trips ha pacchetti ben studiati e organizza trasferimenti. Francesca, la manager, parla un ottimo inglese (patagonia-trips.cl).
GLI HOTEL: Se fai scalo a Santiago, l’Holiday Inn dell’aeroporto è la scelta strategica (130 euro, holidayinn.com). A Punta Arenas l’hotel Cabo de Hornos è in centro e ha un ottimo ristorante (da 160 euro, hotelcabode hornos.com). A Puerto Natales il Weskar Lodge ha la vista migliore (100 euro, weskar.cl). L’Hotel Rio Serrano organizza escursioni nel parco Torres del Paine (da 120 euro, rioserrano.com).
IL RISTORANTE: Da La Luna a Punta Arenas pranzi con zuppa di pesce e pisco sour (laluna.cl).