“Un attore non dovrebbe fare interviste. Una volta che la gente sa anche di che colore hai le calze, ci penserà tutte le volte in cui ti vedrà recitare”. Esordisce così Daniel Day-Lewis, 50 anni, look da pirata (ha i capelli lunghi e gli orecchini d’oro) e modi da lord (suo padre era il poeta britannico Cecil Day- Lewis). L’attore ha abbandonato la sua Irlanda, dove vive con la moglie Rebecca Miller (figlia del drammaturgo Arthur Miller) e i due figli Ronan e Cashel, per promuovere Il petroliere di Paul Thomas Anderson, film plurinominato agli Oscar che uscirà in Italia il 15 febbraio. La pellicola racconta l’avventura di un minatore, Daniel Plainview, che, trovato l’oro nero, inizia la sua scalata verso il potere e la ricchezza e sprofonda in un vortice di violenza e autodistruzione. Daniel è qui brutto, sporco e cattivo, ma la sua interpretazione è così intensa che si è appena aggiudicato un Golden Globe come miglior attore ed è in pole position per l’Oscar, il secondo della sua carriera.

Guarda Daniel Day Lewis alla premiazione dello Screen actor guild

Lei è tra i favoriti nella corsa alla statuetta. Cosa l’ha convinta ad accettare il ruolo di Daniel Plainview?

“Il copione. Paul ha scritto una sceneggiatura fantastica. Mi ha fatto entrare nel mondo del Far West, nella vita di uomini folli che rinunciavano a una vita comoda per inseguire l’avventura e il sogno di ricchezza. Finito di leggerlo, avevo già la valigia pronta. Anche se il rapporto con un regista è sempre un’incognita. Soprattutto in un film senza donne né happy ending”.

Com’è andata con Paul Anderson?

“Appena ci siamo incontrati ho capito che noi due insieme avremmo colpito nel segno. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Sul set eravamo una cosa sola, io lui e la macchina da presa. Le nostre mogli erano un po’ gelose”.

Addirittura?

“La prima volta che Paul mi ha chiamato mi ha lasciato un messaggio dicendo: “Ciao, è la tua ragazza che parla”. Poi i nostri incontri sono diventati più fitti. Ci facevamo grandi colazioni a base di uova e pancetta a parlare della storia e del personaggio. Non è stato facile calarsi in quei panni”.

Perché?

“Perché Plainview è un uomo violento, ambizioso, eppure ancora umano. Ho cercato di capire le dinamiche del lavoro nelle miniere, lo stato d’animo dei minatori che scavavano nel buio come dannati, vivendo come animali. È stato faticoso. Al college non insegnavano queste cose. E io sono convinto che per recitare la vita di un altro bisogna sporcarsi le mani, bisogna viverla. Così mi sono trasformato in un essere brutale”.

È vero che durante le riprese si è rotto una costola?

“Era una scena in cui dovevo cadere rovinosamente dentro a un pozzo. Non volevo controfigure e così l’ho girata io. Sono precipitato sul fondo. Ho perso conoscenza: ero a pezzi e non riuscivo a respirare. Quello che mi ricordo dopo è l’assistente alla regia che mi offre una banana”.

Strano tipo di soccorso! Ma non è la prima volta che si mette alla prova sul set…

“Quando lavoro non penso ad altro. Cerco di comprendere l’anima del personaggio e di farla emergere. Sono come in trance. E quando l’immaginazione non basta, imparo dalla pratica”.

Cioè?

“Ai tempi de L’ultimo dei Mohicani, per esempio, ho vissuto a lungo accampato in una tenda, mentre per Il mio piede sinistro sono stato in sedia a rotelle per settimane. È un’immersione totale. Anche per questo tra un film e l’altro mi piace prendermi delle lunghe pause: adoro non far nulla”.

Non sembra un comportamento da divo di Hollywood.

“Agli inizi della carriera arraffavo qualunque cosa mi capitasse sottomano. Oggi non più. Ci metto un po’ per passare da un ruolo all’altro, e mi va bene così”.

Cosa fa quando non lavora?

“Ho una vita molto tranquilla: ascolto Bob Dylan, vado in giro in moto, sto con la mia famiglia. Non mi annoio mai. Alcuni dicono che sono un eremita e che vado in giro con una corazza. Non è vero. È solo che non amo parlare della mia vita privata. Divento violento come Daniel Plainview quando si tratta di difendere la mia privacy”.

Si dice anche che lei è un “matto bastardo”.

“Non è la cosa peggiore che mi hanno detto. Ho imparato che i giornali si inventano di tutto. Inutile perdere tempo a smentirli (nel ’94 scrissero che Daniel aveva lasciato la compagna, l’attrice francese Isabelle Adjani, incinta di sette mesi, con un fax, ndr). Meglio lasciare tutto avvolto dal mistero. Nemmeno i miei figli sanno cosa faccio. Dio voglia che non lo scoprano mai!”.

Progetti per il futuro?

“Mia moglie tra poco inizierà a girare un nuovo film. Potrei elemosinarle un posto da manovale: così passerei tutto il tempo a martellare. Un ottimo rimedio per smettere di parlare di me!”.

Daniel Day-Lewis

Daniel Day-Lewis nasce a Londra il 29 aprile 1957. Suo padre è Cecil Day-Lewis, poeta irlandese. Sua madre è Jill Balcon, attrice di teatro. Dopo le scuole, Daniel studia recitazione con il Bristol Old Vic e la Royal Shakespeare Company. Debutta nel 1971 nel film Domenica, maledetta domenica. Nel 1990 vince un Oscar per il film Il mio piede sinistro. L’attore ha avuto un figlio, Gabriel Kane, 12 anni, con Isabelle Adjani. Dal 1996 è sposato con la regista Rebecca Miller, figlia dello scrittore Arthur Miller. Hanno due bimbi: Ronan Cal, 9 anni, e Cashel Blake, 5.

I suoi successi

Tre nominations agli Oscar, uno solo vinto con Il mio piede sinistro, del 1989. Ma Daniel Day-Lewis, dopo il Golden Globe e il premio Screen actors guild (il sindacato attori Usa), è il superfavorito quest’anno nella corsa alla statuetta. D’altronde la sua è una carriera piena di soddisfazioni, da My beautiful laundrette (1985) a L’ultimo

dei Mohicani (1992). Grandi sono le sue interpretazioni di un pugile in The boxer (1997) e del macellaio “brutto, sporco e cattivo” in Gangs of New York (2002). Il 15 febbraio è al cinema con Il petroliere.