Kill Bill è un film di Quentin Tarantino in due parti, uscito tra il 2003 e il 2004. È un film che ha per protagonista una donna, Beatrix Kiddo, interpretata da Uma Thurman, che potrebbe essere un po’ tutte le donne, almeno quelle che hanno subito e ricevuto violenze, fisiche o psicologiche da parte di un uomo ma anche da parte di altre donne.
È senz’altro un film di genere, o meglio un film ispirato ai film di genere – almeno quelli sulle arti marziali e i western all’italiana, due generi non a caso maschili. Lo stile è quello ironico e libero di Quentin Tarantino: tutto ciò che accade è plausibile, ma esagerato, iperbolico, compiaciuto.
Beatrix ha perso marito e parenti ed è finita in coma il giorno delle prove del suo matrimonio, per mano della banda criminale della quale lei stessa faceva parte e che ha per capo lo spregiudicato Bill. Quando si è risvegliata, si è ritrovata su un letto d’ospedale: ha perso il bambino che aspettava e ha scoperto di essere stata più volte violentata da un infermiere e dai suoi amici, a cui è stata venduta come se fosse una prostituta.
Di qui, inizia la sua vendetta. Beatrix ha una lista di nomi, quelli delle persone che le hanno fatto del male. Andrà da ciascuna a chiedere giustizia.
I modi in cui intende farsi giustizia sono quelli propri dell’ambiente in cui è cresciuta, un ambiente cioè che usa la violenza come linguaggio. Ad aver dato questa impostazione alla banda è il suo capo, Bill. Bill è innanzitutto un uomo e poi un uomo di potere: le caratteristiche tipiche maschili di predominio sono perciò accentuate.
Nella logica distorta di Bill quello che ha fatto a Beatrix è un gesto d’amore. Beatrix era “la donna di Bill”, ha deciso di andarsene e ha scelto un altro uomo. A Bill non è andato giù ed è per questo che ha cercato di ucciderla.
Infatti, quando Beatrix, sulle tracce di Bill, incontra Esteban Vihaio, l’uomo che gli ha fatto da padre, questi le dice: «Ti sto aiutando perché lui lo vorrebbe», Beatrix obietta: «Non credo proprio» ma l’uomo conclude: «E come farebbe, sennò, a rivederti?». La figura di Esteban Vihaio è chiave per comprendere il discorso tematico che c’è dietro al film. Non solo perché fa intuire, a Beatrix prima di tutto e poi a noi spettatori, che la violenza di Bill arriva da un desiderio contorto d’amore. Ma anche perché ci spiega l’origine di questo modo di pensare: lo stesso Esteban Vihaio, colui che ha educato Bill, è un pappone, uno che di mestiere usa le donne. Vihaio è poi uno che è capace di dire, a proposito di quello che Bill ha fatto a Beatrix: «Io sarei stato molto più carino, ti avrei soltanto sfregiata». E non lo dice così per dire, pochi istanti dopo chiama la “sua donna” e la scopriamo sfregiata.
È un film di genere, abbiamo detto, un film in cui tutto è esagerato ed iperbolico, ma quanto lo è davvero? Quanto la storia di Beatrix, e di tutte le donne del film, violentate, picchiate, sfruttate, umiliate e asservite al volere degli uomini, è la storia di molte donne di oggi? Lo è tantissimo ed è per questo che Kill Bill è un film che tutte le donne dovrebbero vedere.
Dopo più di dieci anni dall’uscita di Kill Bill, all’inizio della scorsa estate Uma Thurman e Quentin Tarantino si sono dichiarati amore.
Come se ne esce da questa logica che si tramanda di padre in figlio e contagia anche le donne? Quentin Tarantino propone una soluzione. È molto semplice, e banale forse, ma è l’unica in grado di funzionare.
Ci sono due ultime scene di cui voglio parlare.
Una è nel primo film, ed è quella in cui Beatrix uccide la sua prima vittima.
Si tratta di una donna che, come lei, ha fatto parte della banda e che ha partecipato al massacro del suo matrimonio. Beatrix la uccide davanti agli occhi innocenti della figlia. Prima di congedarsi, Beatrix dice alla bambina che, se vorrà, quando sarà grande, potrà cercarla e chiedere vendetta. Ecco, in questo punto, si innesca, seppure in modo negativo, il discorso che porterà a quella soluzione di cui parlavo prima e che forse ci può salvare da questa spirale di violenza. Beatrix ha dato un’educazione alla bambina che è quella che lei stessa ha ricevuto, un’educazione per cui la violenza è l’unico linguaggio possibile. La logica di Bill.
La seconda scena proviene dal secondo film ed è quella finale in cui Beatrix finalmente raggiunge Bill e scopre che la bambina che credeva di aver perso mentre era in coma, è invece nata ed è stato Bill ad accudirla. In un racconto orale raggelante, la bambina riferisce di quando, con assoluto candore, ha ucciso un pesce rosso. E la sera, strette nel letto, mamma e figlia guardano un film violento sui samurai. Dunque, anche sua figlia è destinata alla stessa logica di predominio che viene da Bill e prima ancora da Esteban Vihaio. Però, dentro questo quadretto familiare, si sente rassicurata.
Beatrix potrebbe arrendersi, accettare che così va il mondo e tenersi la sua piccola e personale felicità. Invece, Beatrix è una donna e decide di andare in fondo alla sua missione, solo affidandole un senso diverso, anche a discapito della sua felicità: uccide Bill, non più per vendicarsi, ma per sottrarre sua figlia a quella logica. Per sperare di seminare in lei una modalità di pensiero diversa, ripulita dall’idea di violenza e di predominio, dai modi maschili di leggere il mondo.
Uccidendo Bill, Beatrix ha ucciso un pensiero violento.
La mattina seguente, sole a casa, Beatrix e sua figlia guardano di nuovo la televisione: questa volta però non è più un film violento sui samurai ma un cartone animato.
È da qui che si deve ripartire.