Al primo sfoglio Phi è un romanzo con una trama avvincente, un po’ di suspense, amore e sesso. C’è uno psicologo star della tv innamorato di una ballerina, una giornalista alla ricerca dello scoop, una studentessa che fa fatica a socializzare… I personaggi però girano come trottole, vanno in crisi, si fanno domande, sbagliano, si risollevano, cambiano. A volte bravi e belli, a volte pessimi. Come noi. Perché, mi racconta l’autrice Azra Kohen, 40 anni: «Il mio vuole essere un libro ispirazionale e motivazionale, che porti le persone a riflettere su quello che desiderano e che sono. E che li spinga a trovare la versione migliore di sé».
Il romanzo intitolato Phi (Mondadori), come la 21esima lettera dell’alfabeto greco usata in matematica per indicare la formula della sezione aurea, quella della bellezza e della perfezione. Dopo aver venduto 800.000 copie in Turchia, paese d’origine della scrittrice, ed essere diventato una fiction tv di successo, esce da noi il 24 gennaio ed è il primo di un “percorso” che comprende altri due volumi (che in totale hanno raggiunto, solo in Turchia, la cifra di 2 milioni di copie): Chi, come l’energia che dà la vita, e Pi, come il Pi greco matematico che indica il cerchio, «perché la vita stessa è un cerchio». Già il primo romanzo di questa trilogia incuriosisce: fra gli spiragli della trama si infilano questioni, prese di coscienza e discorsi che ricordano una seduta psicoanalitica. Ma per capire come funziona questa “cura” bisogna leggerli tutti e 3. «Nel primo libro fai solo la conoscenza dei personaggi e scopri come sono, quello che pensano, quello che provano. Nel secondo cominci a capire: per esempio se sei una persona ansiosa, dai dialoghi scopri che l’ansia può derivare dalla mancanza di testosterone, lo sapeva?». E nel terzo? «Trovi altre soluzioni e alcuni metodi, consigli su cosa fare».
Azra Kohen, 40 anni è laureata in Psicologia comportamentale e i suoi romanzi potrebbero essere un’alternativa ai manuali di self-help: «Rispetto a quelli però io non voglio dare precetti. Non dico devi fare così o così. Ci sono opzioni nella storia che si riferiscono ai personaggi. E tu potresti ritrovarti e dire: “Quel personaggio è proprio come me!”».
E poi?
«Cominci a pensare, a porti delle domande e trovi le soluzioni dentro al libro. Attraverso le parole e i dialoghi fornisco gli strumenti per capire quello che non va. Se scopri il tuo problema, gli dai un nome, non lo ignori più. E leggendo scopri in te le motivazioni per risolvere i tuoi problemi».
Problemi come?
«Ansia, depressione…».
Non poteva scrivere un saggio per questo?
«Così nessuno lo avrebbe letto. Tutto ciò che bisognava dire nel mondo è già stato detto. Certe cose non cambiano la vita delle persone se non attecchiscono nelle loro menti. Io do informazioni tramite la forma del romanzo».
Ci può fare qualche esempio di come funzionano i suoi libri?
«Nel secondo c’è un dialogo che riguarda la depressione. Dico come può essere causata da un parassita nel sistema endocrino, che fa diminuire la serotonina, o da una carenza nei “mattoni” che il nostro corpo usa per creare la serotonina, come la vitamina D, il ferro, ecc. Così magari, se ne soffri, vai a fare dei test, cambi alimentazione o stile di vita. Oggi invece la depressione il più delle volte è considerata solo un problema psicologico. Si prescrivono gli antidepressivi, mentre dovremmo sforzarci di trovare una soluzione più olistica e che miri a contrastare ciò che manca».
Un approccio olistico?
«Sì, che consideri insieme la mente, il corpo, l’ambiente e la società. Questi libri sono il risultato di centinaia di studi che ho letto. Sono studi condotti da medici, scienziati e assistenti di laboratorio. Come psicologo della scuola biopsicosociale (secondo l’Oms il modello bio-psico-sociale è lo stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non la semplice assenza di malattia, ndr) di psicologia positiva, quella che si occupa del benessere personale e della qualità della vita, il vero focus del mio lavoro è capire cosa porta un individuo alla perdita del suo equilibrio».
Mi spieghi meglio…
«Ci sono 12 personaggi nella trilogia, ognuno dei quali rappresenta uno dei 12 disturbi della personalità catalogati nel quinto manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali creato dall’American Psychiatric Association».
Ce li può raccontare?
«Preferirei di no perché vorrei che la gente ci arrivasse da sola». Le dico solo che c’è chi è ansioso, narcisista, chi si carica di tutte le emozioni delle altre persone. Non sono vere e proprie malattie psichiche ma disagi, “personal disorders”. Non sono causati da una cosa sola: ci può essere alla base un trauma che quindi va curato psicologicamente, uno squilibrio chimico causato da una dieta che non presta attenzione ai nostri ormoni, una condizione socio-economica che non ci consente opportunità di autoanalisi… Possiamo anche mostrare i sintomi di tutte questi disturbi della personalità contemporaneamente, a seconda delle situazioni… Usando i 12 personaggi, creo una rete di eventi, situazioni e cambiamenti dove c’è abbastanza spazio per tutti noi. Ecco perché il libro finale si chiama Pi, perché Pi è il numero che contiene tutte le combinazioni numeriche che siano mai esistite».
Insomma, lo scopo di tutto questo?
«Aiutare le persone a tirare fuori il loro potenziale. Il nostro comportamento è scatenato dalle nostre emozioni e le nostre emozioni sono costituite da varie combinazioni di molti ormoni e neurotrasmettitori. Se queste funzionano male perdiamo il nostro equilibrio. Nella trilogia cerco di fornire al lettore metodi per recuperare l’equilibrio che, mi preme dirlo è tridimensionale: è l’insieme di benessere fisico, psichico e sociale».
Lei scrive anche che ognuno di noi ha qualcosa in sé che è perfetto e che dobbiamo sforzarci di trovare e sviluppare questo potenziale.
«Sì, credo che ogni essere umano sia stato progettato per fare o creare una cosa in particolare meglio degli altri. E scoprire questa cosa potrebbe essere come raggiungere il nocciolo della nostra identità. Credo che una vita spesa senza scoprire cosa sappiamo fare al meglio sia come sprecarla e può portare alla depressione. Il nostro scopo è questo».
Possiamo quasi dire che leggere questi romanzi è come una serie di sedute di psicoterapia?
«Sì. Decisamente! Dal mio punto di vista, se non adempiono a tale dovere, non servono allo scopo per cui sono stati progettati».