Oggi più che mai, le storie di medici-eroi fanno breccia nei nostri cuori. E un dottore stoico e per certi versi rivoluzionario come lui non poteva non sbancare anche in prima serata. È ispirata a Pierdante Piccioni, primario di Pronto Soccorso dell’ospedale di Codogno e alla sua incredibile storia, la fiction “Doc – Nelle tue mani“ con Luca Argentero, in onda il giovedì su Raiuno. Anche se nessuno si aspettava che la serie uscisse in un momento tanto particolare per il nostro Paese, in cui i medici sono così coinvolti e in prima linea.
La direttrice di Donna Moderna Annalisa Monfreda ha incontrato per noi Pierdante Piccioni. Guarda il video:
Quel 31 maggio 2013, Piccioni viene coinvolto in un terribile incidente stradale sulla tangenziale di Pavia che gli stravolge completamente la vita. Viene trasportato in ospedale e rimane in coma per una giornata. Sì, solo una giornata. Ma tanto basta perché le lesioni cerebrali subìte creino una profonda amnesia. Al risveglio dal coma, infatti, Pierdante Piccioni è convinto che sia ancora il 25 ottobre del 2001 e pensa di avere appena portato i figli a scuola. Un buco nero di 12 anni che si è inghiottito ricordi, esperienze ed emozioni in un solo boccone tanto che quando i figli entrano per la prima volta nella sua stanza lui stenta a riconoscerli perché li crede ancora bambini e non certo ragazzi di 20 e 23 anni. Piccioni non tornerà mai più quello di prima perché quei dodici anni nella sua mente non hanno mai fatto ritorno: li ha ricostruiti con foto e racconti di famigliari e amici.
In “Meno dodici”, il libro che ha ispirato la fiction, Pierdante Piccioni racconta la lunga strada della riabilitazione ma soprattutto la scommessa, vinta, di tornare a fare il medico. L’ex primario (tornato primario) ha infatti lanciato una sfida a se stesso: ha voluto ricominciare a studiare per tornare a lavorare in ospedale dedicandosi ai percorsi di recupero per chi è uscito da gravi incidenti come lui. Dopo aver superato i test che gli hanno consentito di rientrare in servizio, Piccioni collabora proprio con l’ospedale di Lodi (dove c’è stato il primo focolaio di Coronavirus) per studiare strumenti ad hoc per disabili e malati cronici. Perché il suo desiderio era stare in corsia con i pazienti per ricreare quel rapporto empatico in cui tutti noi abbiamo ricominciato a credere. Piccioni ha voluto avvicinarsi alle persone che hanno vissuto la sua stessa esperienza di vita, a coloro che sono reduci da traumi gravi, incidenti stradali e persone che di fatto hanno dovuto ricominciare da zero a vivere. Quel medico che un tempo era anche docente universitario e consulente del Ministero della Salute, si è ritrovato a doversi reinventare da capo.
Oggi, in prima linea contro il Coronavirus, Piccioni si reca ogni giorno all’ospedale di Lodi passando per quello di Sant’Angelo Lodigiano dove, con i suoi collaboratori, si occupa di organizzare i percorsi di trasferimento per malati Covid acuti in quelli periferici, a minor intensità di cure. Il “nostro eroe”, anche se ammette di sentirsi imbarazzato a definirsi tale, racconta ad Annalisa Monfreda di non avere «più una vita al di fuori dell’ospedale perché dopo una giornata di 12 ore passata in ospedale, anche a casa tengo i contatti con amici e colleghi dispensando consigli, perché io in realtà nasco come pneumologo». Chi decide di diventare medico lo fa per aiutare gli altri e sa che, soprattutto in momenti come quello che stiamo vivendo, può mettere in pericolo la propria vita, d’altro canto, «quando diventi genitore sai benissimo che andrai incontro al mestiere più pericoloso del mondo però lo fai lo stesso», sottolinea sorridendo Pierdante Piccioni.
Il medico-scrittore (in uscita il suo terzo libro “Colpevole di amnesia”) è riuscito a ricostruire la sua vita passata attraverso i ricordi che gli regalano gli altri, attraverso la memoria della moglie, che fa la psicologa, e dei figli. E scrivere per lui è terapeutico. Come lo è per gli altri leggere il suo libro.