Riccardo Zanotti, Elio Biffi, Nicola Buttafuoco, Matteo Locati, Simone Pagani e Lorenzo Pasini sono sei trentenni di Bergamo, amici dalla fine delle superiori. Suonano perché la musica è libertà. Dopo dieci anni di gavetta Fuori dall’Hype è l’album che fa riempire i palazzetti (in tour a marzo) e assicura un posto a Sanremo. Lì i Pinguini Tattici Nucleari cantano Ringo Starr, mix di pop, rock e funky, pronto a conquistare le platee annoiate.
La vera sorpresa però la preparano per la serata delle cover dove scelgono di omaggiare i 70 anni della kermesse canora con un medley di 7 canzoni da Papaveri e Papere a Rolls Royce, passando per Nessuno mi può giudicare, Gianna, Sarà perché ti amo Salirò e Sono solo parole. Il 7 febbraio esce Fuori dall’Hype Ringo Starr, il repack del disco con altri due brani inediti oltre a quello di Sanremo. Abbiamo parlato con Riccardo, voce e penna della band.
Dieci anni di gavetta per arrivare a Sanremo. Che effetto vi fa?
È un effetto sorpresa. Non ce lo aspettavamo per niente. Abbiamo cercato Sanremo perché ci piaceva idea di vederci in questo contesto ma, mesi fa, non ci saremmo aspettati che sarebbe successo.
È più forte l’emozione di Sanremo o di un Forum sold out in pochi giorni?
Sono due tipi di emozione diversa. Da una parte la consapevolezza di entrare a far parte di una storia molto più grande di noi. Dall’altra qualcosa che invece è estremamente nostro sapendo che abbiamo iniziato nei localini da 10 o 30 persone e siamo arrivati a fare qualcosa di gigantesco come il Forum di Assago. Ci viene in mente la nostra storia e quello che abbiamo fatto.
Come ti racconteresti a chi non vi conosce e cosa volete mostrare su quel palco?
Il nuovo tante volte spaventa. O addirittura può anche irritare. Ho letto un articolo sul Festival del 1969 in cui si diceva che esordiva un certo Lucio Battisti. Ora, chiaramente non siamo lui, un mostro sacro, però lui è l’esempio di come Sanremo si sia rinnovato tante volte, fin dal passato. Direi che siamo persone di cui ci si può fidare. Veniamo dal nulla, non siamo raccomandati, abbiamo famiglie normalissime, dalla provincia bergamasca.
Da piccolo come eri?
Logorroico. Mi dicevano che avrei dovuto fare l’avvocato. Pensavo volesse dire andare in tribunale e semplicemente parlare. Poi ho capito che non era esattamente così. Ho scoperto i Queen, la prima band che mi ha cambiato la vita e penso la stia cambiando ancora oggi a tante persone. Mi sono piaciuti, ho deciso che volevo fare la rockstar.
Come avete scelto il nome?
Il nome è venuto fuori da solo, da una sera in un locale in un pub. È il nome di una birra, ci è piaciuto. Volevamo che il nome nascesse quella sera, avevamo appena iniziato. Eravamo amici che volevano solo fare rock in sala prove… ci ricorda un bel periodo.
Avete qualcosa in comune con i pinguini, gli animali?
Non sappiamo volare, anche se è una vita che ci proviamo. Siamo tozzi e ancorati al terreno. Ma, come loro, abbiamo imparato a nuotare veloci. In una band si condividono anche dinamiche difficili, sei sempre con altre cinque persone sul furgone, nelle camere di albergo. Abbiamo imparato a conoscere i nostri difetti e siamo solidali gli uni con gli altri. I pinguini si muovono tutti insieme verso le loro mete, noi come loro.
La canzone si chiama Ringo Starr.
È ovviamente un omaggio al grandissimo batterista dei Beatles, ma parla di diverse cose. Ringo, forse non tutti lo sanno, era additato come quello introverso o meno talentuoso, in realtà era un genio musicale, ha innovato il suo strumento. Magari non era il più bravo ma ha fatto modifiche che ancora oggi si usano. La canzone parla di tutti noi, di quelli messi in ombra, anche quando sta andando tutto bene. Farà ballare alla grande.
Quando scrivi?
Quando sono in giro, per strada, quando sento parlare qualcuno, quando sono in treno. Prendo appunti sul cellulare. A volte copio la vita. È bello perché a volte davvero sento due persone che parlano e ci ricamo col pensiero. Arrivo a casa e provo a riordinare tutto. O se no scrivo qualcosa che penso.
Quali sono le tue influenze, ascolti, ispirazioni?
A livello testuale Lucio dalla. Una persona che mi ha dato tanto. Con la sua storia e con la sua musica. Poi Fabrizio De André, un artista a 360 gradi che secondo me tutti dovrebbero conoscere. Come band Gli Elio e le storie tese. E i Rolling stones.
In questi dieci anni avete avuto momenti no, in cui avete pensato di mollare?
Sembra strano, ci sono sempre momenti no nella vita musicale, ma da parte nostra non ce n’è mai stato uno in cui abbiamo pensato di disfare la band per al semplice ragione che è sempre stato il nostro sfogo totale. Per tutti. C’era anche chi lavorava o studiava in università, ma la sala prove è sempre stato il perimetro della nostra libertà.
Se litigate, chi chiede scusa per primo?
Non io. Generalmente Paso, il nostro chitarrista, il nostro uomo zen.
La forza della vostra band?
Il divertimento. Ma ancora di più la libertà. Avevamo diciassette anni, non avevamo neanche i soldi per comprarci una bibita, ma eravamo noi. Lo siamo sempre stati.
Il successo che potrebbe arrivare da Sanremo vi spaventa?
In parte. Quello che abbiamo raccolto fin qui però non ci ha mai fatto cambiare. Abbiamo medicine che ci aiutano a non soffrire. La prima è essere rimasti a vivere nella nostra amata provincia bergamasca, dove siamo cresciuti. Lì siamo protetti dal successo. Studiamo ancora tutti musica, cerchiamo di rimanere lontani dalla spocchia con la consapevolezza di essere studenti nella vita.
Se rimani studente, non soffrirai mai di niente.
Riti scaramantici?
Ci troviamo tutti in cerchio e urliamo “SIMONE” che è il nostro bassista, la persona più taciturna della band. Non parla mai per cui abbiamo deciso che è il nostro spirito guida. Vorremmo essere tutti lui.
Libro sul comodino?
Sto leggendo Da animali a dei, di Harari.
In valigia a Sanremo con?
Il pettine, al cento per cento. Perché i miei capelli tendono a essere rivoluzionari e scapestrati. Ho bisogno di un pettine che mi rimetta a posto e in ordine. E poi… una stirella. Anche i vestiti, come i capelli, non dipendono da me.
Il primo Sanremo a chi si dedica?
Io sicuramente lo dedico alla mia mamma. Perché è sempre perennemente preoccupata per me. Prima perché pensava fosse un mestiere troppo difficile, ora perché pensa che tutto questo potrebbe finire da un giorno all’altro. Glielo dedico, per rassicurarla.