La poesia è donna. Lo è sempre stata. Lo era nella tradizione greca, alle origini della nostra cultura. Lo era nella simbologia dantesca e per i poeti del Dolce Stil Novo, tanto da confondere il femminile con il processo di creazione della poesia, il suo senso e la sua missione. La Storia non ci riporta però i nomi di tante donne. Malgrado l’immensa Saffo e le (poche) poetesse rinascimentali, la donna, nei versi, era più oggetto, motore e fine. Ma nello scorso secolo le cose si sono ribaltate: dalle grandi poetesse intimiste, come le americane Sylvia Plath e Anne Sexton, senza dimenticare la superba ironia della polacca Wisława Szymborska, tante hanno consegnato la loro (drammatica) “vita in versi” al successo popolare. E oggi, in poesia, le quote rosa superano quelle azzurre.
«La poesia è difficile», «La poesia interessa a pochi»: nulla di più falso. Piuttosto, la si studia poco e male, e male la si diffonde e promuove. Di generazione in generazione, in Italia, la fiamma dei versi al femminile si allarga sempre di più. È d’obbligo partire da Alda Merini, “la pazza della porta accanto”, che ha portato la poesia in tv, sdoganandola dal suo cantuccio. La sua storia incredibile (ma Più bella della poesia è stata la mia vita è il titolo di un volume autobiografico pubblicato da Einaudi), il corpo anziano che diventa metafora della debolezza e della simultanea potenza dell’umano, gli anni in manicomio, la casa con le mura piene di numeri di telefono e versi, le 100 sigarette al giorno, le massime spiazzanti («sacro e profano in armonico, eterno e fecondo contrasto») sono patrimonio comune.
Più appartata, lunatica, altrettanto sofferente e intensa è stata Amelia Rosselli, poetessa apolide scoperta da Pier Paolo Pasolini, sorretta e al contempo schiacciata da una visionarietà estrema, spiazzante come la sua morte volontaria. Oggi sono imperdibili le metriche di Patrizia Valduga, grande traduttrice e interprete: limpide nella forma, risultano urticanti nei contenuti, tranne quando si sciolgono nell’inno all’amore per il compagno di una vita, il rimpianto scrittore Giovanni Raboni. Vivian Lamarque ci trascina in un’infanzia percorsa da uno stupore evidente. I “pensierini” e le filastrocche, ma anche i poemi, fanno dei suoi versi un continuum di gioia e meraviglia. Scriveva il grande psicanalista Jacques Lacan che “la donna non è tutta”, indicando con questa frase sibillina che il femminile, a differenza del maschile, è pronto a cogliere, plasmare e trasmettere il mondo nella sua varietà, proprio in quella peculiarità delle forme a cui l’uomo (in questo caso il poeta) non sa attingere nella loro vastità e complessità. E quello che alla donna-poetessa manca filtra nell’unicità dei suoi versi, refrattari quanto mai a una “linea comune”.
È per questo difficile raccontare tutte le voci: ognuna è diversa, come diversa è ogni donna. Basta mettere a confronto tra loro le opere delle “giovani” poetesse di oggi, eterogenee per linguaggio e temi. Iniziamo da Maria Grazia Calandrone, organizzatrice di eventi e conduttrice di una imprevedibile trasmissione radiofonica tutta poesia, Qui comincia, che apre al mattino le trasmissioni di Radio 3. Il suo ultimo libro, Serie fossile (Crocetti), è un raro gioiello di parola concentrata allo spasimo, un puro distillato di vissuta e dolorosa sapienza, che comunica un amore dirompente per il creato. Invece Sara Ventroni, grande performer (è stata la rappresentante italiana del primo “Poetry slam europeo”, guarda caso tutto composto da donne) e scrittrice poliedrica (suo il testo teatrale Salomè), ama mescolare i linguaggi, come nella composita raccolta di poesie, foto e disegni che sta per pubblicare, dal titolo La sommersione (Aracno editore). Mentre nella raccolta precedente, Nel Gasometro (Le Lettere), emergeva la sua volontà di incarnare un dolore universale, quello dei lavoratori di un tempo andato, forzati a sottomettersi a modelli industriali che li hanno ridotti a organismi senza vita. Come gasometri abbandonati, appunto.
E ancora non dimentichiamo la studiosa di italianistica Gilda Policastro che, alla sua seconda prova poetica, ci dona Inattuali (ed. Transeuropa), stupefacente sintesi in versi degli oggetti del mondo moderno: dai 4 salti in padella ai biglietti timbrati del tram. È impossibile riassumere le diverse intonazioni, la malia delle parole, il filo delle immagini che si sgranano dai loro versi. Quello che è chiaro è che oggi il potere, almeno nella poesia contemporanea, è femminile. È il potere di creare la vita. E le parole che l’accendono di stupore.